BEYOND THE ADVANCED PSYCHIATRIC SOCIETY- A COLLECTIVE RESEARCH/ OLTRE LA SOCIETA' PSICHIATRICA AVANZATA- UNA RICERCA COLLETTIVA


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martedì 16 giugno 2015

LINK: Intervista della Redazione di POLISCRITTURE a Luca Lenzini, curatore dell’Oscar Mondadori “Franco Fortini, Tutte le poesie”




http://www.poliscritture.it/2015/06/15/fortini-on-the-road/#more-2425


L’anno sessantaquattro

1.
Correvo in auto la luminosissima Brianza
e foglie rotolavano pulite nella danza
d’aceri e tigli brune e gialle precipitose
tra cementi d’officine piccole e stecchi di rose
robinie color volpe campings semidivelti
i tavoli dei bar ristoranti capovolti
le piume d’un coniglio nella palta
di sangue impresso e fisso sull’asfalto
le operaiette dei turni affollate allo spaccio
e lassù nel turchino prealpino di ghiaccio
la notizia che l’anno finiva.

2.
Va’ via, getrübtes Jahr, va’ via mit deinen Schmerzen
Stanotte affili Bórea le trombe delle feste.
Battano gli impiantiti di dancings e di casolari
le impiegate tenui e le dure comari.
E anche la ubriaca magra dei muratori
che tra spini di siepe scuote a sfida i colori
del viso decorato di nero bianco e rosso

e la gonna che striano erba e creta di fosso
anche lei calchi e stritoli l’annata sotto il tacco
quando dai poli sibili di radio la distacchino
e dormire nel grigio che viene.


[poliscritture n. 3, novembre 2007
http://www.poliscritture.it/?wpdmdl=1841

Adorno, Fortini/Gryphius, Alciati

http://www.kasparhauser.net/periodici/10%20Lichtung/Conserva-Adorno.html]


domenica 7 giugno 2015

"Heidegger e i Quaderni Neri. (La pietà del pensiero)" [AGUAPLANO, Francesca Brencio ed., texts by Paolo Beretta, Francesca Brencio, Sonia Caporossi, Marco Casucci, Francisco Gómez-Arzapalo y V., Michael Kraft, Luis Alejandro Rossi, Ángel Xolocotzi Yáñez] / Dawn comes to the Badwater Basin





“And what is the use of talking, and there is no end to talking,

There is no end to things in the heart.”

Ezra Pound, "Exile's Letter", RIHAKU (Li Po)




Heidegger è stato antisemita? Di che tipo di antisemitismo si tratta? La Judenfrage è davvero il cuore degli Schwarze Hefte? Che tipo di responsabilità si possono ascrivere alla filosofia di Heidegger davanti all’orrore dell’Olocausto? Perché questa ossessione solo per il “caso Heidegger” e non nei confronti di altri filosofi, dichiaratisi apertamente antisemiti e nazisti? E perché questo diffuso anti-heideggerismo di ritorno? Come collocare l’interpretazione di Heidegger nella storia della filosofia dopo la pubblicazione dei Quaderni Neri? Ha senso pronunciare ora, allo stato attuale della pubblicazione della Gesamtausgabe, giudizi definitivi o tentare ricostruzioni a posteriori? Queste sono alcune delle domande alla base del libro. Il lavoro sulle Überlegungen II-XV e sul recentissimo volume delle Anmerkungen I-V ha rappresentato un’occasione importante per praticare un’ermeneutica scrupolosa e libera da ideologie di ogni sorta; per riflettere sui molti temi contenuti nei Quaderni Neri e problematizzarne le domande radicali, rinunciando alla dicotomia delle risposte che vedono gli interpreti dividersi fra apologeti e detrattori. Ciò che è emerso da questo lavoro è che il pensiero di Heidegger, anche quello caratterizzato dalle affermazioni più abissali e dal buio della storia che le ha alimentate, è qualcosa di più dell’affaire Heidegger. Forse Gadamer non ha mai avuto torto: «Se uno è convinto di essere “contro” Heidegger – o anche se crede semplicemente di essergli “favorevole” – si rende ridicolo. Non è così semplice passare davanti al pensiero».
[Dal catalogo di Aguaplano, presentazione del libro]




PREMESSA
(pp. 7-12 del libro)

