Marco Baldino
LACERTI DI ECONOMIA GLORIOSA
Le società della festa, del dono, l'economia gloriosa, sono defunte. Bataille sembrerebbe anch'egli morto, soprattutto a sentire Agamben [critica del principio hegeliano secondo cui esisterebbe un piano della vita puramente animale prima e ... dopo la sua umanizzazione, la cui condivisione - a suo dire - mette chiunque filosoficamente fuori gioco]. E anche se Agamben potesse essere confutato (cosa a mio giudizio non del tutto impossibile), rimarrebbe il problema del dispendio improduttivo. Il sistema capitalistico è tale - osserva Bataille - che ogni dispendio si traduce in potenza di sviluppo. Ecco, se fossimo in grado di indicare, nel quadro delle moderne società capitalistiche, la possibilità di un’effettiva distruzione di forze produttive o la possibilità di un dispendio veramente improduttivo, allora Bataille potrebbe essere riattivato. Bene, credo che proprio l’uso dell’ebbrezza da un lato e, dall’alto, il gioco in perdita del capitale finanziario, possano costituire un esempio di sopravvivenza dell’elemento glorioso nel mondo capitalistico, la cui essenza è già - va sottolineato - il rischio. Con un po’ di pazienza una simile ipotesi potrebbe essere estratta proprio da Bataille (es. “Il limite dell’utile”). C’è poi anche un altro elemento, batailleano ma non presente in Bataille: questo stesso post. Fb costituisce un esempio di scrittura in perdita, una manifestazione improduttiva di energie intellettuali (e, oggi, sono proprio queste a costituire l’essenziale della forza produttiva), un effetto, se ci piace, di economia gloriosa. .
21 dicembre alle ore 18.46 nei pressi di Morbegno, Lombardia
A Jacopo V e 2 piace questo elemento.
Giuseppe P: Facebookil gioco d'azzardo finanziario certo come alea (per dirla con Caillois) ma anche il sesso improduttivo mettono sempre in moto la depense di Bataille...
21 dicembre alle ore 18.56 tramite : · Mi piace 2
Marco B: Sì, certo, e visto che siamo in denatalità... :D
21 dicembre alle ore 19.03 · Mi piace 1
Gianni DM: Grazie Marco. Chissà che il tempo che si perde qui, gloriosamente e naturalmente per amore ( non fosse che amore per la lingua madre ecc.), non lo si ritrovi poi, come trasfigurato e risorto nell'invisibile. In un "cuore", volendo ESprimersi come un poeta o una poetessa...Quello che mi sembra dolorosamente interessante è quel "poi" - non suona forse come una specie di "ahi!" o un "ahimè" ? In ogni caso, mi pare che non occorra essere sensibili agli ultrasuoni per accorgersi di essere, per così dire, creature tagliate dal "prima" e dal "dopo". E ancora: se qui dove non c'è dove, nè centro, nè periferia - o perlomeno nessuno che possa dire questo è il centro e questa è la periferia, ebbene se qui - nella strana natura dell'attimo - vita e morte hanno uguale durata, sarà mai possibile, tra i due, riprendere tutto quello è perso ? Intere vite di energia ritrovate in un istante - riprendendo e simulando un lampo di gloria universale, naturalmente.Lacerti di economia gloriosa dicono, con garbata ironia: salve a tutti! Non è mai troppo tardi o troppo presto per una buona resurrezione generale. L'ironia nasce dal fatto ( "fatto", come si dice nel gergo dei drogati) che in questi giorni siamo in prossimità del Natale non della Pasqua, non ancora, ecc. E' quello che osservava anche nonno Bataille, mi pare, nell'Esperienza paradossalmente chiamata interiore. Non arriva mai, con uno scatto definitivo, a toccare le acque vive della creazione, e ruota continuamente ( vale a dire senza misericordia) attorno al famoso buco, anche di memoria...immaginandosi ritornato estaticamente tra le braccia, se non nella placenta della mamma, simile a un cinese suppliziato, "bello come una vespa" - una specie di fratello-feto allucinato, al limite dell'utile e, si direbbe, della percezione.
21 dicembre alle ore 19.36 · Mi piace 1
Gianni DM: VARIANTE: In ogni caso, mi pare che non occorra essere allenati agli ultrasuoni per accorgersi di essere, per così dire, creature tagliate dal "prima" e dal "dopo".
21 dicembre alle ore 19.43 · Mi piace
Marco B: Chissà cosa ti ha indotto a questa variante, che differnza c'è, che si può vedere e dire, tra esser-sensibili ed esser-allenati agli ultrasuoni... in ogni caso sì, e sì, come non vederlo... Tutto gira intorno a quel famoso buco, che prima ancora di essere un luogo rassicurante come la materna placenta, è però il gorgo in cui, per dirla con Pavese-lirico, scenderemo (anacronismo voluto) muti.
21 dicembre alle ore 19.54 · Mi piace
Gianni DM: ALTRA VARIANTE: In ogni caso, mi pare che non occorra essere allenati agli ultrasuoni per accorgersi di essere, per così dire, creature tagliate dal "prima" e dal "dopo". Oltre che piegate, da lontano, ai gomiti e ai ginocchi. Insomma, creature "fatte" per il Tempo e per lo Spazio. Il punto è, mi pare, che Tempo & Spazio non siano esattamente una risposta.
