LA CARRIERA MORALE DEL
MALATO MENTALE.
[Questo saggio è
ristampato da «Psychiatry: Journal for the Study of Interpersonal
Processes», XX, n. 2, maggio 1959. Copyright 1959 William
AlansonWhite Psychiatric Foundation, Inc.]
Il termine «carriera»
è riservato abitualmente ad un tipo di privilegi goduti da chi
progredisce, secondo tappe graduali, in una professione di successo.
Si usa tuttavia lo stesso termine, in senso più ampio, per riferirsi
ad una sorta di filo conduttore - di carattere sociale - seguito nel
ciclo dell'intera vita di una persona. Si adottano qui i metodi delle
scienze naturali, tralasciando cioè i singoli risultati particolari,
per mettere l'accento sui mutamenti fondamentali che si rivelano
comuni, nel tempo, ai membri di una categoria sociale, pur
verificandosi in modo indipendente. E' dunque evidente che una
carriera, intesa in tal senso, non può essere ritenuta né brillante
né deludente, né un successo né un fallimento e appunto, sotto
questa luce, intendo avvicinare il malato mentale.
Uno dei vantaggi del
concetto di carriera è che presenta, contemporaneamente, due facce.
L'una si ricollega a meccanismi interni, gelosamente custoditi, come
l'immagine di "sé" ed il sentimento di identità; l'altra
riguarda invece la posizione ufficiale, la figura giuridica, lo stile
di vita e fa parte di un complesso istituzionale che proviene
dall'esterno. Un tale concetto permette di passare dal personale al
pubblico e viceversa, senza dover ricorrere, per la raccolta dei
dati, all'immagine di sé che ogni persona si costruisce.
Questo articolo è un
saggio sullo studio del "sé" nell'ambito di un istituto e
concerne, soprattutto, gli aspetti morali della carriera che in esso
si svolge vale a dire l'insieme di mutamenti regolari nel "sé"
e nell'immagine di sé di una persona, così come nel giudizio di sé
e degli altri che tale carriera comporta (1).
La categoria dei
«malati mentali» è qui intesa in senso strettamente sociologico.
In questa prospettiva la valutazione psichiatrica di una persona
assume significato solo nel momento in cui essa ne alteri il destino
sociale alterazione che diventa fondamentale nella nostra società
quando, e soltanto quando, la persona viene immessa nel processo di
ospedalizzazione (2). Escludo quindi altre categorie affini: i
possibili candidati che sarebbero giudicati «malati» secondo
criteri psichiatrici, ma che non arrivano mai al punto di essere
ritenuti tali da sé o dagli altri, sebbene possano causare notevoli
difficoltà (3); il paziente che lo psichiatra ritiene di poter
trattare ambulatoriamente con farmaci o shock; o quello in
trattamento psicoterapico. Includo invece chiunque venga preso, in un
modo o nell'altro, nel pesante ingranaggio del servizio ospedaliero
psichiatrico, indipendentemente dalla sua struttura personale. In
questo senso gli effetti derivanti dall'essere trattato come malato
mentale, possono essere tenuti distinti da quelli cui va incontro una
persona con caratteristiche che un clinico riterrebbe
psico-patologiche (4).
I malati che si
ricoverano negli ospedali psichiatrici variano fra di loro nel tipo
di malattia, nel grado di gravità diagnosticato dallo psichiatra e
nelle caratteristiche con cui li descriverebbe un profano. Pure, una
volta immessi inquesta dimensione, si trovano ad affrontare
circostanze del tutto analoghe, cui reagiscono in maniera del tutto
analoga. Siccome però queste analogie non derivano dalla malattia
mentale, si potrebbe dire si verifichino suo malgrado.
E' quindi un
riconoscimento del potere delle forze sociali il fatto che la
condizione uniforme di «malato mentale» sia in grado di determinare
in un insieme di persone, un destino e quindi un carattere comune,
tenendo anche presente che questo tipo di pressione sociale si
verifica sul materiale umano più ostinatamente diverso che si possa
raggruppare. Manca qui il frequente costituirsi di una vita
protettiva di gruppo fra ex ricoverati, per poter illustrare il ciclo
classico di reazioni, attraverso le quali, persone «disadattate» si
trovano a costituire, psicodinamicamente, dei sottogruppi nella
società.