  Ci sono libri che si tenta di scrivere come se si 
rincorressero,  quasi inseguendoli, dal momento 
che si stagliano nel proprio cammino di pensiero 
come delle mete da raggiungere, o come un 
traguardo già raggiunto; e libri che si scrivono 
senza andarne alla ricerca. Questo libro rientra 
a pieno titolo nella seconda categoria: non è stato 
cercato, non  era fra gli obiettivi recenti da 
conseguire bensì è accaduto, con tutta la 
problematicità che questo accadere ha 
comportato,  sia  nei termini di progetti lavorativi 
da riorganizzare, sia della relazione che la mia 
educazione filosofica ha con il pensiero di Martin 
Heidegger. 
  Quasi tutta la mia formazione ruota intorno a 
Heidegger, se si escludono quegli amori filosofici 
a cui non ho mai (o quasi) dedicato scritti destinati 
alla pubblicazione. Dapprima con studi che 
si ponevano a cavallo fra la metafisica e il suo 
oltrepassamento; in un secondo momento con 
lavori sul pensiero poetante; infine, e per lungo 
periodo, con un intenso lavoro 
sull’Auseinandersetzung con Hegel e l’idealismo 
tedesco, Heidegger è l’autore con cui mi sono 
confrontata e anche scontrata, cercando 
costantemente di sottrarmi alla fascinazione che 
il suo pensiero esercita, eppure riconoscendogli 
la possibilità di essere ancora fecondo di 
interrogativi validi per il nostro tempo. 
  Negli ultimi anni, il mio rapporto con il Denkweg 
heideggeriano è stato declinato in settori che 
coniugano la filosofia con le scienze mediche, con 
particolare attenzione all’intersezione tra la 
fenomenologia e la psichiatria, settori distanti dai 
temi che questo libro tratta. Venendo da studi 
interdisciplinari e da esperienze di lavoro con 
alcuni psichiatri nel Regno Unito, nei miei 
programmi per l’anno appena trascorso non 
rientrava lo studio del materiale contenuto nei 
volumi 94-97 della Gesamtausgabe con il fine 
di trarne un libro: mi ero proposta di leggere quei 
testi solo per mia personale curiosità e 
formazione. Ma come tutte le storie che stanno 
dentro a un libro, anche quella che sto 
raccontando ha preso altre strade. 
  Alterne vicende mi hanno portata ad assumere 
l’impegno di curare questo libro: da un lato, 
un’idea nata dall’esperienza di redazione per la 
rivista di filosofia «Kasparhauser» è maturata con 
l’intenzione di capire il cuore autentico dei 
Quaderni heideggeriani; dall’altro, nel corso degli 
ultimi mesi ho assistito a un proliferare di studi, di 
interventi sulla stampa, di dibattiti e anche di 
gossip che mi hanno creato non poco imbarazzo e 
perplessità. Per tutta una serie di motivi. 
  In primo luogo, il fattore linguistico – se si vuole il 
primo scoglio contro il quale si urta quando ci si 
avvicina a questi volumi. Essendo disponibili fino a 
oggi soltanto in tedesco, mi sono chiesta 
quanti studiosi, fra coloro che si sono prodotti in 
commenti e articoli, abbiano davvero preso in 
mano i testi e portato a compimento la fatica, a 
tratti snervante, di leggere nella lingua di 
Heidegger: il tedesco “piegato” alle esigenze del 
suo pensiero e a uno stile complesso, denso, 
ricco di variazioni formali e manierismi.  Partendo 
dalla personale impressione in base alla quale 
pochissimi in italia hanno compiuto questa fatica, 
mi sono chiesta come sia stato possibile che 
alcuni autori abbiano espresso valutazioni 
sull’antisemitismo di Heidegger senza aver avuto 
accesso al testo; ciò ha fatto sorgere in me la 
domanda sulla legittimità di quelle valutazioni, 
chiedendomi se esse siano state formulate 
tenendo conto del testo scritto da Heidegger – 
cioè a partire da un confronto serrato e critico con i 
quattro volumi finora editati. 
  In secondo luogo, ho assistito a un 
(in)consapevole uso della petitio principii come 
metodologia con cui scrivere sui Quaderni 
Neri, ancora una volta senza infilarci il naso, senza 
leggerli, senza problematizzarli, senza prendersi la 
briga di confrontarli con ciò che Heidegger 
scriveva in quegli stessi anni. Ho letto pagine 
contenenti fallacie mereologiche e conseguenti 
bias di conferma che non portano alcun 
