BEYOND THE ADVANCED PSYCHIATRIC SOCIETY- A COLLECTIVE RESEARCH/ OLTRE LA SOCIETA' PSICHIATRICA AVANZATA- UNA RICERCA COLLETTIVA


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venerdì 29 novembre 2013

GIACOMO CONSERVA: "Un approccio alle emozioni "(2004)





Un approccio alle emozioni (2004)

Emozioni, passioni, affetti, sentimenti, carattere e tratti caratteriali: un continuum che variamente impegna aspetti chiave dell’esistenza. Fare i conti con tutto questo è qualcosa non solo di teorico (e di indubbio valore euristico) quanto pure di rilevantissima importanza pratica: Non è da pensare che si sia dovuto aspettare lo sviluppo della psicologia scientifica o della psicoterapia in senso stretto perché questo lavoro iniziasse. Dal punto di vista categoriale, e dal punto di vista delle ricette di intervento, i sistemi religiosi, la filosofia teoretica, la morale nella loro storia sono ricchissimi sotto questo punto di vista, con ovvie radicali differenze fra di loro. Pensiamo alla lista dei vizi capitali ( sette), e delle virtù cardinali (liste che riprendono temi e modi di procedere della filosofia greca media e tarda):
vanagloria, invidia, accidia, ira, avarizia, gola, lussuria; fortezza, prudenza, giustizia, temperanza, forza, speranza, carità: qui vi è, compresso, tutto un sapere sulla vita umana, le dinamiche e le strutture della personalità (cfr. il libro di Foucault sulla ‘volontà di sapere’).
Si era pure in grado di vedere, -sia nella pratica pastorale che a livello teorico-, come le varie emozioni si ingranassero fra di loro; si veda p.e. questo passo di Tommaso d’Aquino, a proposito della ‘accidia’ (N.B. l’accidia era definita come il distogliersi dell’impegno e della attenzione dai doveri religiosi):

poiché nessun uomo può rimanere a lungo senza godimento e nella tristezza, come dice il Filosofo [Aristotele] nell’ottavo libro dell’Etica, perciò dalla tristezza derivano due conseguenze, la prima delle quali è che l’uomo si allontani da quelle cose che lo rattristano, la seconda è che passi ad altre, in cui provi piacere. E, in base a ciò, il Filosofo, nel secondo libro dell’Etica, dice che coloro i quali non possono gioire dei piaceri dello spirito per lo più si danno ai piaceri del corpo. E, in base a ciò, dalla tristezza che nasce dai beni dello spirito consegue lo svago nelle cose illecite, nelle quali l’anima carnale prova piacere.
Ora, nella fuga dalla tristezza [dell’accidia] s’osserva un simile processo: in un primo momento l’uomo fugge dai beni dello spirito, in un secondo momento persegue [i beni del corpo]. Ora, alla fuga dai beni dello spirito, che possono dare piacere, appartiene sia l’allontanamento dal bene divino sperato- e questa è la disperazione- sia anche l’allontanamento dal bene spirituale da fare. E precisamente, l’allontanamento che riguarda le cose che sono comunemente necessarie alla salvezza è la svogliatezza verso i comandamenti, invece quello riguardante le cose ardue, che rientrano nei consigli, è la pusillanimità. Inoltre, accade anche che, se uno, contro la sua volontà, è tenuto legato ai beni dello spirito, che lo rattristano, in un primo momento nutre certamente sdegno contro quei prelati o contro qualsiasi persona che lo tiene legato a quei beni- e questo è il rancore, in un secondo momento nutre sdegno e odio contro gli stessi beni spirituali- e questa è la malizia.
(Tommaso d’Aquino, “Il male”, 231b)

O prendiamo il celeberrimo passo di San Paolo, dalla Lettera ai Romani, a proposito della ira di Dio contro l’umanità peccatrice:

In realtà l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.
Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa.
(ROMANI I, 24-32
http://www.crs4.it/Letteratura/Bibbia/Libro52.html)

Colpisce in San Paolo non solo lo slancio accusatorio ma pure la finezza delle articolazioni, la ricchezza del vocabolario messo in campo- con echi significativi giù giù nei secoli, fino ad arrivare p.e. a testi fondanti della modernità.
Le ‘Memorie del sottosuolo’ di Dostojevskij:

Io sono un uomo malato… astioso. Sono un uomo malvagio. Credo di essere malato di fegato. Del resto non ne so un accidente della mia malattia e non so neppure esattamente cosa mi faccia male. Non mi curo e non mi sono mai curato sebbene abbia rispetto per la medicina e per i medici. Inoltre sono anche estremamente superstizioso: insomma quanto basta per tenere in considerazione la medicina. (Sono abbastanza colto per non essere superstizioso, ma sono superstizioso). No, io non voglio curarmi per rabbia. Questo voi, certamente, non lo capirete. Be’, io invece lo capisco. Naturalmente non sono in grado di spiegarvi a chi precisamente la farò pagare, in questo caso, la mia rabbia; so perfettamente che neanche ai medici potrò ”recar danno” se non mi curo da loro; so meglio di chiunque che in questo modo danneggio unicamente me stesso e nessun altro; eppure, se io non mi curo, è solo per rabbia. Ho mal di fegato? Tanto meglio, mi faccia ancora più male!
E un pezzo che vivo così: saranno vent’anni. Ora ne ho quaranta. Prima ero impiegato, adesso non lavoro più. Ero un pessimo impiegato. Ero sgarbato e ci provavo gusto.
E ora ho voglia di raccontarvi, signori, vi piaccia o non vi piaccia, perché io non sia riuscito a diventare nemmeno un insetto. Vi dichiaro solennemente che spesso desideravo diventare un insetto. Ma neppure di ciò ero degno. Vi giuro, signori, che aver troppa consapevolezza è una malattia, un’autentica, seria malattia…
(IL SOTTOSUOLO, I-II passim)


L’incipit delle ‘Poesie’ di Lautreamont- che non a caso riprende e sovverte tutta la tradizione, e i testi, dei moralisti francesi dell’età classica:

Le perturbazioni, le ansie, le depravazioni, la morte, le eccezioni nell’ordine fisico o morale, lo spirito di negazione, gli abbrutimenti, le allucinazioni servite dalla volontà, i tormenti, la distruzione, i ribaltamenti, le lacrime, le insaziabilità, gli asservimenti, le immaginazioni perforanti, i romanzi, ciò che è inatteso, ciò che non si deve fare, le singolarità chimiche d’avvoltoio misterioso che spia la carogna di qualche illusione morta, le esperienze precoci ed abortite, le oscurità dal guscio di cimice, la terribile monomania dell’orgoglio, l’inoculazione di stupori profondi, le orazioni funebri, le invidie, i tradimenti, le tirannie, le empietà, le irritazioni, le acrimonie, le sfuriate aggressive, la demenza, lo spleen, i ragionati spaventi, le strane inquietudini, che il lettore preferirebbe non provare, le smorfie, le nevrosi, le trafile sanguinose attraverso le quali si fa passare la logica alle corde, le esagerazioni, l’assenza di sincerità, le fregnacce, le piattezze, il cupo, il lugubre, i parti, peggiori degli omicidi, le passioni, il clan dei romanzieri da corte d’assise, le tragedie, le odi, i melodrammi, gli estremi ostentati in perpetuità, la ragione impunemente fischiata, gli odori di gallina bagnata, le scipitaggini, le rane, i polipi, i pescecani, il simun dei deserti, ciò che è sonnambulo, losco, notturno, soporifero, nottambulo, vischioso, foca parlante, equivoco, tisico, spasmodico, afrodisiaco, anemico, guercio, ermafrodito, bastardo, albino, pederasta, fenomeno d’acquario e donna barbuta, le ore ubriache dello scoraggiamento taciturno, le fantasie, le acredini, i mostri, i sillogismi demoralizzanti, le schifezze, ciò che non riflette come il bambino, la desolazione, questa mancinella intellettuale, i cancheri profumati, le cosce alla camelia, la colpevolezza di uno scrittore che rotola lungo il declivio del nulla e disprezza sé stesso con grida di gioia, i rimorsi, le ipocrisie, le prospettive vaghe che vi stritolano nei loro impercettibili ingranaggi, gli sputi seri sugli assiomi sacri, il verme e i suoi titillii insinuanti, le prefazioni insensate, come quelle di cromwell, di mlle de maupin e di dumas figlio, le caducità, le impotenze, le bestemmie, le asfissie, i soffocamenti, le rabbie, davanti a questi immondi carnai, che arrossisco di nominare…
(Poesie, I, passim)