21 dicembre alle ore 19.55 · Mi piace 1
Gianni DM: Pavese? Mi sa che forse porta "un po'" sfiga... Ma che ci vada lui nel gorgo vuoto e muto. Se per questo, ci sarebbero anche l'erranza e ll'infinito di Leopardi. Insieme all'augurio di un naufragio che sia perlomeno "dolce". L'infinito? Mi viene in mente la buonanima di Antonio Porta, quando con garbata e acuta ironia diceva, quasi sbraitava: "L'infinito? Va', citrullo!". E' la solita storia, mi pare, del godimento, del gorgo vuoto del godimento, e di quello che l'amico Elvio Fachinelli diceva "timore della gioia eccessiva". Resta da chiedersi, mi pare, se la possibilità di un godimento oltre il godimento, quest'eccedenza di gioia così temuta, non sia proprio uno dei segreti di ogni vita umana e del linguaggio. Sì, credo che la gioia - profondamente sepolta nella materia e, si direbbe, nel sistema nervoso, sia l'essenza dell'esperienza umana, sempre singolare. E' chi nasconde il proprio glorioso folle, che rischia di morire senza voce.
Gianni DM: RIPRESA. “Chissà cosa ti ha indotto a questa variante, che differenza c'è, che si può vedere e dire, tra esser-sensibili ed esser-allenati agli ultrasuoni..” ( Marco)... Forse non volevo fare la figura di un pipistrello. A differenza dei pipistrelli, che sono naturalmente sensibili agli ultrasuoni, gli scrittori si debbono allenare a percepire gli ultrasuoni. Il lavoro potrebbe consistere nel provare a vivere in un angolo e a rimanere tranquilli al buio – anche se , in quanto creature civilizzate , noi cosiddetti umani non amiamo particolarmente il buio. A proposito del lavoro da svolgere per sviluppare nuovi organi e allenarsi agli ultrasuoni, ravanando in un angolo della rete, ho ritrovato un lacerto di Böhme. Eccolo a portata di antenna: “Il tuo stesso udito, la tua stessa volontà e la tua stessa vista ti impediscono di vedere e udire Dio. Esercitando la tua volontà, ti separi da quella di Dio e impiegando la tua vista, tu vedi solo entro i tuoi desideri, mentre tali desideri ostruiscono il tuo stesso senso dell'udito, chiudendoti le orecchie con ciò che appartiene alle cose terrene e materiali. Ciò ti mette a tal punto in ombra che non puoi scorgere ciò che è supersensoriale e al di là della tua natura umana. Ma se rimani tranquillo, e ti trattiene dal pensare e dal sentire con il tuo sé personale, allora ti verranno rivelati l'udito, la vista e la parola eterni, e Dio vedrà, sentirà e udrà attraverso di te”. (Jakob Böhme). P.S. Non volevo fare la figura di un pipistrello, e ora per aver drizzato le antenne verso Jakob Böhme, temo di poter fare la figura di un mistico mastica mosche. Ecco, - dico a me stesso – l’attrazione torbida di non so quale insufficienza. Chissà da dove proviene l’autorizzazione a scrivere e a masticare … Un momento di sospensione e quasi di silenzio, ed ecco arrivare – volando come pipistrelli su ali sottili – altre parole. Le parole sono venute. In un suono più intenso del silenzio, dicono in un soffio: apri le finestre dell’oscura trincea ed esci in pieno sole, se non vuoi diventare pipistrello/ corri corri per non diventare tartaruga/ e cospargiti di luminoso olio d’oliva prima di diventare una cartolina illustrata. Chi parla ? Dove la voce cade, ecco una differenza che si può vedere e dire: un ultrasensoriale lacerto di economia poetica in pura perdita, se non di patafisica gloriosa.
22 dicembre alle ore 21.39 · Mi piace
Giacomo C:L'uomo e i giochi, di Caillois. l'analisi di Huizinga del carattere cerimoniale dei comportameni nel Declino del Medio Evo. Sono d'accordo che non abbiamo solo un insieme di comportamenti razionali separati (caotici come conseguenze combinate) ma un nucleo non-razionale di qualche tipo alla base del Grande Tutto.Il problema è che le conseguenze, come altre volte, rischiano di essere terribili.
23 dicembre alle ore 7.00 · Mi piace 1
Gianni DM: Immagino che al “ nucleo non-razionale di qualche tipo alla base del Grande Tutto” – dove gli opposti sembrano legati e le acque si confondono - si trovi di tutto , compresa l’estasi della perdita di sé o anche il terrore. Leggiamo in Ebrei 10:31 : "E' terribile cadere nelle mani dell'Iddio Vivente"; e in Ebrei 12:29 : "Perchè l'Iddio nostro è anche un fuoco consumante". Avevate bisogno di giocare con il fuoco? Era una fiamma divorante, ma zio Bataille, nell’ansia di sapere, ne parlava come della «pratica della gioia dinanzi alla morte», e alcuni giornalisti e sociologi diplomati lo chiamavano "trip", in gergo canagliesco. Un tempo era il lavacro delle acque corrosive, l'esperienza della calata nell’'abisso, l'esposizione al dramma cardinale - quando da tutti i confini si rovesciava su di noi ciò che non potevamo nominare, e nella mente del lettore ( “ Mon cher hypocrite lecteur! Mon semblable, mon frère!”) ancora risuonava il grido di Baudelaire: "Ah! ne jamais sortir des Nombres et des Etres!" Benché reali, i Numeri e gli Esseri non sono la realtà, per cui niente e nessuno potranno mai uscir fuori da un luogo in cui non sono mai entrati. Come leggo, del resto, nelle informazioni su Giacomo: "anche nel vostro paradiso zen non ci incontreremo". In realtà ( che terribile espressione!) nel “vostro paradiso zen” non c’è nessuno. Non è meraviglioso ?
