BEYOND THE ADVANCED PSYCHIATRIC SOCIETY- A COLLECTIVE RESEARCH/ OLTRE LA SOCIETA' PSICHIATRICA AVANZATA- UNA RICERCA COLLETTIVA


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mercoledì 24 agosto 2011

TIJUANA 3/ita: JJ-180 [PK Dick, "Illusione di potere"]


Capitolo 14   
Tijuana, di notte


Eric camminava senza meta, E strisciando i piedi. Si lasciava alle spalle, una dopo l’altra, le insegne al neon delle botteguzze strette come cabine, tendeva l’orecchio ai richiami degli spacciatori messicani di droghe, e si godeva come sempre l’incessante fluire e l’ininterrotto risuonare di clacson di vetture private e di taxi automatici. C’erano pure delle antiche auto a turbina fabbricate negli Stati Uniti e trasportate chissà come, decrepite com’erano, di qua dal confine. 
— Una ragazza, signore? — Un bambino di non più di undici anni afferrò Eric per la manica e ci si appese, costringendolo a fermarsi. 
— Mia sorella. Sette anni, e non è mai stata con un uomo in vita sua. Glielo giuro davanti a Dio, lei sarebbe assolutamente il primo. 
— Quanto? — chiese Eric. 
— Dieci dollari più il prezzo della camera: in nome di Dio, deve esserci una camera. Il marciapiede trasforma l’amore in qualcosa di sordido: lei non può mettersi a farlo qui e poi sentire ancora rispetto per sé. 
— Le tue parole sono sagge — ammise Eric. Ma continuò per la sua strada. 
Nelle ore notturne, per antica consuetudine, non si vedevano in giro i venditori ambulanti androidi i loro enormi e inutili tappeti e cesti intrecciati a macchina, e coi carretti pieni di involtini e pasticci di peperoni: la popolazione diurna di Tijuana scompariva insieme con i turisti americani di mezza età per lasciar posto a quella notturna. 
I passanti, che camminavano più in fretta di Eric, continuavano a superarlo. Una ragazza con gonna e maglietta attillatissime lo sfiorò... come se (pensò Eric), una relazione durevole legasse le nostre vite, e questo improvviso scambio di calore attraverso un contatto corporeo rappresentasse la più profonda comunione possibile tra noi due. La ragazza passò oltre e scomparve. Alcuni ragazzotti messicani, piccoli e tozzi, che indossavano giubbotti di pelliccia aperti sul collo, puntarono direttamente verso Eric, con la bocca spalancata come se fossero sul punto di soffocare. Eric si affrettò a spostarsi, per non doversi trovare sul loro cammino. 
Pensava: “In una città dove tutto è legale e nulla acquista un vero valore si è come riportati indietro nell’infanzia, collocati in mezzo ai cubetti per costruzioni e ai giocattoli, con l’intero universo a portata di mano. Il prezzo di tale evasione è alto: consiste in una rinuncia alla maturità”. E tuttavia Eric amava tale evasione. Quel rumoreggiare, quell’agitarsi significavano vita autentica. Alcuni potevano giudicare ciò malvagio, ma Eric no. Chi pensava così si sbagliava. Quelle bande di ragazzetti, per esempio, che vagavano senza sosta alla ricerca di qualcosa che essi ignoravano e che forse Dio solo sapeva: la forza che li spingeva era il genuino impulso del protoplasma primordiale. Una volta quel moto frenetico e incessante aveva condotto la vita dal mare sulla terra: divenuti ora creature di terra, continuavano ugualmente a girovagare, su per una strada e giù per l’altra. Ed Eric si mescolava in mezzo a loro. 
Più avanti c’era un gabinetto di tatuaggio, moderno ed efficiente, illuminato da una parete risplendente. Il padrone, all’interno, lavorava con un ago elettrico che non perforava la pelle, ma la sfiorava incidendo un disegno a tratto continuo. Perché no?, si chiese Eric. Che cosa mi posso far tatuare? Quale motto o immagine potrebbe essermi di conforto in questo periodo così gravido di minacce, in questo momento in cui attendiamo che i lilistariani arrivino per impossessarsi della Terra? Impotenti e atterriti come siamo, diventiamo tutti quanti dei pusillanimi. 
