Globalizzazione e salute mentale
Articolo presentato al Convegno World Psychiatric Association
MASS - MEDIA E SALUTE MENTALE
svoltosi a Firenze il 4 - 5 Ottobre 2001
Il tema di oggi sulla Globalizzazione e Salute Mentale, mi apre un
ventaglio di interrogativi, tanto nella mia pratica come Psicoterapeuta
così come Cittadina.
La Questione che ci convoca oggi è a mio avviso fondamentale, dato che
con frequenza ravvicinata, realtà, fantasia e fantascienza, si
avvicinano fino a toccarsi e a confondersi. Si sfumano le frontiere tra
il pensabile e l’impensabile, tra i fantasmi (fantasie) e il reale.
Sembrerebbe che le fantasie possono realizzarsi fino a far saltare
(rompere) i limiti tra il sogno e la veglia; un mix di terrori notturni e
diurni, sensazioni di disagio che abitano nei nostri corpi, che
colpisce i nostri affetti e i rapporti con gli altri.
Della nostra vita quotidiana qualcuno diceva che assomigliamo di più al
nostro tempo che al modello trasmesso dai nostri genitori. Imbricazione,
interconnessione, tessuto inevitabile tra produzione di soggettività e
contesto socio Ð politico, tra le culture e l’inconscio.
Più di 70 anni fa Freud in “Disagio nella civiltà” e nel “La guerra e la
morte”, già ci segnalava le cause della delusione nel carattere
ambivalente del dominio del tempo e dello spazio. Con l’aiuto della
tecnica diceva che “l’uomo era diventato una sorte di un Dio Profetico”.
Oggi quel Dio Profetico e infelice patisce di una sorte di delirio di
onnipotenza.
Delirante - solitario che con una voracità cannibale vuole mangiarsi tutto e tutti.
“Il mondo si rivela oggi più globale di ieri nella sua instabilità e
vulnerabilità”, scriveva Luigi Pintor il 12 Settembre scorso su “Il
Manifesto”.
Oggi? Ieri? Domani? Questa linearità del tempo è precipitata , si è accorciata in un istante.
Come far luogo in noi stessi a questo modo di attualità?
I mostri con cui ci confrontiamo nella nostra clinica quotidiana, non
sono solo prodotti delle fantasie, del delirio o di un sogno, sono anche
effetti di un eccesso di realtà o di una sovrabbondanza di
informazione, che possono provocare nel soggetto uno sgretolamento del
sistema di identificazione nel centro della sua identità. Una rottura
dei vincoli primordiali ed una perdita dei riferimenti e dei contatti di
appartenenza.
Si manifesta o appare chiaramente una crescente vulnerabilità nei lacci
sociali, uno dei cui effetti è “il predominio dell’individualismo
negativo” come direbbe Robert Castel.
Nei miei ultimi due lavori, “L’Essere umano scartabile nel XXI° Secolo”,
e “Mass Ð Media e Salute Mentale”, ho sviluppato più approfonditamente
questi argomenti.
In una prospettiva clinica e psicopatologica, possiamo indicare che la
contaminazione provocata da quegli eccessi, entrano a formare parte
dell’ambito traumatico.
I soggetti toccati da queste perturbazioni transitano ai bordi dei
diversi quadri psicopatologici. Difficile indicare di che soffrono o
addirittura farli entrare dentro un quadro determinato.
Borderline, stati limite o disfumatura del limite. Vecchia o nuova nosologia si alterna per poter pensare in questa questione.
Oggi più di ieri il soggetto - il paziente - deve essere accolto e preso
nel rapporto con il suo contesto, già che a partire di qua che possiamo
fare una osservazione e comprendere da dove si nutrono quei mostri. La
complessità è aumentata nel nostro lavoro psicoterapeutico.
Gli spazi ed ambiti dove ci tocca intervenire o esercitare il nostro
mestiere, consiste a mio avviso nel collocare e dare forma a quello che
irrompe, a quello che va oltre il limite.
Quello che ha perturbato, ostacolato e fatto vulnerabile il processo di
crescita psichica e relazionale del soggetto o anche ha congelato e
banalizzato i suoi vincoli con gli altri e se stessi.
La cornice per poter elaborare (metabolizzare) la sovraccarica e
l’assorbimento degli stimoli, richiede da noi una rigorosità ed una
attenzione minuziosa, nella costituzione di uno spazio Ð tempo, come
condizione per lo svolgimento del processo terapeutico.