Questa prospettiva
sociologica generale è notevolmente rafforzata da una scoperta
cruciale, messa in luce da studiosi di sociologia, nel corso di
ricerche in ospedali psichiatrici. Come è stato più volte
dimostrato nello studio di società preletterate, il disgusto, il
disagio e l'impressione di barbarie provocati da una cultura estranea
alla propria, possono diminuire nella misura in cui lo studioso si
familiarizza con la concezione di vita di chi sta esaminando. In modo
analogo colui che fa ricerche in un ospedale psichiatrico può
scoprire che la follia o il «comportamento malato» attribuito al
paziente è,in gran parte, prodotta dalla distanza sociale fra chi
giudica e la situazione in cui il paziente si trova e non,
principalmente, dalla malattia mentale.
Indipendentemente dalla
precisione della diagnosi dei vari pazienti, e indipendentemente dai
particolari aspetti per cui la vita sociale all'interno dell'ospedale
risulta unica, il ricercatore può rendersi conto di partecipare
aduna comunità che non differisce in modo significativo da qualsiasi
altra abbia studiato. Naturalmente, se vive ristretto nei limiti di
un reparto semiaperto,può avere l'impressione - come del resto
accade ad alcuni pazienti - che la vita nei reparti chiusi sia invece
strana; se si trova in un reparto chiuso di osservazione o
convalescenza, può avere l'impressione che i reparti per cronici
siano luoghi socialmente assurdi. Basta però che partecipi
direttamente alla vita dei reparti «peggiori» dell'ospedale, per
mettere anche questi socialmente a fuoco come un mondo vivo e pieno
di sempre nuovi significati. Il che non esclude tuttavia che possa
trovare, in ogni reparto o gruppo di pazienti, una minoranza che
continua ad apparirgli come incapace di seguire le regole di
un'organizzazione sociale; oppure che l'adattamento alle regole della
comunità sia reso, in parte, possibile da misure strategiche che si
sono istituzionalizzate negli ospedali psichiatrici.
La carriera del malato
mentale comprende, come si sa, tre fasi principali: il periodo che
precede l'ospedalizzazione che chiamerò la fase del "predegente";
il periodo del ricovero, cioè la fase del "degente"; e il
periodo successivo alla dimissione dall'ospedale, se questa avviene,
cioè la fase dell'"ex degente" (5).
Questo articolo si
limiterà all'analisi delle due prime fasi.
LA FASE DEL PREDEGENTE.
Un numero relativamente
piccolo di predegenti entra in ospedale psichiatrico spontaneamente,
perché lo ritiene utile o perché concorda appieno con le decisioni
dei familiari. E' probabile che queste reclute si siano trovate ad
agire in modo da dimostrare a se stesse che stavano perdendo il senno
o il controllo di sé. Nella nostra società, questo modo di vedersi,
di giudicarsi,
sembra una delle più
gravi minacce che possa colpire il sé, specialmente perché è
facile sopravvenga quando la persona è già abbastanza turbata per
rivelare il tipo di sintomi che essa stessa è in grado di giudicare.
Sullivan così lo descrive:
"Ciò che
scopriamo nel sistema del sé di una persona che cade vittima di
un'evoluzione schizofrenica o di un processo schizofrenico è,
dunque, nella sua forma più semplice, una perplessità fortemente
caratterizzata da un sentimento di timore, che consiste nell'uso di
processi di pensiero piuttosto generalizzati e per nulla
perfezionati; processi cui si ricorre nel tentativo di far fronte
all'incapacità di essere uomo - all'incapacità, cioè, di essere
qualcosa che possa venire rispettata come degna di esistere"
(6).
Alla necessità di
ricostruire la propria disintegrazione si associa - in chi ne soffre
- la necessità, quasi altrettanto opprimente, di nascondere agli
altri quelli che ritiene dei mutamenti fondamentali avvenuti in lui,
e di tentare di scoprire se anche gli altri se ne sono accorti (7).
Ciò che intendo dire è che la percezione di perdere il senno è
legata a stereotipi culturali e sociali che riconoscono grande
importanza a sintomi quali l'udire voci, perdere l'orientamento
spazio-temporale, avere la sensazione d'essere inseguiti; sintomi
che, in realtà, sono spesso psichiatricamente ritenuti un semplice e
temporaneo sconvolgimento emotivo in una situazione stressante, per
quanto terrificante possa risultare una tale esperienza per chi la
vive. Analogamente, l'ansia scatenata da questa percezione di sé e
le strategie adottate per ridurla, nons ono di per sé anormali, ma
corrispondono esattamente a quelle che manifesterebbe chiunque
appartenesse alla nostra cultura ed avvertisse di essere sul punto di
perdere il senno. E' interessante notare come le varie subculture
nella società americana differiscano palesemente nella quantità di
stereotipi e nel tipo di incitamento che offrono per una tale visione
di sé, cosi che si riscontrano livelli diversi di "autodenunce".