sostanziale contributo alla comprensione del 
pensiero di Heidegger dopo la pubblicazione di 
questi primi quaderni: rimangono sulla loro soglia, 
convalidano le anticipazioni e le ipotesi del singolo 
studioso, alimentano la polemica ma non 
conducono alla comprensione di ciò che 
in questi libri è scritto. In assenza di 
un’ermeneutica dei Quaderni Neri, che mi sembra 
necessaria e urgente, si è scritto di tutto, persino 
di ciò che in questi volumi non c’è. L’inclinazione al 
sensazionalismo, unita alla diffusione di passaggi 
degli Schwarze Hefte estrapolati dal loro contesto, 
ha reso la comprensione di questo materiale 
ancora più problematica di quanto già non fosse in 
nuce. È bastato poco, dunque, a fare in modo che 
il pregiudizio assumesse la forma della sentenza, 
in un processo mediatico che nulla ha a che 
vedere con il silenzio e il rigore tipico della ricerca 
scientifica. Si è arrivati così persino a proporre 
l’esclusione di Heidegger dalla storia della filosofia 
in nome delle proposizioni antisemite 
presenti in questi volumi: un po’ come se si 
volesse estromettere l’opera poetica di Rimbaud 
dalla storia della letteratura a seguito 
del commercio di schiavi e armi a cui si dedicò dal 
1885 in Africa – gesta, queste, che, per quanto 
possano essere considerate riprovevoli, mai 
potranno cancellare l’esperienza poetica che si 
consumò nell’adolescente di Charleville. 
  In terzo luogo, il fattore consumistico: a fronte 
della pubblicità che i quattro libri hanno ricevuto, 
si è assistito a un voler scrivere di Heidegger e su 
Heidegger a tutti i costi e senza precedenti, 
senza magari avere la necessaria, chiara e 
profonda conoscenza dell’autore, requisito 
essenziale per muoversi con scaltrezza nelle 
maglie che il suo linguaggio crea (quello che 
sarcasticamente viene definito “heideggerese”): 
senza andare al cuore della sua 
riflessione, per sollevarne sia i limiti che i meriti, 
fondatamente. 
  A scanso di equivoci, forse è bene ricordare che 
anche i più attenti studiosi italiani di Heidegger, 
laddove vogliano attingere al testo dell’autore, 
debbono comunque fare i conti con la carenza 
di traduzioni in italiano: attualmente, gli scritti di 
Heidegger pubblicati in italiano sono poco più 
della metà (un totale di 54 volumi in lingua italiana
 sui 97 editati nella Gesamtausgabe). In alcuni 
casi è possibile aggirare questa empasse mediante
traduzioni in lingue diverse dall’italiano e dal 
tedesco, tuttavia alcune opere fondamentali 
dell’autore sono in commercio soltanto in lingua 
originale. 
  Inoltre, le vicende legate alla Martin-Heidegger-
Gesellschaft hanno creato scenari politici per i 
quali manca un vero interesse con cui lavorare 
criticamente e seriamente su Heidegger: i rumours 
sulle vicende che legano autorevoli studiosi al 
nome di Heidegger hanno costituito l’occasione 
giusta per alimentare pubblicità e rafforzare una 
certa immagine del filosofo piuttosto che un’altra. 
  Infine, spesso ho còlto in numerosi scritti la 
tentazione di rintracciare la verità piuttosto che 
l’esigenza di comprendereChiunque si perita nel 
filosofare sa che tentazioni di questo genere 
scambiano la pretesa di aver ragione con il 
bisogno di ragione, espressione quest’ultima 
che dovrebbe richiamarci alla lezione kantiana. A 
volte mi è sembrato fin troppo chiaro anche come 
fossero alcune ideologie a muovere gli interpreti 
piuttosto che l’amore per il sapere e quella libertà 
necessaria ed essenziale che da esso si irradia. 
in particolar modo, ho notato come in italia la 
ricezione dei volumi in questione sia stata una 
faccenda da gossip, come se si volesse spiare dal 
buco della serratura il pensiero e la vita di 
Heidegger. Questa modalità di avvicinarsi al testo 
heideggeriano rischia di guidare su sentieri che 
non solo si interrompono nel bosco (per usare 
un’espressione nota dell’autore), ma che 
inesorabilmente conducono verso precipizi nei 
quali si rischia di cadere a causa di un terreno 
fin troppo franabile: cuique interpretandi usu suo. 
  Se in un qualche modo la filosofia ha a che fare 
