Un uomo di 30 anni si aggira per una città di un singolare squallore. Caffè Mably, Birreria Vezelise, Albergo Printania, Ritrovo Dei Ferrovieri: le tappe del suo vagabondare. Ascolta frammenti di conversazioni insignificanti, nota scene che si svolgono, raramente scambia qualche parola con qualcuno. Da 3 anni si trova lì; ha rinunciato alla carriera diplomatica, si è dedicato a una ricerca su un oscuro personaggio della fine del ‘700. Nel passato una grande storia d’amore con una attrice, Anny. Ricordi di viaggi: Tokyo, Meknes, Barcellona, Angkor, Shangai…- ma sono vuoti nomi: l’esotismo si è polverizzato. Va alla biblioteca, consulta i documenti, un poco scrive. Il suo massimo rapporto è con un usciere che, per farsi una cultura, si è messo a leggere tutti i libri, di tutti gli argomenti, seguendo l’ordine alfabetico dei titoli; e con la proprietaria di mezza età di un locale, con la quale di tanto in tanto va letto (niente di più, niente di meno). La città è in riva al mare; c’è una collina; c’è un museo; una stazione. Di tanto in tanto legge stancamente brani di romanzi dell’’800 (Balzac, Stendhal); nessun incanto. Un enorme disgusto contro il mondo che lo circonda- un disgusto che parte dai borghesi ( “gli sporcaccioni”) ma che non risparmia nessuno, niente. Non amici; non parenti. (Solo, una musica lo commuove).
A un certo punto, improvvisamente, qualcosa di nuovo comincia a capitare: la nausea lo prende allo stomaco, ondate di angoscia vanno e vengono, i gesti abituali diventano insignificanti o impossibili. Una volta, tanto per uscire dalla paralisi, dirige un coltello contro il proprio braccio; fantastica di accoltellare l’interlocutore, o di uccidersi (ma anche, questo gli sembra inutile, assurdo). Il passato si dissolve davanti a lui, e anche la prospettiva del futuro (e, naturalmente, il progetto di libro cui ha dedicato anni di vita). A volte i pensieri si autonomizzano, gli oggetti perdono la loro connessione semantica, la loro fissità sensoriale, la loro coerenza. Oppure diventano di una evidenza e di una presenza assoluta, mostruosa, terribile: l’Essere si svela nella sua Terribilità. Il tutto assume a volte tinte decisamente paranoidi- ma ci si ferma sempre un passo prima del delirio. Antoine Roquentin non ostante tutto pensa, si interroga, riflette, vede nella sua esperienza non una patologia o un semplice banale dato ma una epifania di una realtà da interrogare con la ragione, a cui dare nomi (la terminologia successiva di Sartre parlerà di assurdo, angoscia, nulla, essere ed esistere…) Questo non lo salva, ma gli permette di dare un resoconto (il libro consiste del suo diario di 3 mesi), di scegliere di lasciare questa città e partire (verso cosa?), di resistere pure al fallimento di una tentata riconciliazione con Anny, di sperare in un qualche futuro.
Il romanzo, “La nausea”, uscì nel ’38, diventando immediatamente celebre. Nel ’43 venne seguito da una enorme opera di filosofia,”L’essere e il nulla” (scritto, si dice, con l’aiuto dell’anfetamina). Negli anni ’20 Sartre ebbe una storia con una attrice; all’inizio degli anni ’30 prese una volta la mescalina, passatagli da un amico ricercatore (fu, secondo Simone de Beauvoir, una esperienza drammatica, con lunghi postumi); aveva collaborato alla traduzione francese della “Psicopatologia generale” di Jaspers; era professore di filosofia nei licei, aveva vissuto anni in una Le Havre in riva al mare, su cui avrebbe modellato la Bouville del romanzo. La disillusione, la ribellione nichilistica, la disperazione erano pane comune fra gli intellettuali francesi in quegli anni- anche se Sartre vi impose un marchio con la sua scrittura lucida, trasparente, di alta e classica eloquenza. (Da parte di influenti marxisti gli venne aspramente rimproverato, allora e anche più tardi, il carattere borghese della sua rivolta). Per molti divenne col tempo una figura mitica. Si parlò, molti anni dopo, di ‘secolo di Sartre’.
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