Comunque, questa capacità di giudicare il grado della propria
disintegrazione, senza alcun intervento da parte di psichiatri,
sembra uno dei privilegi culturali - alquanto discutibile delle
classi superiori (8).
Per colui il quale sia
giunto a considerarsi - in modo più o meno giustificato come
mentalmente squilibrato, l'entrata in ospedale psichiatrico può
talvolta portare sollievo, forse, in parte, a causa della rapida
trasformazione del suo status sociale: invece di essere, ai propri
occhi, una persona discutibile che tenta di conservare il ruolo di
persona integra, diventa una persona ufficialmente discussa ma che,
ai propri occhi, non lo è poi tanto. In altri casi invece
l'ospedalizzazione può peggiorare lo stato del malato che si
ricovera spontaneamente, nel suo riconoscere confermato, in una
situazione obiettiva, ciò che era stato prima solo un'esperienza
personale.
Una volta entrato in
ospedale, il malato che si ricovera spontaneamente viene immesso
nella stessa routine di esperienze di chi viene ricoverato a forza.
E'comunque a quest'ultimo tipo che voglio riferirmi, dato che
attualmente inAmerica esso costituisce il gruppo di gran lunga più
numeroso (9). L'ingresso dei pazienti nell'ospedale può avvenire
secondo tre forme classiche: perché supplicati dai familiari o sotto
la minaccia di perdere i legami con la famiglia qualora rifiutino di
entrare «spontaneamente»; con la forza, accompagnati dalla polizia;
a loro insaputa, indotti con sotterfugi da altri, caso quest'ultimo
limitato soprattutto ai giovani.
La carriera del
predegente può essere ritenuta un modello di esclusione: egli si
presenta come un uomo dotato di diritti e di legami con il mondo, di
cui già all'inizio del suo soggiorno in ospedale, non rivela quasi
più traccia. Gli aspetti morali di tale carriera incominciano
quindi, di solito, con un'esperienza di abbandono, di slealtà e di
amarezza, sia che siano gli altri a ritenere necessario il ricovero,
sia che il malato stesso, una volta entrato in ospedale, concordi con
una tale soluzione.
La storia della maggior
parte dei pazienti mentali presenta casi di trasgressione alle norme
del vivere sociale - nel proprio ambiente familiare,nel posto di
lavoro, in una organizzazione semipubblica come una chiesa o un
grande magazzino, in zone pubbliche come strade o parchi. Spesso la
cosa viene riferita da un "accusatore" che risulta così
colui che ha dato l'avvio al ciclo che porterà l'accusato alla
ospedalizzazione. Costui può anche non essere quello che fa il primo
passo, ma quello che ha portato alla prima azione determinante.
E' qui che comincia
"socialmente" la carriera del paziente, e ciò prescindendo
dal momento in cui può collocarsi l'inizio psicologico della sua
malattia mentale.
I tipi di trasgressione
che portano all'ospedalizzazione sono socialmente vissuti in modo
diverso da quelli che portano ad altri esempi di esclusione
detenzione, divorzio, perdita del lavoro, ripudio, esilio,
trattamento psichiatrico non istituzionale eccetera. Ben poco si sa
però sui fattori che determinerebbero tali differenze e quando si
studiano i fatti relativi ad un internamento, risulta spesso evidente
che sarebbe stato possibile trovare anche altre soluzioni. Appare
vero, inoltre, che per ogni tipo di trasgressione che porti ad una
denuncia, ve ne sono molte altre - simili dal punto di vista
psichiatrico - che tuttavia non portano alle medesime conseguenze.
Nessuna azione viene intrapresa; oppure viene intrapresa un'azione
che porta ad altro tipo di esclusione; oppure l'azione intrapresa non
ha effetti determinanti dato che serve a tranquillizzare l'accusatore
o a farlo desistere dalla denuncia.
Così, come Clausen e
Yarrow hanno dimostrato, anche trasgressori delle norme che, alla
fine, vengono ospedalizzati, spesso sono già stati oggetto di una
serie di azioni intraprese contro di loro, senza risultato (10).