con l’esercizio della parresia, che non solo è 
“amore per la parola” ma esercizio alla verità 
nei termini di un tendere ad essa, allora occorre 
confrontarsi con i volumi 94-97 della 
Gesamtausgabe nella loro interezza, sforzandosi 
di entrare nella cornice storica in cui furono redatti, 
non solo tenendo presente la formazione del 
Denkweg heideggeriano in quegli anni, ma anche 
la molteplicità e la complessità dei temi che li 
caratterizzano, senza ridurli a un unico 
denominatore comune: nello specifico, la 
questione antisemita, la quale, pur attraendo e 
incuriosendo il lettore, occupa 
nei quattro volumi uno spazio esiguo. Detto 
diversamente, gli Schwarze Hefte non sono un 
trattato di antisemitismo, non sono le 
confessioni di un filosofo sull’antisemitismo, e non 
sono nemmeno il tentativo mal costruito di 
giustificare l’adesione al regime nazionalsocialista 
da parte di Heidegger. Gli Schwarze Hefte sono 
piuttosto una sorta di cantiere a cielo aperto 
attraverso cui la filosofia di Heidegger si viene 
costruendo: essi mostrano come l’uomo e il 
filosofo siano immersi nelle vicende storico-
politiche della propria epoca e come queste 
vengano pensate in riferimento al ruolo che la 
filosofia deve occupare nelle faccende umane; in 
tal senso, gli indiscussi protagonisti degli Hefte 
sono la filosofia e il suo inattuale esercizio. 
  Non solo: i Quaderni Neri raccolgono 
considerazioni preziose sui fatti del Rettorato 
(1933-34); sull’adesione al nazismo e sulla 
successiva rottura con esso; sulla figura di Hitler e 
sulle aspettative riposte in quel clima politico. Essi 
mostrano come questi argomenti, al pari di molti 
altri collegati, costituiscano dei fatti 
biografici chiari e, contestualmente, come meno 
chiare siano le implicazioni filosofiche che questi 
fatti hanno rispetto al pensiero di Heidegger. 
Senza una cornice ermeneutica di riferimento, e 
mentre montano le polemiche sul fallimento della 
filosofia continentale rispetto a quella analitica di 
fronte all’affaire Heidegger, problematizzare le 
implicazioni filosofiche delle convinzioni 
personali del filosofo è la scommessa più rischiosa 
che attende gli interpreti dei Quaderni Neri. 
  Dopo aver raccolto i saggi che compongono 
questo volume, è stato pubblicato da Klostermann 
il volume 97 della Gesamtausgabe, di cui in 
questo libro si rende ragione nell’appendice, scritta 
fra marzo e aprile di quest’anno. in essa non solo 
ho proposto la traduzione di alcuni brani delle 
Anmerkungen, ma ho ripreso e ampliato alcune 
idee presenti sia nell’introduzione che nel 
mio saggio. 
  Questo testo non ha la pretesa di offrire 
l’interpretazione par excellence dei Quaderni – 
che, si ricordi, sono ancora in via di 
pubblicazione: vorrebbe piuttosto configurarsi 
come uno strumento la cui utilità sarà testata 
non appena si disporrà delle traduzioni ufficiali in 
lingua italiana degli Schwarze Hefte. Seguendo 
una bella metafora di Foucault, lo pensiamo come 
una “cassetta degli attrezzi” dalla quale andare a 
pescare un determinato strumento di lavoro 
allorquando si ha un problema da risolvere. 
  Le riflessioni qui raccolte costituiscono anche un 
tentativo di destrutturazione di molti costrutti 
pregiudizievoli che orbitano intorno a Heidegger: 
dalla presunta purezza del pensiero heideggeriano 
al cliché dell’intellettuale impegnato e al servizio 
del regime. Alla loro base vi è la chiara volontà di 
problematizzare ogni aspetto della filosofia 
heideggeriana: se queste riflessioni contribuissero 
a smantellare la tentazione di acquietarsi su 
interpretazioni ritenute definitive e a dare 
nutrimento a quell’inquietudine che rende genuino
il bisogno di comprensione, allora questo libro 
potrebbe essere giustamente collocato in quello 
“stare” nelle domande di cui Heidegger è 
testimone – in tutte le domande, anche in quelle 
più scomode, occorre pensare e comprendere 
sine ira et studio anche ciò che non si condivide. 
F.B. Freiburg im Breisgau, 6 aprile 2015 
http://aguaplano.eu/index.php?content=brencio_pieta_catalogo
[contiene anche il link a un estratto di 16 pp del libro]