A parte certi giochi di vertigine, e le altezze in cui occorre resistere alla tentazione di una qualche “fusione”, anche erotica, della “goccia” con qualche infinito o mare verdastro, è anche vero che spesso – come dimostrano non poche catastrofi, dette di portata storica – anche la veglia della Ragione può generare mostri. La cosa ( chiamiamola “cosa”) non potrebbe in alcun modo esserci di consolazione. Ma perché vivere nella sola prospettiva del dolore, del gorgo “muto” o del naufragio, sia pure – secondo l’augurio del poeta - “dolce”?
C’è gioia nell’infinito regno della materia, nelle cui profondità organiche la sua relazione con la luce della mente e di una coscienza diventa particolarmente evidente. C’è gioia nella luce e la libertà della mente, forse la sola libertà possibile. E c’è gioia anche nella scoperta di quei punti di esplorazione, ma anche di distruzione, che sarebbero al “ nucleo non-razionale di qualche tipo alla base del Grande Tutto”. Non siamo forse riusciti, tra l’altro, a trasformare qualche kg di materia radioattiva in energia atomica e a “coagulare” sul pianeta in bilico un bel po’ di potenza distruttiva? Una persona sensibile e riflessiva, anche quando è tentata di andare sui limiti, resta consapevole dell’estensione del campo della nostra libertà e dell’ambivalenza di psiche. Non è forse vero che quell’inconscio sognato, da giovani, “rizomatico & desiderante”, si è poi rivelato, alla prova dei fatti, piuttosto meschino e polipesco ? Nel ritornare alla scialba luce di un giorno italiano, medio-italiano qualunque, si può essere - culturalmente, se non naturalmente - pervasi da un senso di compassione e di responsabilità . Di una responsabilità che probabilmente inizia dai sogni, dai giochi, dal linguaggio, e dalla libertà di sognare, giocare e delirare – ineliminabile da ogni vita umana.
Sembrerà una follia, ma l’augurio che risuona – fugacemente, furtivamente – nell’uso libero e responsabile del sogno, del gioco e del linguaggio è quello di poter essere riportati da un amore
allo splendore e alla spaziosità del nostro vero essere. Naturalmente è più semplice e comodo – perlomeno così pare – temere in sé e negli altri quel troppo di godimento che l’amico Elvio Fachinelli individuava con il termine di “gioia eccessiva”, e rinchiudersi in una piccola idea della relazione con se stessi, con gli altri e con l’universo. Chissà perché gli amori degli altri appaiono sempre ignobili. Non è facile né divertente essere mortali. Siamo tutti alle prese con qualche cancro, lo stress e la paura che ogni giorno il telefono possa squillare e portare un addio. I filosofi, ma anche numerosi parenti, amici e conoscenti la chiamano “angoscia”. Forse non è sempre colpa nostra se – l’inconscio, se non lo spirito ormai “cablato” e interconnesso - non siamo sempre allenati agli ultrasuoni e al grande abbraccio della vita e del Vivente.
23 dicembre alle ore 14.48 · Mi piace 1
Gianni DM: PARALLELISMI ( tra le parole di Jakob Böhme - citate più sopra - e quelle di Kafka). Non c’è bisogno che usciate dalla stanza. Restate seduti alla scrivania ad ascoltare. Non ascoltate nemmeno, aspettate semplicemente. Non aspettate nemmeno. Restate del tutto immobili e soli. Il mondo vi si offrirà liberamente. Per essere smascherato, non ha scelta. Rotolerà in estasi ai vostri piedi.(Kafka, che di allenamento agli ultrasuoni se ne intendeva).
23 dicembre alle ore 20.47 · Mi piace 1
Gianni DM: Immagino, per gioco, che se un filosofo razionalista passasse qui - tra lacerti di economia gloriosa - forse direbbe: " Ah! Come odio queste comunicazioni telepatiche tra intellettuali". E magari farebbe anche "Uh!Uh! Per piacere! per piacere!...". Agitando la mano davanti agli occhi stanchi, come per scacciare un insetto, o un pipistrello, fastidioso ? - P.S. Marco, spero che il mio contributo all'Olandese volante sia di tuo gradimento. E colgo l'occasione per un augurio cordiale - anche a Giacomo Conserva e a tutti, con un augurio di buon Natale.
23 dicembre alle ore 21.04 · Mi piace 1
Marco B: Il fatto è che non si sceglie di vivere nella sola prospettiva del gorgo, è che il gorgo ci tocca, nel doppio senso che ci spetta e ci incalza, e poi tocca noi, proprio noi, meglio, proprio me che scrivo qui, ora e, per esser precisi, solo me. Tu mi mancherai, Gianni, ma solo io scenderò nel gorgo, muto. E' la costitutiva solitudine del morente che siamo. L'esistenza è disastrosa in sé e per sé, non c'è nemmeno da immalinconirsene. La nostra è un'allegria di naufraghi, una sarabanda di appestati. Non di meno è un'allegria. La danza macabra è pur sempre una danza. Quali saranno le conseguenze? terribili, come dice Giacomo, e correggerei solo un punto: terribili "come sempre" direi, invece che solo semplicemente “come altre volte”. :D
24 dicembre alle ore 9.00 · Mi piace 1
Giacomo C: 'come altre volte', avevo scritto: non come sempre (NoN SONO un catastrofista apriori!)