I moralisti sono appunto una delle fonti di una osservazione attentissima sulla vita emozionale: da Seneca, con la sua ricostruzione tragica dell’inferno delle passioni (che tanto effetto doveva poi avere fino a Shakespeare, e oltre), a Le Bruyere. Le Bruyere, significativamente, si rifà ai ‘Caratteri’ di Teofrasto, il grande discepolo di Aristotele. E infatti la filosofia aristotelica, caratterizzata da un atteggiamento di accettazione di base della vita terrena nei suoi vari aspetti, è alla base di tutta una analitica dei sentimenti ( dei quali generalmente condanna eccesso e rozzezza, senza volerli annientare o cancellare come in tante altre tradizioni, come per esempio lo stoicismo).
Non è comunque da pensare che solo filosofi e maestri religiosi abbiano elaborato questi temi. Innanzitutto, nel linguaggio stesso che parliamo è implicita una serie di valutazioni, una fenomenologia della vita emozionale (non a caso sfruttata dalla psicologia scientifica contemporanea, nello sforzo di caratterizzare, distinguere, assegnare un peso e una frequenza alle varie emozioni). Bruciare di rabbia, diventare rossi di vergogna, mangiarsi il fegato, essere in un brodo di giuggiole…: non solo “modi di dire”, ma categorizzazione e schemi di orientamento per il soggetto- che si muove non nel vuoto, davanti alle risposte delle sue amigdale e del Sistema Nervoso Autonomo, ma appunto inserito in ( e parte di) una rete di significati ed un insieme di esperienze collettivamente scambiate (entrambe ovviamente spesso molto diverse in diversi contesti culturali: p.e. in Giappone e in Italia). All’interno dello sviluppo storico, d’altra parte, esistono spostamenti semantici rilevanti: così accidia da disinteresse verso i doveri religiosi (v. sopra) diventa la pigrizia (e viene di fatto inserita nel campo di riferimento dell’etica del lavoro), o la pietas – devozione ai valori morali nel comportamento, rispetto del Divino- si trasforma in pietà. Tutto quanto il campo della vita emozionale può essere giudicato di scarso interesse, illusorio se non malvagio, da limitare controllare o sopprimere; o si può sostenere che i guai del mondo derivano dalla civiltà repressiva (patriarcale, fallologocentrica etc etc), dalla repressione sessuale o- con accenti svariatamente diversi- dalla inibizione della vita emotiva tout court: il che ha p.e. portato a rivoluzioni di costume e a diversissimi stili di psicoterapia.
Lo spazio interno dell’esperienza può venire scoperto con profonda emozione e durevoli conseguenze: si veda il celebre brano delle Confessioni di Agostino sulla memoria:

8. 12. Trascenderò dunque anche questa forza della mia natura per salire gradatamente al mio Creatore. Giungo allora ai campi e ai vasti quartieri della memoria, dove riposano i tesori delle innumerevoli immagini di ogni sorta di cose, introdotte dalle percezioni; dove sono pure depositati tutti i prodotti del nostro pensiero, ottenuti amplificando o riducendo o comunque alterando le percezioni dei sensi, e tutto ciò che vi fu messo al riparo e in disparte e che l’oblio non ha ancora inghiottito e sepolto.
Quando sono là dentro, evoco tutte le immagini che voglio. Alcune si presentano all’istante, altre si fanno desiderare più a lungo, quasi vengano estratte da ripostigli più segreti. Alcune si precipitano a ondate e, mentre ne cerco e desidero altre, balzano in mezzo con l’aria di dire: "Non siamo noi per caso?", e io le scaccio con la mano dello spirito dal volto del ricordo, finché quella che cerco si snebbia e avanza dalle segrete al mio sguardo; altre sopravvengono docili, in gruppi ordinati, via via che le cerco, le prime che si ritirano davanti alle seconde e ritirandosi vanno a riporsi ove staranno, pronte a uscire di nuovo quando vorrò. Tutto ciò avviene, quando faccio un raccontol la memoria.
13. Lì si conservano, distinte per specie, le cose che, ciascuna per il proprio accesso, vi furono introdotte: la luce e tutti i colori e le forme dei corpi attraverso gli occhi; attraverso gli orecchi invece tutte le varietà dei suoni, e tutti gli odori per l’accesso delle nari, tutti i sapori per l’accesso della bocca, mentre per la sensibilità diffusa in tutto il corpo la durezza e mollezza, il caldo o freddo, il liscio o aspro, il pesante o leggero sia all’esterno sia all’interno del corpo stesso.
Tutte queste cose la memoria accoglie nella sua vasta caverna, nelle sue, come dire, pieghe segrete e ineffabili, per richiamarle e rivederle all’occorrenza.
Tutte vi entrano, ciascuna per la sua porta, e vi vengono riposte. Non le cose in sé, naturalmente, vi entrano; ma lì stanno, pronte al richiamo del pensiero che le ricordi, le immagini delle cose percepite. Nessuno sa dire come si siano formate queste immagini, pongono nel nostro interno. Anche immerso nelle tenebre e nel silenzio io posso, se voglio, estrarre nella mia memoria i colori, distinguere il bianco dal nero e da qualsiasi altro colore voglio, la mia considerazione delle immagini attinte per il tramite degli occhi non è disturbata dalle incursioni dei suoni, essi pure presenti, ma inavvertiti, come se fossero depositati in disparte.
Ma quando li desidero e chiamo essi pure, si presentano immediatamente, e allora canto finché voglio senza muovere la lingua e con la gola tacita; e ora sono le immagini dei colori che, sebbene là presenti, non s’intromettono a interrompere l’azione che compio, di maneggiare l’altro tesoro, quello confluito dalle orecchie.
Così per tutte le altre cose immesse e ammassate attraverso gli altri sensi: le ricordo a mio piacimento, distinguo la fragranza dei gigli dalle viole senza odorare nulla, preferisco il miele al mosto cotto, il liscio all’aspro senza nulla gustare o palpare al momento, ma col ricordo.
14. Sono tutte azioni che compio interiormente nell’enorme palazzo della mia memoria. Là dispongo di cielo e terra e mare insieme a tutte le sensazioni che potei avere da essi, tranne quelle dimenticate. Là incontro anche me stesso e mi ricordo negli atti che ho compiuto, nel tempo e nel luogo in cui li ho compiuti, nei sentimenti che ebbi compiendoli.
Là stanno tutte le cose di cui serbo il ricordo, sperimentate di persona o udite da altri. Dalla stessa, copiosa riserva traggo via via sempre nuovi raffronti tra le cose sperimentate, o udite e sulla scorta dell’esperienza credute; non solo collegandole al passato, ma intessendo sopra di esse anche azioni, eventi e speranze future, e sempre a tutte pensando come a cose presenti. "Farò questa cosa, farò quell’altra", dico fra me appunto nell’immane grembo del mio spirito, popolato di tante immagini di tante cose; e l’una cosa e l’altra avviene.
"Oh, se accadesse questa cosa, o quell’altra!", "Dio ci scampi da questa cosa, o da quell’altra!", dico fra me. e mentre lo dico ho innanzi le immagini di tutte le cose che dico, uscite dall’unico scrigno della memoria, e senza di cui non potrei nominarne una sola.
15. Grande è questa potenza della memoria, troppo grande, Dio mio, un santuario vasto, infinito. Chi giunse mai al suo fondo? E tuttavia è una facoltà del mio spirito, connessa alla mia natura. In realtà io non riesco a comprendere tutto ciò che sono. Dunque lo spirito sarebbe troppo angusto per comprendere se stesso? E dove sarebbe quanto di se stesso non comprende? Fuori di se stesso anziché in se stesso? No.
Come mai allora non lo comprende? Ciò mi riempie di gran meraviglia, lo sbigottimento mi afferra. Eppure gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi del mare, le correnti amplissime dei fiumi, la circonferenza dell’Oceano, le orbite degli astri, mentre trascurano se stessi. Non li meraviglia ch’io parlassi di tutte queste cose senza vederle con gli occhi; eppure non avrei potuto parlare senza vedere i monti e le onde e i fiumi e gli astri che vidi e l’Oceano di cui sentii parlare, dentro di me, nella memoria tanto estesi come se li vedessi fuori di me.
Eppure non li inghiottii vedendoli, quando li vidi con gli occhi, né sono in me queste cose reali, ma le loro immagini, e so da quale senso del corpo ognuna fu impressa in me.
(CONFESSIONES X, 8;
http://www.mistici.org/cultura/classici/agos_master.htm )

Qui veniva inaugurato un approccio e un tono destinati a molteplici ripercussioni riprese e trasformazioni- dalla lettera del Petrarca sulla ascesa al Monte Ventoso (cfr. Hillman) a “Psicologia e alchimia” di Jung 1alla “Politica della esperienza” di Ronald Laing e alla metafisica psichedelica (o, in una versione del tutto laica, alla “Interpretazione dei sogni” di Freud ).