LINKS

-http://aguaplano.eu/index.php?content=brencio_pieta_catalogo.
-http://de.wikipedia.org/wiki/Schwarze_Hefte.
-http://fr.wikipedia.org/wiki/Cahiers_noirs.


SCHWARZE HEFTE (Libri Neri), Martin Heidegger:
GA bd.94-96:

Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 1931-1938)

Überlegungen VII-XI (Schwarze Hefte 1938/1939)

Überlegungen XII-XV (Schwarze Hefte 1939-1941)

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T.O.C. 
("La pietà del pensiero. Heidegger e i Quaderni Neri"
 a c. di Francesca Brencio, AGUAPLANO 2015, 394 pagine)



Premessa 7

Ringraziamenti 13

Introduzione 19

Ángel Xolocotzi Yáñez Il pubblico e il privato. Il posto dei Quaderni Neri negli scritti di Martin Heidegger 47

Sonia Caporossi Il silenzio di Heidegger e la sua ricezione in Italia: una proposta di lettura 67

Francesca Brencio “Heidegger, una patata bollente”. L’antisemitismo fra critica alla cristianità e Seinsgeschichtlichkeit 107

Marco Casucci Ancora su Heidegger e il nazismo?Inutile apologia dell’inattualità del filosofare, a partire dagli Schwarze Hefte (1931-1941) 187

Luis Alejandro Rossi La comunità come problema politico in Essere e tempo 247

Francisco Gómez-Arzapalo y V. Heidegger e il nazismo: seduzione e delusione di un percorso erotico 289

Paolo Beretta Essere in errore. Tra la γιγαντομαχία περί τῆς οὐσίας e l’orizzonte dell’infinito 315

Michael Kraft L’essere e la politica nei Quaderni Neri di Heidegger

*

Francesca Brencio Appendice. La “fuga” dell’essere. Dalle Überlegungen alle Anmerkungen 369

*


Gli autori 389 

__________________________________________________



[MARTIN HEIDEGGER GA bd. 96, Klostermann 2014, S. 7

Der Mensch. - Die Reihen-folge von Tagen und Nächten zieth das menschliche "Leben" in eine "Länge" aus und läßt es nach Jahrtausenden gerechnet zugleich wieder als "kurz" erscheinen. Wie unausrottbar und gleichvoll wie äußerlich ist diese Vorstellung von Menschsein. Wenig noch hat der Mensch sich in die Frage nach dem Fügungsraum seines Wesens vorgewagt. Er kommt sich immer nur in den Anblicken jener Vorderfläche entgegen, auf der er sich hin- und hertreiben läßt, vermeinend, selbst dabei der Antrieb zu sein.


L'uomo. _ La serie ordinata di giorni e notti spinge la "vita" umana verso una "lunghezza", e fa sì che essa, misurata a paragone delle migliaia di anni, appaia insieme "breve". Quanto ineliminabile e insieme esterna è questa rappresentazione dell'Essere dell'Uomo. Poco ancora si è impegnato l'uomo nella domanda attorno allo spazio disponibile per il suo divenire. Giunge sempre solo a scorgere quello strato superficiale nel quale egli si lascia spingere in una direzione o in un'altra, evitando di riconoscere di essere lui stesso che dà la spinta al movimento. (mia trad.)  ]
       
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Francesca Brencio (Spoleto, Italy – 1976), Phd in Philosophy and Human Sciences, is Adjunct at the School of Humanities and Communication Arts at the University of Western Sydney (Australia). 
As a scholar of Martin Heidegger, she has published on a wide range of topics related to the philosophy of Hegel and Heidegger in several collaborative book projects and journals; her works has been focused on the relationship between Heidegger’s philosophy and German Idealism, with a special attention to the role played by Hegel. Lately her field of investigation moved into Heidegger’s phenomenology and its relationship with psychology and psychiatry. 