24 dicembre alle ore 9.16 · Mi piace 1
Marco B: Sì, Giacomo, appunto, sono io che dico "come sempre", correggendo il tuo post solo in un punto, laddove dicevi: <terribili "come altre volte">. :))
24 dicembre alle ore 10.26 · Mi piace 1
Giacomo C: demenza mia incombente
24 dicembre alle ore 12.41 · Mi piace 1
Gianni DM: E' il mondo che è demente, non io, o Giacomo ! O perlomeno è demente solo quella parte di mondo che anch'io sarei. Quanto alla morte, non saprei cosa pensarne, perché la morte introduce nel vivente un'alterità radicale… Nello studio, ho una stampa raffigurante la Tomba del tuffatore ( 400 a .C. ), un particolare di una lastra di copertura di una tomba di Paestum, dalle parti dell’agro nocerino-sarnese, quasi alle falde del Vesuvio, lo “sterminator Vesevo” citato dal Leopardi nella “Ginestra”, composta credo a Torre del Greco, dalle mie parti, dove sono nato… nel febbraio del 1947. Il tuffatore è ritratto in volo, come sospeso, e in basso scorre un fiumicello… forse rapprenta una soglia di al di là. E in tutto questo non c’è niente dell’intensità feroce che generalmente associamo all’idea di morte e di catastrofe. C’è serenità, e misura, nella figura che compare sulla lastra di copertura della tomba di Paestum. E che eleganza! Niente “vuota cornice di spavento” ( Elvio Fachinelli) o “gorgo muto” – anche se il gorgo c’è… E, come ha detto qualcuno, “la morte è il soffitto”… Chissà perché, invecchiando, ci si sente attratti ( come da una “forza muta all’interno dell’organismo” – Freud, a proposito della famosa “pulsione”) dalla terra d’origine – le “radici”, come si dice impropriamente con metafora incongrua, non essendo noi delle piante…). Amo molto le piante, specialmente le più umili piante, le cosiddette erbacce – sono così tenaci e spuntano come la speranza ( quell’altra erbaccia chiamata tale forse perché non se ne conoscono davvero le virtù ) ai bordi dei cimiteri, dei campi di sterminio e degli altri ricorrenti e ripetitivi terribili disastri. Anche bordi delle strade e delle autostrade clacsonanti spuntano le erbacce…Ma quello che volevo dire – a proposito dell’attrazione, forse inevitabile in ogni vita organica, per le piante e naturalmente anche per la materia inanimata, come ad esempio conchiglie, cristalli, vertebre di cammello che da giovane raccoglievo in Marocco, ai bordi dell’oceano, per farne portacandele un po’ hippie – è che dalle mie parti i nonni dicevano che i marinai muoiono, nella maggior parte dei casi, all’alba, e noi contadini e zappatori invece al tramonto, nell’ora del ritorno dai campi… - beh, manca solo la vecchia vestita di nero, in attesa davanti alla porta di casa, o di qualche ospedale. Dove si muore soli, è vero – e la perdita è infinita… La coscienza si svuota dei suoi contenuti ( “estasi bianca”, scrive Certeau nella “Pratica del credere” ) il mondo passa – e noi, i passanti, per non dire i pazienti – temiamo che la morte sia un perire del tutto, e proviamo angoscia ( la cui “vera sede è l’Io”, Freud) e il terrore dell’annichilimento ( la cui vera sede, direi, è il sistema nervoso e organico in via di disfacimento, strato dopo strato – come quando arriva il sonno, il sonno eterno e il computer va in black out. Occorre essere intrepidi, o perlomeno – qualunque cosa accade, e ne accodono di tremende – non maledire mai la vita. Solo questo volevo dire, rinnovando il mio abbraccio e un augurio di Buon Natale. Inutile aggiungere che qualcosa, in me, non ha paura della cosiddetta morte ( sarà per un qualche privilegio del cosiddetto inconscio, ecc), quello che temo di più è la morte delle persone care e anche le cosiddette procedure ( comunali, ospedaliere e tanatomorfiche), tanto che mi capita talvolta, di dire specialmente alla persona che amo e che vive con me: “ Prima io…non sopporterei la perdita…”, e la risposta è: “ No, prima io…”. Gli amanti ( ai quali Hegel suggeriva di nascondersi) si dicono spesso sciocchezze del genere – le si può ascoltare anche in tante stupide e vere canzoni d’amore… Che è eterno – e affiora conservando la sua parte gloriosa nell’annientamento dell’Io e del Mio dove il pensiero fabbrica abissi… e lo scavalca, in ogni più piccolo o grande affettuoso abbraccio, e un tuffo. Quanto alla morte, non saprei cosa pensarne, perché la morte introduce nel vivente un'alterità radicale. Eppure, non sapendo proprio niente della cosiddetta morte ( se non per approssimazione, ascoltando la musica, TRA un battere e un levare, ecc.) mi piace – fatti salvi gli storici realissimi tsunami - immaginarla - con il poeta, Mallarmé – “un modesto fiumicello a lungo calunniato”.
24 dicembre alle ore 14.43 · Mi piace 2
Luigi M: ma poi ciò che è utile, è utile? non è sempre e comunque una questione di conferimento del valore? e questo conferimento che cos'è?
Gianni DM: Un conferimento di valore, Luigi, potrebbe essere la trasmissione - tramite una cultura - di quello che potrebbe essere utile alle creature cosiddette umane & civilizzate. Per definizione, il valore è, in primo luogo, "misura non comune delle doti morali e intellettuali". In Dante, per citare il padre della ns lingua, è sinonimo di virtù. Nella trasmissione della cultura cristiana e cattolica, o in quello che oggi ne resta, l'accento viene posto sul valore della fede, della speranza e della carità.