In effetti, non esistono solo dei circuiti neurali integrati ( sistema libico/amigdala, emisferi cerebrali destro e sinistro- con ruoli differenziati) o emozioni base (secondo le varie analisi il numero oscilla p.e. da cinque a otto: in un sistema vengono così elencate rabbia, tristezza, paura, felicità, imbarazzo, disgusto, sorpresa), ma regole di esibizione, criteri interpretativi, schemi valutativi, strategie relazionali interpersonali nel gioco emotivo; esso stesso viene coscientemente sfruttato negli sforzi retorici di persuasione (a fini economici, politici o giudiziari); viene messo in scena, evocato, prodotto nelle opere d’arte (con il loro nesso inestricabile di aspetti cognitivi ed emotivi, ed il loro ruolo sostanziale nella vita umana- variamente consolatorio, propulsivo, preformativo). La stessa empatia- fondamentale nel tenere in piedi il tessuto sociale e nel costruire una base portante delle regole di comportamento e della morale- apre pure il varco a intromissioni indebite nella propria intimità e a identificazioni con proiezioni altrui distruttive. In una società come la odierna convivono infine tendenze disparate, in cui il ruolo altamente condizionante dei mezzi di comunicazione di massa va di pari passo con la frammentazione dei vecchi gruppi sociali e politici e con una esaltazione delle scelte individuali, del piacere e del tornaconto individuale.
Da notare è che nelle forme genericamente riconducibili alla cultura New Age questo piacere e tornaconto tendono a venire spiritualizzati, senza però spesso perdere alcuni aspetti brutali di ignorazione dell’Altro. Non a caso, uno dei punti chiave delle psicoterapie analitiche in senso lato non è solo il rapporto con le emozioni proprie ( soppresse o meno) e con la propria storia (da recuperare o reinterpretare) ma proprio la relazione con l’altro, con le sue trappole e ambiguità e inconcludenze, e la sua ricchezza possibile (aspetto questo singolarmente non tematizzato in una opera come quella sulla emozioni di Borgna, tanto piena di mistica del volto, dell’incontro, della identificazione, e di pathos esistenziale, e tanto saldamente fondata sul primato di colui che detiene il potere di comprendere, soffrire-con, interpretare- che lì è, molto banalmente, il ‘medico’ davanti al suo ‘paziente’).
Le formulazioni di Goleman sulla intelligenza emozionale peccano forse di semplificazione- ma è indubbio che bugie, blocchi e deformazioni rispetto a quello che si sente e si è aprono la strada a molteplici conseguenze negative: rigidità interpersonale, aumentata spinta alla aggressività e così via (fino pure in determinati casi a sintomi patologici in senso stretto, giù giù fino ai crolli psicotici veri e propri). ‘E esattamente qui, nell’insieme delle lotte per una umanizzazione della vita associata, che si inseriscono gli sforzi dei terapeuti- i quali sfruttano le energie costruttive e gli aspetti progressivi generalmente sempre presenti, anche se inibiti; -senza pretendere di creare il paradiso in terra, ma sicuramente cercando di rendere maggiormente possibile ad alcune persone una vita più reale, più creativa, più produttiva e più felice.
Nel 1980 Carl Rogers scriveva così, parlando del futuro e di chi avrebbe potuto costruirlo:

Chi sarà capace di vivere in questo mondo terribilmente strano? Credo che lo saranno coloro che sono giovani nella mente e nello spirito- e questo spesso significa coloro che sono giovani anche nel corpo. A mano a mano che la nostra gioventù cresce, in un mondo in cui le tendenze e le concezioni come quelle che ho descritto si avviluppano, molti diventeranno persone nuove- adatte a vivere nel mondo di domani- e saranno raggiunti dalle persone più anziane che sono state capaci di assorbire i concetti trasformati.
Non tutti i giovani, naturalmente. Sento dire che i giovani di oggi sono interessati soltanto al lavoro e alla sicurezza, che non sono persone che vogliono assumere rischi o introdurre innovazioni, e che cercano da semplici conservatori di essere ‘il numero uno’. Probabilmente è così, ma sicuramente non vale per i giovani con cui vengo a contatto. Sono sicuro che alcuni continueranno a vivere nel mondo di oggi; molti, però, andranno ad abitare questo mondo nuovo di domani.
Di dove verranno? ‘E mia opinione che esse esistono già. Dove li ho trovati? Li trovo tra i dirigenti di grandi società che hanno abbandonato la razza dei topi in flanella grigia, l’esca dei ricchi stipendi e delle opzioni di mercato, allo scopo di vivere una vita nuova e più semplice. Li trovo tra i ragazzi e le ragazze in blue jeans che diffidano della maggior parte dei valori della nostra cultura e vivono in modo nuovo. Li trovo tra preti, suore e pastori che si sono lasciati alle spalle i dogmi delle loro istituzioni per vivere secondo modalità che hanno più significato. Li trovo tra le donne che stanno vigorosamente sollevandosi contro le limitazioni che la società ha posto alla loro personalità. Li trovo tra i neri e i meticci, e altri membri di minoranze, che si scrollano di dosso generazioni di passività e premono verso una vita assertiva e positiva. Li trovo tra coloro che hanno sperimentato i gruppi d’incontro, che nelle loro esistenze stanno trovando un posto ai sentimenti come ai pensieri. Li trovo tra le persone creative che hanno abbandonato la scuola, che si affidano a obiettivi più alti che non gli sterili diplomi scolastici. Mi rendo anche conto che ho intravisto questa persona negli anni spesi come psicoterapista, allorché i clienti sceglievano un tipo di vita più libero, più ricco e più autodiretto…
(C. Rogers, “Un modo di essere”, cap. 15)

In modo non dissimile, anche se con meno entusiasmo forse, si era espresso decenni prima (in un contesto sociale e politico molto più cupo) il grande terapeuta esistenziale Rollo May. Ecco la chiusa del suo libro del 1953 sulla ricerca di sé nell’uomo moderno:


Il compito e la facoltà dell’essere umano sono di progredire dalla originaria condizione in cui esso è solo una parte, priva di libertà e pensiero, della massa, sia questa massa la sua antica esistenza di feto o una società conformista di automi, progredire dal grembo, cioè, attraverso il circolo incestuoso, che è poco al di là del grembo, tramite l’esperienza della nascita dell’autocoscienza, la crisi della crescita, le lotte, le scelte e il cammino dal noto verso l’ignoto, fino a giungere a una consapevolezza di sé e quindi a una libertà e una responsabilità sempre crescenti, a livelli di differenziazione sempre più alti, in cui egli si integri progressivamente con gli altri nell’amore e nel lavoro creativo liberamente scelti. Ogni passo di questo viaggio significa che egli vive meno come schiavo del tempo automatico e più come individuo che trascende il tempo, cioè un individuo che sa quello che sceglie. Per cui, la persona che sa morire coraggiosamente a trent’anni, che ha conseguito un tale grado di libertà e differenziazione da poter affrontare con coraggio la necessità di rinunciare alla vita, è più matura di un ottantenne che sul letto di morte si umilia implorando di essere ancora protetto dalla realtà.
La vera implicazione è che la nostra meta è di vivere ogni istante con libertà, onestà e responsabilità. Allora, in ogni momento, ciascun uomo realizza, entro i propri limiti, la sua natura e il suo compito evolutivo. In tal modo egli proverà la gioia e la soddisfazione che accompagnano questa realizzazione. Che il giovane lettore universitario riesca a finire il suo libro oppure no, è una questione secondaria: quella fondamentale è se egli, o chiunque altro, penserà o scriverà in una data frase o paragrafo quel che secondo lui gli “procurerà la lode di un altro”, oppure ciò ch’egli stesso ritiene vero e onesto secondo le sue possibilità del momento. Indubbiamente, il giovane marito non può sapere con certezza quel che sarà del rapporto con la moglie da qui a cinque anni: ma nel migliore dei periodi storici forse che si sarebbe mai potuto esser certi di vivere ancora per una settimana o un mese? L’incertezza del nostro tempo non ci insegna forse la lezione più importante di tutte, che i criteri fondamentali sono l’onestà, l’integrità, il coraggio e l’amore insiti in un dato momento del rapporto con la realtà? Se non comprenderemo ciò, non costruiremo mai nulla per il futuro; se lo comprenderemo, possiamo lasciare che il futuro pensi a sé stesso.
Libertà, responsabilità, coraggio, amore e integrità sono qualità ideali, mai perfettamente realizzate da alcuno, ma sono le mete psicologiche che danno significato al nostro progresso verso l’integrazione. Allorché Socrate descrisse il modo di vivere e la società ideali, Glauco controbattè: “Socrate, non credo che questa città di Dio esista sulla terra”. Allora Socrate rispose: “Che questa città esista in cielo o esisterà mai sulla terra, il saggio si uniformerà ai principi di essa, non avendo nulla da spartire con qualsiasi altra; e così, guardando ad essa, metterà ordine nella propria casa”.