Visiting Research from novembre 2012 - till November 2013  Albert-Ludwigs Univeritaet - Freiburg im Breisgau 
Supervisor: Prof. Dr. B. Casper Theologische Fakultät Arbeitsbereich Christliche Religionsphilosophie mit der Forschungsstelle für jüngere französische Religionsphilosophie Research Project: Martin Heidegger and the Philosophy of Religion 

Post-Doctoral Research Fellow  from novembre 2013 - onward at Albert-Ludwigs Univeritaet - Freiburg im Breisgau 
Supervisor: Prof. Dr. Dr. A. Wiercinski Theologische Fakultät Arbeitsbereich Christliche Religionsphilosophie mit der Forschungsstelle für jüngere französische Religionsphilosophie Research Project: Zollikon's Legacy. Martin Heidegger between Hermeneutics, Psychology and Psychiatry. 

https://uws.academia.edu/FrancescaBrencio














APPENDICI:

1. Tobia: intorno ad una promessa (F.B.)



Ricordo quando l’incontrai, quell’uomo che di uomo aveva solo la sembianza. Un giovane alto, asciutto, dalla pelle ambrata, occhi neri come la notte, con il capo coperto per impedire alla polvere alzata dallo Shamal di infilarsi dentro quei ricci che spuntavano prepotentemente dalla fronte.

Vagava da solo nella strada del mercato, fermo vicino alla vasaia, scrutava le brocche ma spesso girava il capo verso me e i vecchi: ascoltava i loro suggerimenti e mi guardava.

Era chiaro che avessi bisogno di una guida ma i vecchi mi dicevano che anche da solo sarei potuto arrivare nella Media, due giorni di cammino con brevi soste e sarei arrivato. Forse vedeva quella titubanza sul mio volto, forse sentiva il mio smarrimento, forse avvertiva che ero preoccupato per mio padre. Eppure sapeva che il suo posto era nel mio viaggio e che lui avrebbe guarito ciò che di malato c’era nella nostra vita, in quella di Sarah e nella mia. Il suo nome lo diceva ma io non lo capivo, allora: Rafa’el è già una promessa, Dio guarirà.

Sapeva Raffaele. Ma taceva.

Non avevo mai conosciuto prima di allora Gabael; in casa ne sentivo parlare, doveva molto a mio padre e era un uomo giusto. Aveva in deposito quei dieci talenti d’argento che mio padre voleva riprendessi prima della sua morte. Dieci talenti d’argento: una ricchezza, sarebbe stata la fine della nostra miseria e Tobi sarebbe morto sapendoci bene, nella misericordia del Signore e con del cibo in casa. Certo, partire così, lasciandolo ora che sentiva la fine dei suoi giorni vicina, partire con il cuore colmo di angoscia: se fossi tornato e lui era già morto? Quella paura, sì, quella paura che ti assale il petto, che ti mangia quando sai che non puoi averne, che il desiderio di un padre morente deve esser soddisfatto prima che la mano del Signore arrivi. Quella paura di essere in ritardo sul tempo e non poter sentire sul mio capo il respiro caldo di mio padre.

Tobi, santo e misericordioso Tobi! Padre mio, buono e colmo di saggezza! Ancora oggi che la mia barba è bianca e i capelli non coprono più il capo ricordo le tua mani: grandi, rinsecchite, mani con cui conoscevi il tuo mondo. Tobi, deportato con la mamma in questa terra di Ninive che non smette mai di farci piangere Israele, custode dell’infedeltà del popolo, che per troppo amore per il popolo perdesti la vista. I tuoi occhi erano le mie parole e quelle della mamma, i tuoi sorrisi accompagnavano le mie canzonature quando ti raccontavo le cose che non erano – e la mamma mi sgridava. “Lascialo Anna – dicevi – i miei occhi sanno vedere i suoi scherzi ed è giusto che Il Santo metta la gioia sulla bocca dei piccoli!”.

Tobi, mio amato padre!

Ama Tobia, ama con cuore puro i tuoi fratelli! Non permettere all’orgoglio di seminare nel tuo animo, sii misericordioso e ricordati di chi ha meno di noi. Dai secondo i tuoi averi, non disprezzare alcun consiglio e in ogni circostanza benedici il Signore e domanda che ti sia guida”. Quante volte padre mio mi ripetevi queste parole? Quante volte sorridevo davanti a queste parole perché già ne conoscevo l’ordine e riconoscevo l’andatura della voce!

Quante volte, padre mio, ho pensato a te e a Raffaele: un cieco che nulla vede e un angelo che tutto vede.

Cerchi una guida per la Media?” – mi disse.

Sì, ne conosci di brave? Non ho denaro per ora, pagherò al ritorno.”

Vengo io, conosco la strada. Saremo lì per tempo. Al denaro ci penseremo poi.”

Non so quale follia mi spinse ad accettare subito, senza indugio, l’offerta di quell’uomo. Quegli occhi neri mi infondevano sicurezza. Quegli occhi. Occhi con cui vedere, occhi con cui sapere, occhi da guarire.