Ora, la fede sembra ( come del resto anche la ragione) simile a lampada vacillante - sulla quale oggi è di gran moda, come se non bastasse, fare a gara per soffiarci o addirittura sputarci sopra, affinché si spenga del tutto ; la speranza assomiglia a quelle "erbacce", tenaci, che crescono ai bordi dei cimiteri e dei campi di sterminio ( umili pianticelle chiamate "erbacce" forse solo perché non ne conosciamo ancora le virtù); e la carità, talvolta, è qualcosa di peloso.
Tuttavia, continuo a pensare a quanto il "gorgo" ( probabilmente una reale struttura o spirale di morte già agìta e consumata in ciascuno ) ci annienterebbe, se non generassimo da noi stessi, si direbbe quasi maternamente, un altro "gorgo" : quello di un "cuore", con le parole del poeta, in cui riprendere e far risorgere con più forza, durata e gloria tutto quello che banalmente passa e presto si consuma. Se non dal gorgo, forse potrebbe salvarci perlomeno dalla disperazione, aprendoci a quel campo indeterminato a cui è giunto l'innumerabile esistere - anche tramite l'immaginario, il simbolico e il linguaggio che si dice umano.
Come quando - non ricordo dove, forse in "Dopo Babele" o in "Linguaggio e silenzio" - Steiner cita le tremende parole di un appello, forse di una preghiera, che - seguendo lo sguardo di Dio - così risuona: " Ma perché distogli lo sguardo dalla tua più grande promessa?".
Il segno del valore potrebbe essere simile a un grido, a un gemito o all'umido che sgorga agli angoli degli occhi dei monaci in meditazione nei deserti e degli amanti. E potrebbe brillare non dentro, ma attorno alle parole. Sarebbe un modo, forse un pò magico e vero, di prendere contatto con l'infinito vuoto di un'assenza spessa. Non un vuoto nichilista, ma proprio attraverso il nichilismo l'affiorare di uno strano vuoto come fresca traccia del passaggio di uno spazio di non-morte. (…)
mercoledì alle 6.17 · Mi piace
Gianni DM (…) Non si tratterebbe del valore di una qualche scienza o della tecnica, ma dell'affiorare di una qualche profondità suprema che, incarnandosi in un gesto, raro, d'intelligenza, di poesia o di compassione, farebbe segno all'inaudito di una tomba vuota e alla salvezza, anche se forse è troppo presto o troppo tardi.
Sembrerà un passo difficile, se non impossibile, ma è proprio all'impossibile che noi siamo tenuti. Intendo noi disarmati - a parte una cerbottana da lupetti e - chissà - forse la bocca e l'alito ancora freschi di mentina di chiesa e di oratorio. Insomma non so se a evitare il disastro che si sta preparando potrebbe servire il modesto contributo di un lupetto e un po' di vento. Forse l'uomo medio preferisce gli tsunami. In ogni caso, non è detto che tra le maglie di una rete vuota soffi sempre un venticello gentile. Se non proprio uno zombi tutto occhi e muffa, da certi buchi non visti, tombini e innumerabili piccole ferite, anche narcisistiche, volendo, potrebbe anche soffiare all'improvviso un vento terribile, capace di spezzare aghi d'acciao. Niente, o quasi-niente, si direbbe, a confronto del mistero di gloria del suo volto radioso. Spazio di non-morte che fiorisce solo sul terreno della poesia, della fede, della follia degli amanti e dei giochi dei bambini. Oltre che, talvolta, ma con esiti generalmente disastrosi, sul terreno delle rivoluzioni e delle utopie che lasciano il tempo che trovano. Nel gorgo, forse in una reale struttura o spirale di morte già agìta e consumata in ciascuno. (…)
Gianni DM (…) D’altra parte, cos'altro opporre all'occhiolino di Medusa, alla perdita infinita e alla fascinazione di un terrore senza fine, se non la più incerta delle promesse e la più difficile e scandalosa delle figure ? La figura che ci venne trasmessa fu quella del corpo di un dio-uomo che, come un verme con un cuore divino, anch'esso ferito, osava innalzarsi sulla croce, scendere all'inferno e risorgere in un "corpo di gloria" per la salvezza dell'innumerabile esistere. Erano i tempi in cui qualcosa in noi, anch'esso ferito, era ancora capace di adorazione. Era l'appello di una campana. E la preghiera non guariva i mortali e i morenti, ma perlomeno li salvava dalla disperazione. Dalla disperazione della spirale, ecco da cosa li guariva. Era quando tutto - compreso l'universo - ardeva e bruciava salendo come incenso al trono dell'Agnello di Dio.
Chi ti dirà se il sacrificio e il tempo così consumati saranno stati utili o inutili? Eppure sappiamo tutti, anche se abbiamo voluto dimenticarlo, cosa significa la parola solitudine. A ognuno il suo calvario e la sua Patmos? Lo lasceremo forse solo? Come se solo lui - che è interamente bruciato per riscaldare gli altri - sapesse di che legno fosse fatta questa storia, e se pesava? Come se avessimo dimenticato, che se ancora qualcosa di significativo e di valido resta, è imparare a vivere, amare e morire ? Al buio, tra malori e valori, occorrerà restituire tutti i gioielli? ( Forse è il tempo solo il tempo, o forse solo una qualche modesta curvatura di psiche, a piegarmi in un punto di domanda: ? ). E ancora: come diceva quello scout allenato a fare il surf su cavalloni immensi? " L'importante- è- che- i- ragazzi- tornino- tutti- a –casa- sani- e- salvi". Ridevamo, noi lupetti, perché quel “ragazzi” ci sembrava un termine così cattolico! Ma quel “tornino tutti a casa sani e salvi”, ci sembravano finalmente delle parole chiare. Su sfondo oscuro, certo, come del resto tante altre parole dette da certi esploratori e specialmente le idee più chiare. Buona notte. E' ora di tornare al lavoro, adesso.
