Ringrazio Giacomo Conserva per le precisazioni riguardanti il Libro Rosso. Le considero difese contro condizionamenti che, a mio avviso, possono influenzare eventuali lettori non sufficientemente informati circa l’entroterra da cui è scaturita l’opera. In particolare mi sollevano dalla preoccupazione che le sue pagine vengano considerate alla stregua di istanze psicotiche che non raggiungono compiutezza o dignità d’arte.
Una preoccupazione, la mia, che – mi rendo conto – in un certo senso è una gaffe: non ho tenuto conto che questo è un blog ben frequentato.
Lo zelo con cui ho cercato di proteggere il Libro Rosso risente di alcune battute che sono circolate, provenienti da analisti – sicuramente cuori di pietra dallo spirito imbiancato – che da sempre manifestano una forte riduttività nei confronti di Jung. (“Si sapeva che era matto!”)
Lasciando perdere tutto questo, vorrei tuttavia considerare l’accusa storica mossa al pensiero junghiano, accusa sempre riaffiorante, tanto più ora con la pubblicazione del Libro Rosso. Quella, formulata da Freud stesso, di misticismo, che si è successivamente riassunta nell’appunto di creare confusione fra psicologia e religione.
Un giudizio, in verità, che trova sempre meno credito. Che la dimensione del trascendente abbia un peso rilevante nella psiche e, per quel che riguarda gli analisti, in tanti conflitti psichici che si trovano ad affrontare, è un fatto sempre più condiviso. Cito, per esempio, il freudiano Domenico Chianese: << L’approccio antico al sogno […] è tutt’ora presente nell’ambito religioso, in una certa cultura generale e, anche se qualcuno potrà meravigliarsi, nella stessa psicoanalisi. I ‘sogni visione’ di carattere mistico, denominati ‘rivelazioni’ nell’ambito religioso, sono una forma di sogni che si è perpetuata, dalle fasi religiose più primitive, attraverso i politeismi antichi, fino al monoteismo ebraico-cristiano. Visioni oniriche di singoli individui, personalità carismatiche, ‘profeti’, che possono diventare il punto d’avvio di intensi svolgimenti culturali e sociali>>. (D. Chianese, Sogno, visione, modernità, in S.Bolognini, Il sogno cento anni dopo, Bollati Boringhieri, Torino 2000, p.320 sg)
Chianese riporta poi un lontano passo di Mancia. << Possiamo pensare al sogno come una religione della mente […] con la funzione di rappresentare, come una religione, “le cose”, cioè quegli oggetti interni che hanno acquistato significato teologico per l’individuo. Questi oggetti fondano i nostri valori e la nostra visione del mondo.
[…] Il sogno rinvia continuamente agli oggetti sacri del passato, genitori interiorizzati che pesano sul destino di tutti noi. (M.Mancia, Il sogno come religione della mente, Laterza, Bari 1987, p.119 sg.)
Spero di non avere annoiato il lettore con queste mie “difese d’ufficio”.
BRUNO MERONI
Caro Bruno io sono Vito Taverna ti ho cercato a Milano insieme agli amici, perché volevamo rivederti ma a quanto pare non ci abiti più .Dove trovarti? Sono rintracciabile su Face book. Mi piacerebbe risentirti. Vito Taverna
RispondiEliminaciao Bruno ho già scritto
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