Andammo da mio padre, parlammo insieme tutti e tre. Tobi chiese ripetutamente chi fosse, da quale tribù venisse e Raffaele disse di esser figlio di Anania e di chiamarsi Azaria. Mio padre ci benedì e partimmo il giorno stesso, io ed Azaria dagli occhi neri.

Camminammo a lungo, fino al calar del sole. Raffaele era taciturno, proseguiva con passo spedito, come se quei piedi conoscessero la strada. Lo seguivo, non camminavo al suo fianco. La mia paura era davanti a me: “Signore, fammi tornare con i talenti da Tobi vivo, Signore, non strapparmi da mio padre in una terra che non conosco!”. Queste parole ancora oggi le ricordo. La mia paura.

Ci fermammo sul fiume la sera, per mangiare qualche pesce e lavare i piedi. Fu lì che Raffaele mi dette il primo insegnamento: il cuore, il fegato e il fiele di quel pesce che stava per mordermi il piede possono essere dei buoni medicamenti; il cuore e il fegato scacciano i demoni, se li bruci; il fiele può esser spalmato sugli occhi malati.

Demoni – pensai - ci mancano solo i demoni! Il Signore ce ne liberi. Dobbiamo sbrigarci, riposare il giusto, e andare da Gabael in fretta. Demoni: chi può avere dei demoni? Ah, questo Azaria deve aver perso la testa a forza di frequentare i Medii. Dormi Tobia, il viaggio è lungo”.

All’alba partimmo. Le nostre teste erano coperte per il sole e una puzza di pesce veniva fuori dalla mia sacca. Camminammo tutto il giorno finché arrivammo ad Ecbàtana; abitava lì Raguele, parente mio padre, potevamo riposare da lui ma esitavo. Raguele aveva una figlia, Sarah, che era malata e contagiava tutti con la sua malattia al punto da far morire i suoi precedenti mariti. Ci mancava solo di prenderci un morbo e morire anche noi, prima di tornare da Tobi.

Raffaele conosceva questi pensieri che si agitavano nel mio petto. Mentre procedevamo, si fermò, scoprì il capo e mi guardò con i suoi occhi neri come la notte: “Tobia, dobbiamo andare da Raguele e tu devi guarire Sarah. Ci fermeremo lì per la notte e tu la prenderai in sposa, brucerai il cuore ed il fegato del pesce nella vostra stanza così i demoni verranno scacciati e lei sarà libera di amarti e renderti padre. Pregherete poi affinché la benedizione del Signore scenda su di voi…”

Lo interruppi: che stolto che fui!

Azaria! Non sono venuto in Media per prender moglie! Non vado in casa di malati per contagiarmi. E poi mi parli di demoni, di una guarigione, di diventare padre. Non è questo il motivo per cui siamo qui. Lo ricordi? Gabael, riprendere i talenti e tornare da Tobi. Ecco il motivo!”

Tobia, Sarah ti è stata destinata dall’eternità. Tu la guarirai, tu l’amerai.”

Destinata dall’eternità. Il mio cuore si fermò.

Che ne sapeva Azaria di cosa è l’Eterno? Come poteva pensare la testa di un piccolo uomo l’eternità?

Quella frase risuonava – nella testa, nelle vene, nel volto: dall’eternità Sarah era stata pensata per me. Pensata, creata ed amata per me. Il Santo aveva pensato a me, a questo piccolo uomo, per lei. Sarah – mia sposa, amore mio. Sarah, compagna e moglie, amica e sorella.

La mano del Signore fu potente sul mio capo: mutai i miei pensieri ed accettai di seguire le parole di Azaria. Andammo da Raguele per la notte ed io incontrai Sarah.

Il mio cuore non seppe più distogliersi da lei. Sarah, creatura splendida, perfezione del Santo. Sarah, che presa da Asmodeo e dal dolore della sua umanità calpestata voleva impiccarsi. Sarah, che non poteva amare.

Ebbi fiducia in Azaria: bruciai il cuore e il fegato del pesce nella stanza di Sarah.

Ella guarì. Per sempre.

Chi l’avrebbe mai detto che dal pesce può annunciarsi la salvezza? E lì, in quella terra che non è era casa mia, sposai Sarah.

Fu Azaria a proseguire per la Media, a riprendere i talenti e portare con sé ad Ecbàtana Gabael per festeggiare le nozze.

Tutto ero compiuto.