P.S. Anch'io mi chiedo "ma poi ciò che è utile, è utile?". In ogni caso, noi lupetti siamo abituati a sperare, e persino ad augurarci tra noi, che soffi finalmene il vento. Non crediamo di poter ardere senza bruciare. Speriamo solo che non soffi un ventaccio, ma un venticello gentile. Come diceva quel poeta? ... "A bassa voce, quasi senza voce, in un angolo di blog, nel timore che tutto perisca, tutto rifiorisca. E tutti tornino a casa sani e salvi".
mercoledì alle 6.18 · Mi piace
Gianni DM: Un'altra cosa che abbiamo voluto dimenticare, forse non a caso, è che il dio dei nostri padri - all'origine della civilizzazione occidentale - non era l'Essere dei filosofi o di quell'emulo di Magellano che fu Hegel, ma il dio del "roveto ardente" il cui nome sarebbe: Io sono Colui Che Sarà. E che un altro padre, per averlo incontrato, se ne uscì zoppicando dalla lotta con l'Angelo. Certamente non era solo l'angelo della parola, in ogni caso se ne uscì ferito all'anca ma con un nome nuovo. Al che, Freud osserva qualcosa come: " Quello che non si può raggiungere a volo, lo si può raggiungere zoppicando. Zoppicare non è peccato". ( Dovrò verificare la citazione… ecco ( un clic e… potenza della tecnologia, la citazione si trova a conclusione del suo Al di là del principio di piacere:”Ciò che non si può raggiungere a volo, occorre raggiungerlo zoppicando…la Scrittura dice che zoppicare non è una colpa.” Freud, S (1920) Al di là del principio di piacere.Opere, 9 ,.Torino:, Boringhieri 1989, p.249).
mercoledì alle 6.49 · Mi piace
Giacomo C: c'era un detto latino- tempus loquendi, tempus tacendi- io per lungo tempo ho propeso per il silenzio, seguendo Lao Tze (o la mia interpretazione di Lao Tze: chi è saggio non parla). Oggi penso che bisogna parlare parlare parlare- che abbiamo bisogno di qualcosa come un brainstorming universale se vogliamo che emerga (non semplicemente qualche idea, o un po' di empatia- che non fanno comunque male, anche se emergono a caro prezzo -statisticamente parlando-; no, davanti alla ekpyrosis finale che ci minaccia -cosa di cui sono fermamente convinto, e che mi riservo di argomentare in modo noiosamente esteso e, credo, logico,- se vogliamo che davanti alla distruzione finale e totale emerga) una capacità di dire 'noi', un pensiero fantastico-progettuale capace di aprire miracolose strade nel deserto che si accumula, che si sviluppino fantasie nostre (fantasie condivise o comunque condivisibili), trasformazioni all'interno e all'esterno secondo modalità che prima non avremmo neanche preso in considerazione (modalità 'celestiali'- o forse anche 'infernali' bisogna aprire le barriere del discorso (diceva will b.) e sperare sperare sperare, e parlare parlare parlare parlare parlare.
mercoledì alle 8.27 · Mi piace 1
Luigi M: non ce la faccio a leggere commenti troppo lunghi. ho bisogno di sintesi, almeno su facebook.
giovedì alle 17.32 · Mi piace
Luigi M: e so bene che si tratta di argomenti bisognosi di cure linguistiche estreme.
giovedì alle 17.33 · Mi piace
Marco B: Sono con te, ma anche tu non scherzi (ricordo male?) - in ogni caso Giacomo C. riprenderà tutto il dialogo sul suo blog (anche se non so quando):
giovedì alle 17.35 · Mi piace 1
Gianni DM: Parlare ( a tempo e a luogo) per dire la propria parola, tra culla e bara, nel morire, prima di morire da lontano.
E dopo un momento di sospensione ( come un appello, un ES-O-S) e quasi di afasia, gettarsi in un angolo a scrivere contro la propria dissipazione ( "dissipazione", che terribile espressione - che forse per accumulo di tutte quelle "s" sembra evocare un sibilo e il serpente, un sentire e uno svanire nel risucchio e l'eco dello spaventoso gorgo, a un tempo così vicino al cuore, forse troppo, eppure così lontano...).
Quando si ha una visione da lontano accadono felici incidenti. Al mattino di oggi revisionavo il mio sito in ristrutturazione, quando ritrovavo il seguente messaggio di Alain, un amico appunto lontano:
" L'amour porte vers l'étrangeté radicale du désir et de sa parole, la haine vise la destruction de la parole. Il faut le savoir lorsqu'on entre dans le difficile chemin vers la parole vivante. Il faut se protéger absolument de la haine destructrice et compter sur les amis véritables qui tiennent dans les doigts d'une seule main."(Alain-Henri-Gangneux-Bourgoin).
Gran mistero l'entrata nella lettura, questa strana sospensione alla parola dell'altro...a una parola che ci sostiene. Sostenersi alla parola vivente degli amici e degli autori decisivi porta talvolta a pensare che siamo creature, per così dire, porose, permeabili al suono e agli ultrasuoni dell'innumerabile esistere, e forse niente in sé stessi. Una riflessione che fa pensare a un destino più aperto di quello che sarebbe contenuto in una piccola e prudente idea della relazione con se stessi, con gli altri e con l'universo.