Eric entrò nel salone e si sedette. — Può scrivermi sul petto qualcosa come... — Esitò, pensando alla frase più idonea. Il padrone continuò il suo lavoro su un nerboruto soldato delle NU che teneva lo sguardo fisso nel vuoto. — Voglio un disegno — decise Eric. 
— Guardi i campioni. 
Eric sfogliò a casaccio l’album. C’era una donna con quattro mammelle, in ciascuna delle quali si leggeva un’intera frase. Non andava bene: Eric girò pagina. Un’astronave con lingue di fuoco che uscivano dalla coda. No: gli ricordava il suo duplicato del 2056, che egli aveva deluso. Gli venne in mente una frase: “Sto dalla 
parte dei reeg”. Mi farò tatuare questa, a uso degli agenti di Lilistar. Così non dovrò prendere ulteriori decisioni. 
— Si è deciso, lei? — chiese il padrone della bottega, che aveva finito col soldato. 
— Voglio che mi scriva sul petto: Kathy è morta. Okay? Quanto costa? 
— “Kathy è morta” — ripeté l’uomo. — Morta di cosa? 
— Sindrome di Korsakow. 
— Devo mettere anche questo? Kathy è morta di... come si scrive? — L’uomo prese penna e carta. — Non vorrei sbagliare. 
— Dove posso trovare delle droghe da queste parti? — chiese Eric. — Droghe vere, capisce? 
— Nella farmacia qui di fronte. Sono la loro specialità, amico. 
Eric uscì dalla bottega e attraversò la strada, dove il traffico formava quasi un muro impenetrabile. La farmacia era arredata all’antica: nella vetrina spiccavano modelli di piedi deformi, contenitivi per ernia, bottiglie di colonia. Eric aprì la porta, che si azionava a mano, e si diresse al banco. 
— Sì, signore? — disse un uomo con capelli grigi e aria professionale, che indossava un camice bianco. 
Eric tese una banconota da cinquanta dollari USA. — JJ-180. Tre o quattro capsule. 
— Cento dollari. 
Che ladri!, pensò Eric. Aggiunse due banconote da venti e due da cinque. Il farmacista scomparve nel retro, tornando poi con una boccetta di vetro che depose davanti a Eric; quindi raccolse le banconote e le ripose nell’antiquato registratore di cassa, battendo l’importo. — Grazie — disse Eric. Prese la boccetta e uscì dalla farmacia. 
Camminò più o meno a casaccio fino a quando ritrovò il Caesar Hotel. Entrò. L’impiegato sembrava lo stesso che lo aveva accolto quello stesso giorno quando era andato lì con Deg Dal Il. Questo giorno, pensò Eric, è durato anni. 
— Ricorda il reeg con cui sono venuto? — chiese all’impiegato. Questi lo guardò senza rispondere. 
— È ancora qui? — continuò Eric. — È vero che è stato fatto a pezzi da Corning, il sicario lilistariano di questa zona? Mi mostri la stanza. Voglio quella che ho già preso. 
— Pagamento anticipato, signore. 
Eric pagò e ricevette la chiave. Salì in ascensore, quindi percorse il corridoio deserto, e arrivato alla porta della stanza l’aprì e fece un passo all’interno cercando l’interruttore. 
La stanza si illuminò, ed Eric vide che non c’era più alcuna traccia del reeg. La stanza era vuota, come se Deg fosse scomparso... o comunque partito. Eric riconobbe che il poveraccio aveva avuto ragione chiedendogli di essere riportato al campo di concentramento: aveva sempre saputo che la cosa sarebbe finita in quel modo. 
Eric si accorse che la stanza lo riempiva di orrore. Aprì la boccetta, tolse una delle capsule di JJ-180, l’appoggiò al tavolino da toilette, e con una moneta la divise in tre parti. Ne inghiotti una, bevendo un po’ dell’acqua contenuta nella brocca; poi si affacciò alla finestra, per guardar fuori durante l’attesa. 




-"droga", pp. 131-136 in Antonio Caronia e Domenico Gallo "La macchina della paranoia. Enciclopedia dickiana", AGENZIA X, 2006  CREATIVE COMMONS  [http://www.agenziax.it/imgProdotti/4D.pdf]



                    hotel caesar


1 commento:

  1. 'JJ-180 fu la prima banda punk di Santa Cruz (1977-1981)'.
    Il libro, naturalmente, era stato pubblicato più di dieci anni prima.
    Il Caesar Hotel esiste davvero-

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