Dopo quei quattordici giorni di nozze, ora potevamo tornare da Tobi, con i talenti ed una moglie.

Tornai da Tobi. Non appena mamma ci vide da lontano, corse a riferire a Tobi che eravamo tornati. Venne fuori dalla casa mio padre, sostenendosi a stento, inciampando; il volto tradiva la pena della mia lunga assenza, le mani mi cercavano nel vuoto prima di afferrarmi.

Padre, eccomi, sono tornato”.

Tobi pianse, della gioia dell’abbraccio, del compimento della promessa, del tempo che aveva vinto sulla sua morte. Lo strinsi al mio petto, baciai quelle mani. E poi ricordai le parole di Azaria, pronunciate prima di arrivare a Ninive : “Spalma sugli occhi di tuo padre il fiele del pesce. Abbi fiducia Tobia! Gli occhi si apriranno”.

Così feci: chiesi a mio padre di avere fiducia e spalmai il fiele del pesce sui suoi occhi.

Guarirono.

Tobi vide e piangendo disse che mi vedeva, che per la prima volta vedeva suo figlio, e rivedeva Anna, e tutto ciò che intorno non era più ombra. Tobi vide Sarah, vide Azaria, vide e fu visto dalla gente del villaggio camminare con il vigore di una volta e piangere di gioia.

Tobi vide.

Eppure, in questi miei ricordi, non c’è solo la gioia del padre cieco che venne guarito o quella delle nostre nozze a Ninive; tra di essi si staglia il volto di Raffaele quando mio padre ed io gli dicemmo di prendere la metà dei nostri bene come ricompensa. Sorrise: fu la prima volta da quando lo incontrai. Ci disse: “E’ bene tenere nascosto il segreto del re, ma è cosa gloriosa rivelare e manifestare le opere di Dio.” Ci invitò a pregare, non volle denaro. Rimanemmo senza parole. Quale giusto fra i giusti avrebbe rifiutato una ricompensa? Quale pio fra gli uomini avrebbe solo sorriso e chiesto di pregare?

Si allontanò Raffaele, subito dopo le nozze. Dovetti lasciare Sarah, mio padre e mia madre, gli amici e la gente del villaggio per seguirlo, correndo.

Azaria, Azaria!”

Che fai qui, Tobia? Oggi è giorno di gioia. Tua moglie e tuo padre ti stanno aspettando”.

Dove vai Azaria? Rimani con noi, vieni a festeggiare!”

Devo andare Tobia, devo tornare a casa”.

E dove abiti?”

Lontano” disse sorridendo “Molto lontano”.

Lo Shamal si stava alzando e lui si coprì il capo. Mi sorrise. Mi disse solo: “Raffaele, mi chiamo Raffaele, Tobia. Dio ha guarito”.

E se ne andò.

Non c’è giorno della mia vita, da allora, che non pensi a Raffaele. Nonostante gli anni, nonostante le gioie e i dolori che Il Santo ci ha donato, nonostante i capelli grigi di Sarah che non ne sviliscono la bellezza, ogni giorno io penso a Raffaele. E come ogni giorno, anche oggi, sorrido pensando a lui e mi ripeto “Dio ha guarito”.





[Questo racconto è liberamente tratto dall'omonimo libro della Bibbia e non nutre alcuna pretesa di dignità teologica. E' un esercizio di parole intorno alla storia di un uomo e ad una promessa]






2. Euripide, Ippolito, vv.1104-1110 
(coro)


ἦ μέγα μοι τὰ θεῶν μελεδήμαθ᾽, ὅταν φρένας 
        [ἔλθῃ,
λύπας  παραιρεῖ ξύνεσίς τε: τίν'ἐλπὶδι κεύθων
λείπομαι ἔν τε τύχαις θνατῶν καὶ ἐν ἔργμασι 
       λεύσσων;

ἄλλα γὰρ ἄλλοθεν ἀμείβεται, μετὰ δ᾽ ἵσταται 
       ἀνδράσιν αἰὼν
πολυπλάνητος αἰεί.

(S.T.Coleridge): In very deed the thoughts I have about the gods, whenso they come into my mind, do much to soothe its grief, but though I cherish secret hopes of some great guiding will, yet am I at fault when I survey the fate and doings of the sons of men; change succeeds to change, and man's life veers and shifts in endless restlessness.



Dawn comes to the Badwater Basin





3:a fit discovery complementing the post:

Badwater Basin (DEATH VALLEY)
"It is death and survival we are talking about, in our death Valley!"