Occorre dire che molti non sentono o forse non vogliono sentire. C'è qui un punto di forse inevitabile ambivalenza che è il punto di partizione tra le forze congelate dell'odio e quelle aperte, luminose e desideranti dell'amore - che talvolta bruciano in pura perdita, gloriosamente, per dar calore agli altri.
L'amico o l'amica è il luogo della parola vivente: "Parce que c'est lui, parce que c'est moi" (Montaigne)'. L'amico e l'amica sono anzitutto dei poeti, dei trasmettitori di vita, dei portatori di parole viventi, di calorosi abbracci e di luce.
Nel movimento vivente della scrittura le parole sprigionano così le scintille di uno strano fuoco. E andando oltre, sempre oltre, forse andando incontro all’ imprevisto, esprimono il desiderio di uno spazio di non-morte.
A volte le parole sembrano niente altro che cenere. Perlomeno così pare, finché non incontrano un lettore attivo, diventando le rivelatrici di una cosa ardente e come proveniente da molto lontano che cerca di farsi strada, e talvolta vi riesce – per quanto possa sembrare inaudito o subito rimosso.
Le ceneri della Fenice, del Cristo-Fenice ? Basta un soffio (non-mio, ci mancherebbe altro) per creare e distruggere miriadi di universi. Esporsi al vento del numinoso e delle tensioni fondamentali, così come soffiare sulle ceneri del già detto per far riprendere il volo alle parole e rivelarne il nucleo incandescente, è un lavoro a un tempo delicato e rischioso. Non ci si illuda, amici, di poter ardere per amore, senza bruciare. Occorre, mi pare, non solo una visione da lontano ma anche un punto di vista sufficientemente elevato, un’altezza per così dire cruciforme e trinitaria che dipende da questo o quell’autore.
Parafrasando Oscar Wilde, quel delizioso bugiardo non privo di tremenda ironia e di perspicacità : “ Il grande vantaggio del giocare col fuoco è che non ci si scotta mai. Sono solo coloro che non sanno giocarci che si bruciano del tutto ”.
giovedì alle 17.35 · Mi piace
Luigi M: appunto
giovedì alle 17.37 · Mi piace
Gianni DM: Appuntito e sommario, direi. Cmq grazie ( e, se del caso, volendo satireggiare: Scio' scio' ciucciuve'!)
giovedì alle 18.01 · Mi piace
Gianni DM: "...Il faut se protéger absolument de la haine destructrice et compter sur les amis véritables qui tiennent dans les doigts d'une seule main."(Alain-Henri-Gangneux-Bourgoin). Appunto.
giovedì alle 18.02 · Mi piace
Luigi M: la haine destructrice?
giovedì alle 18.04 · Mi piace
Giacomo C: (potenziare la haine constructrice!!!)
giovedì alle 18.10 · Mi piace
Giacomo C: 'constructrice' esiste davvero (reperito sul collins online); e, a livello più sostanziale, ricordo bene di non aver solo visto una Sibilla appesa a un canestro (che voleva morire), ma su un libro o libretto un tempo ben noto questa apodittica affermazione: 'conosce veramente chi veramente odia ' (che ebbi il buon gusto di mettere in epigrafe, o in conclusione, alla mia tesi di specialità)
giovedì alle 18.20 · Mi piace
Gianni DM: In effetti bisogna sempre distinguere la haine destructrice e la haine constructrice. Il potenziamento della seconda serve a tenere sotto controllo la prima.
giovedì alle 18.24 · Mi piace
Luigi M: e l'amore che rigenera?
giovedì alle 18.39 · Mi piace
Luigi M: l'oscenità dell'amore
giovedì alle 19.04 · Mi piace
Gianni DM: Luigi chiede qualcosa sulla haine destructrice. Sinteticamente direi che in primo luogo non si tratta di un sapere ma di una verità - una verità antropologicamente e storicamente ( se non metafisicamente) fondata. Basti osservare l'estensione e la profondità delle innumerabili devastazioni interne ed esterne. Per portare alla luce questo o quell'aspetto della haine destructrice, occorrerebbe strapparne qualche brandello di verità all'immondo - operazione delicata e rischiosa che non è il caso di mostrare qui.
Anche perché, oltre all'oscenità di un amore ( amore per la conoscenza) affiorerebbero numerosi buchi, ferite e lenzuoloni sanguinanti, oltre a spaventosi bubboni - tanto che qualcuno potrebbe spaventarsi, dire che è "troppo" e costringere l'operatore a richiudere e ricucire le oscene voragini, e magari anche a dimettere o a seppellire il paziente in fretta. Quanto alla capacità dell'amore di rigenerare, direi "forse".
In ogni caso, ecco un appunto: la speranza umana ( anch'essa una verità e non un sapere) va addirittura oltre la speranza in una rigenerazione (ciclica), che pure sarebbe auspicabile. Infatti il tema cristiano della trasformazione del corpo mortale a immagine delil "corpo di gloria” del Cristo-Fenice annuncia una immortalità "sovrannaturale" e non ciclica. Insomma, non saremmo avviati, in un giro senza fine di travestimenti multipli, verso un brillante avvenire di scheletri, ma la nostra carne e le ossa risplenderebbero, una volta per tutte, della luce di un eterno virgulto. L'eternamente giovane, il nostro amato Gesù Cristo, in effetti brilla nell'immaginazione degli amanti come il chiarore di una perla, che sembra appartenere e non appartenere al mondo.