E’ una delle condizioni fondamentali, a mio avviso, per la emergenza di
un senso di quello che sta accadendo nel rapporto. Vale a dire che possa
essere pensato.
Dall’impensabile caotico al pensabile. Cioè che possa formare parte
dell’arricchimento del soggetto, così rimangono le tracce dei suoi
diversi divenire. Lo psichismo ha una limitata capacità di assorbimento
di quello che apportano gli altri, il mondo circondante e il suo stesso
mondo pulsionale. L’accelerazione del tempo, fa si che non ci si possa
costituire lo spazio interno come luogo in cui rimangono le tracce
dell’esperienza vissuta. Senza tempo, senza spazio, solo la
precipitazione e il vissuto catastrofico. Bion ha dedicato molto a
questo. Anche Pichon Rivière.
Ci sono molti orientamenti analitici che hanno sviluppato dopo Freud,
gli effetti traumatici di questi eccessi, di questa eccessiva
stimolazione.
Maria Torok (“
La scorza e il nocciolo”), parla
di un processo di introiezione difettoso nel soggetto, rimanendo tutta
questa stimolazione (frammenti di immagine, sensazioni, etc.), solo al
livello di una incorporazione produttiva di patologia. Vale a dire un
corpo estraneo al quale si tratta di espellere attraverso atti
sintomatici, delitivi o suicidari.
Tra l’altro, o in un altro piano, il processo di soggettivazione è un
processo che si acquisisce durante tutta la vita del soggetto. Per la
costituzione della sua identità è di fondamentale importanza lo sguardo e
l’ascolto degli Altri significativi ad iniziare dai genitori, maestri,
etc., vale a dire un Altro che riconosca questo processo.
Ma quando l’Altro si frantuma, si sfuma o semplicemente non c’è, questo
processo di soggettivazione risulta difficoltoso. Prima o poi le fessure
nella identità si trasformano in cratere.
E’ qui a mio avviso, che il vincolo terapeutico è fondamentale, come
costruzione di un Altro la cui presenza, faccia da testimone di queste
rovine. E’ qui che può avvenire un processo dove possa darsi una presa
di coscienza, effimera, cambiante anche, su chi è Uno in funzione di un
Altro. Una sorta di autorappresentazione dei propri desideri, del
proprio corpo.
Ma come dicevo prima, quando tutto questo si trasloca, traballano i
territori (interni ed esterni), tremano, provocando una forza di
attrazione, dove si può precipitare nel vuoto. Deserto senza tracce.
Pura angoscia.
Le “Nevrosi attuali” di Freud, erano solo questo. Pura attualità, senza
tempo differito. Trauma puro. Emergenza e irruzione
dell’irriconoscibile. Il “Perturbante” (famigliare ed estraneo),
provocando una sensazione di irrealtà e di personalizzazione. Siamo di
fronte al Panico. In questo caso la Coscienza del soggetto fa un
tentativo per focalizzare l’origine dei diversi stimoli, provando ad
identificarli. Succede qualche cosa di simile, come ad avere un relatore
del telegiornale (questa volta interno) che constata passo a passo i
disastri che stanno appunto accadendo nel corpo. Si direbbe che
l’attacco (di panico) solo è temuto nel soggetto come apparizione.
Un primo passo come terapeuti sarebbe quello di fornire la possibilità
per la costruzione di uno spazio, dove possa instaurarsi una distanza,
cioè una alterità che faccia limite alla Massificazione (a situazioni di
indifferenziazione) ed alla accelerazione del tempo. Dove possa
rilanciarsi un percorso singolare.
Per ultimo, revisionare costantemente la nostra posizione come analisti o
terapeuti, la nostra funzione, che ci permette di riflettere su alcuni
degli effetti della Globalizzazione (quell’unico Dio di cui parlavo
all’inizio), l’Unico Dio, l’Uno.
Resistere a questa tentazione autoritaria, ma anche alla massificazione.
I limiti dentro i quali l’inconscio possa insistere alla sua maniera
(nei sogni ad esempio, etc.).
Costruire un luogo dove la parola possa produrre nel suo dispiegamento temporale, l’invenzione della propria memoria.
[da PSYCHOMEDIA]
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Marta De Brasi: "Il trauma dall'ambiente al gruppo interno"
Solo su invito · (Leonardo Montecchi)
26-10-2013
h 9-13 Rimini, presso RM 25, corso d'augusto 241
Seminario della scuola Bleger
Il seminario e' gratuito si richiede l'interesse
al tema.
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