BIBLIOGRAFIA

-Agostino d’Ippona: “Le confessioni”, Rizzoli, 1992-Jean Baudrillard: “La società dei consumi”, Il Mulino, 1976 (1970)-Silvia Bonino, Alida Lo Coco, Franca Tani: “Empatia. I processi di condivisione delle emozioni”, Giunti, 1998-E. Borgna: “L’arcipelago delle emozioni”, Feltrinelli, 2001-Fritjof Capra: “Punto di svolta”, Feltrinelli, 1984 (1982)-F.Dostoevskij: “Memorie dal sottosuolo”, Rizzoli, 1995-Valentina D’Urso, Rosanna Trentin:”Introduzione alla psicologia delle emozioni”, Laterza, 1998-M.Foucault: “La volontà di sapere”, Feltrinelli 2005-Sigmund Freud: “L’interpretazione dei sogni”, Rizzoli, 1986 (1899)-Erich Fromm: “Dalla parte dell’uomo”, Astrolabio, 1971 (1943)-P.F.Galli, a c. di: “Vuoto e disillusione”, “Entusiasmo fiducia perfezione”, “Solitudine e nostalgia”, “L’invidia”, “La vergogna”, “Il sentimento assente”, Bollati Boringhieri, 1992-1996-Daniel Goleman: “Intelligenza emotiva”, Rizzoli, 1996 (1995)-Agnes Heller: “Sociologia della vita quotidiana”, Editori Riuniti, 1975 (1970)-Agnes Heller: Teoria dei sentimenti“, Editori Riuniti, 1980-James Hillman: “Re-visione della psicologia”, Adelphi, 1983 (1978)-C.G. Jung: “Psicologia e alchimia”, Bollati Boringhieri, 1995 (1944)-Lautréamont: “Opere complete”, tr. N.M.Buonarroti, Feltrinelli, 1968-Rollo May: “L’uomo alla ricerca di sé”, Astrolabio, 1988 (1953)-L.F. Mueller: “Storia della psicologia”, Mondadori, 1978 (1976)-S.Paolo: “Lettera ai Romani”, Bibbia TOB, ed. ELLE DI CI, 1992-George B. Palermo: “Aggressività e violenza, oggi: teorie e manifestazioni”, Essebiemme, 2001-Carl R. Rogers: “Un modo di essere”, Martinelli, 1993 (1980)-Tommaso d’Aquino: “Il male”, a c. di F.Fiorentino, Rusconi, 1999



1 “17. (sogno) ‘Dopo un lungo vagabondare, il sognatore trova sulla strada un fiore azzurro’. Il vagabondare è un vagare per strade senza meta, e per questa ragione è anche una ricerca e una trasformazione: ed ecco che lungo la strada, involontariamente,il sognatore s’imbatte in un fiore azzurro, accidentale figlio della natura, ricordo amabile di un’epoca lirica e romantica, nato in una stagione in cui la visione scientifica del mondo non si era ancora dolorosamente scissa dal mondo dell’esperienza reale, o meglio quando questa scissione era appena agli inizi e lo sguardo era rivolto all’indietro, a quello che già si presentava come passato. Il fiore è di fatto come un accenno amichevole, un numen dell’inconscio , che mostra a chi è stato privato della via sicura e dell’appartenenza a ciò che per gli uomini significa salvezza il luogo e il momento in cui egli può incontrare fratelli e amici in spirito, , trovare quel germe che vorrebbe veder sviluppato anche in sè stesso. Ma per il momento il sognatore non ha nemmeno la più lontana intuizione dell’oro solare che connette il fiore innocente ai riprovevoli misteri dell’alchimia e alla blasfema idea pagana della solificatio. Il ‘fiore d’oro dell’alchimia’ è infatti a volte anche un fiore ‘azzurro’, il ‘fiore di zaffiro dell’ermafrodito’.” “Psicologia e Alchimia”, pag. 83






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