P.S. Scrivere dell'odio, dell'amore e della resurrezione della Fenice è la scrittura meno gratuita che esista, la più pericolosa. Come giocare con il fuoco, se non con la mitologia o addirittura la Cosa di Mosé. Forse è la scintilla di un altro desiderio, più alto delle stelle che proprio in questo preciso istante stanno bruciando una a una nel gorgo, più sottile dell'ala di uno spirito e più veloce della morte abituale. Con le parole del poeta, anzi della poetessa Emily Dickinson:
"E' un'angoscia più intensa della gioia,
è il dolore della Risurrezione,
quando le schiere dal rapito volto
di là dal nostro dubbio nuovamente s'incontrino.
E' l'estasi violenta che scuoterà la tomba,
quando il sudario allenterà la stretta
e creature vestite di miracolo
saliranno a due a due".
giovedì alle 19.35 · Mi piace
Marco B: :))
giovedì alle 19.37 · Mi piace
Gianni DM: ;-)
giovedì alle 19.39 · Mi piace
Luigi M: esiste un santo della sintesi, così come Lucia lo è della vista?
giovedì alle 19.44 · Mi piace
Gianni DM: Sì, si chiama sant'Estruvio. E, come Lucia fa' miracoli. E' capace, Luigi, di stronzificare l'Essere e gli esseri in un breve, sintetico battito di ciglia.
giovedì alle 19.47 · Mi piace
Luigi M: la sintesi è anche una forma di autodisciplina
giovedì alle 19.50 · Mi piace
Gianni DM: Non c'è dubbio. Talvolta la sintesi sarebbe auspicabile. E lo riconosce uno che appartiene a una generazione indisciplinata & dissidente, accusata di aver fatto "troppo", sempre "troppo"...
giovedì alle 19.54 · Mi piace
Imperfetta E: non è una questione di entropia, caro Marco?
giovedì alle 20.24 · Mi piace
Gianni DM: E' questione di criteri d' impaginazione e del mezzo che si usa. I social network richiedono e quasi impongono una scrittura sintetica che però occulterebbe quei tratti effusivi e dispendiosi che caratterizzerebbero l'economia gloriosa. Volendo obbedire più alla natura della parola che a Fb, avendo fissato liberamente la disciplina e i limiti della fedeltà alla parola e del disinteresse, potrei anche correre il rischio di essere licenziato come accade agli "esuberi" in certe fabbriche. L'utilità è importante ma non è l'essenziale. Non vorrei sembrare un po' strabico, ma perché, Luigi, invece di guardare la rinfrescante luna guarda il ditone ( certo un po' sovradimensionato rispetto ai criteri nani della tecnologia ) che la indica?
giovedì alle 20.28 · Mi piace
Gianni DM: In un universo scientificamente isolato e tecnologicamente amministrato dai guardiani dei bisogni, anche di sintesi, della gente - i piedi in bilico su vertigini di stelle e la paura di godere troppo, sempre troppo, se non ci si dà una disciplina, magari licenziando i matti, i poeti, i santi, i visionari, i vecchi, gli handicappati, gli extra, i bambini e gli amanti, mortificando la Terra e l'universo mondo un po' con la scusa dell'ascesi, un po' con l'Eurocrisi e un po' con il principio di realtà, e tagliando qua e là, nel vivo - ebbene, l'ipotesi della distruzione non potrebbe che darsi in un principio fisico fondamentale, il principio della degradazione dell'energia, che afferma termodinamicamente, realisticamente e sinistramente l'ineluttabilità della 'morte termica' dell'universo, il passaggio irreversibile, in un sistema isolato, da una condizione di entropia più bassa a una di entropia più alta. Se fossimo in un romanzo di fantascienza, un marziano o un criptoangelo direbbe: "D'accordo, siete furbi e disciplinati e avete scoperto che è la famosa Spirale. E allora ?". Amici, sono tra due porte, in partenza per un paese del Sud. Un saluto. A presto, spero. E, con il vostro permesso, un imperfetto abbraccio.
giovedì alle 21.26 · Mi piace
Luigi M: sei convinto di vivere in un universo amministrato da dei (!) guardiani? Preferisci la tirannia del linguaggio a quella di facebook? Sono tirannie o campi che richiedono infallibilmente la tua presenza? per quanto riguarda l'entropia, vorrei tanto che al posto mio parlasse il sommo prigogyne: tanto per sfatare i miti della distruzione e della dissipazione. in effetti un universo destinato al nulla è coerente con un mondo amministrato da "dei" guardiani.
giovedì alle 21.35 · Mi piace
Gianni DM: Uff, sono in ritardo all'aeroporto... In effetti, non si sa da dove arrivi l'autorizzazione a dire ( così come anche a fare musica, dipingere, scrivere o praticare le altre arti che sarebbero un equivalente della scrittura). Può anche darsi che il linguaggio arrivi ad esercitare una specie di tirannia. Cmq vi sono angoli morti che sfuggono alla vista dei tiranni, dei guardiani dei bisogni e dei loro apparati ( dando luogo a improvvise rivolte impreviste, se non a delle rivoluzioni, ecc). In ogni caso, se una parola mi opprime, mi ribello - un po' perché mi ci sono allenato con disciplina e un po' perché va da sè. Questo per quanto riguarda la mia per niente infallibale presenza nel campo del linguaggio o di Fb. Ora di partire, l'aereo, o l'astronave, non attende, non ha bisogno di me per partire e volar via. Grazie. :-D
giovedì alle 22.14 · Mi piace 1
Gianni DM: nota. Il termine" estruvio" usato più sopra è un neologismo, l'ingegner Gadda diceva "estruso" :-)
21 ore fa · Mi piace 1
https://www.facebook.com/groups/137455229681146/?ref=ts
scrittura in perdita, cercando la verità
(denn das Fragen ist die Frömmigkeit des Denkens:
domandare è la pietas del pensiero)
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