Separando le
trasgressioni che avrebbero potuto essere prese come giustificazione
al ricovero, da quelle che sono effettivamente usate a questo scopo,
si trova un gran numero di ciò che gli studiosi dell'occupazione e
del lavoro chiamano «contingenze di carriera» (11). Alcune di
queste contingenze nella carriera del malato mentale sono già state
indicate, se non proprio indagate: la condizione economica, la
clamorosità della trasgressione, la vicinanza di un ospedale
psichiatrico, la possibilità di trattamento, l'opinione della
comunità sul tipo di trattamento attuato negli ospedali disponibili
e così via (12). Per ulteriori informazioni su altre serie di
contingenze ci si può riferire a fatti di cronaca: un psicotico è
tollerato dalla moglie fino a quando non si sia trovata un amico, o
dai figli adulti finché non si siano trasferiti in un altro
appartamento; un alcolista viene inviato in ospedale psichiatrico
perché non c'è posto in prigione; un tossicomane perché rifiuta un
trattamento psichiatrico ambulatoriale; una adolescente ribelle
perché non viene più tollerata in famiglia in seguito ad una
relazione con un uomo non adatto,
eccetera. In
corrispondenza ad esse, esiste tuttavia una serie di contingenze
opposte, altrettanto importanti, che consentono di evitare questo
destino.
Quando poi il pre
degente entra in ospedale, sarà ancora una serie di contingenze che
contribuirà a determinare il momento della dimissione: il desiderio
della famiglia di riaverlo in casa, la possibilità di trovare un
lavoro adatto e così via. Il fatto dunque che la società ritenga,
ufficialmente, che i ricoverati negli ospedali psichiatrici si
trovino in quella situazione perché sono dei malati mentali, non
pare corrisponda alla realtà. Se si pensa che i «malati di mente»
che vivono liberamente fuori dagli ospedali si avvicinano, come
numero se addirittura non lo superano - a quelli che sono invece
ricoverati, si potrebbe concludere che ciò che distingue i secondi
dai primi non è il tipo di malattia, quanto piuttosto un certo
numero di contingenze.
Le contingenze di
carriera si verificano, per il predegente, associate ad un altro
elemento: il circuito di agenti e di enti che influiscono sul suo
destino nel passaggio dallo status civile a quello di degente (13).
Si ha qui un esempio di quell'importante insieme del sistema sociale,
costituito appunto da agenti differenti, che convergono
nell'occuparsi della stessa persona, spingendola verso l'ospedale. E'
il caso di citare alcuni di questi ruoli di agente, tenendo conto che
in ogni insieme, un ruolo può essere coperto più di una volta, e
che una persona può coprirne più d'uno.
Primo, la «"persona
di fiducia"» (next-of-relation), colui che il malato considera
il più accessibile e disponibile in caso di bisogno: l'ultimo a
metterne in dubbio lo stato di salute mentale e il primo disposto a
fare il possibile per salvarlo dal destino che gli si prepara. Si
tratta di solito di unparente stretto, ma ho qui preferito usare
questo termine specifico, perché non è detto che lo debba essere
sempre. In secondo luogo c'è l'"accusatore", quello che
per primo ha dato l'avvio alla serie di contingenze che portano il
paziente all'ospedalizzazione. Ultimi i "mediatori",
l'insieme di agenti ed enti cui ilpredegente viene segnalato e che lo
segue nel suo procedere verso l'ospedale:
polizia, clero, medici
generici, psichiatri, personale di cliniche, legali,
assistenti sociali,
insegnanti scolastici, eccetera. Solo uno di questi personaggi avrà
il mandato legale di consegnare il paziente all'ospedale, mentregli
altri avranno soltanto partecipato ad un processo le cui conseguenze
non erano ancora definite. Quando i mediatori escono dalla scena, è
allora che il predegente diventa un degente, affidato ad un unico
agente che è il direttore dell'ospedale.
L'accusatore non
agisce, abitualmente, in veste professionale ma come cittadino, come
datore di lavoro, come vicino di casa o parente del paziente; mentre
i mediatori sono, per lo più, specialisti che presentano una
notevole distanza dall'oggetto di cui si occupano: hanno
un'esperienza cui riferirsi nel trattare i problemi e quindi un certo
distacco professionale. Ad eccezione dei poliziotti e forse di una
parte del clero, essi tendono a formarsi un orientamento psichiatrico
così da poter diagnosticare - più di quanto non possa fare il
profano - quando si presenta la necessità di un trattamento (14).
Un aspetto interessante
è dato dagli effetti del reciproco interagire dei ruoli.
Ad esempio i sentimenti
del paziente possono essere diversamente influenzati a seconda che
colui che esercita il ruolo di accusatore abbia, più o meno, anche
quello di "persona di fiducia", combinazione alquanto
imbarazzante che si verifica più di frequente nelle classi superiori
che in quelle inferiori (15).
Consideriamo ora alcuni
degli effetti che ne derivano (16).
Nel cammino che da casa
lo conduce all'ospedale, il paziente può viversi come l'oggetto di
ciò che ritiene una sorta di coalizione "alienante". La
"persona di fiducia" fa pressione su di lui perché vada a
discutere a fondo la cosa con un medico, uno psichiatra, o comunque
un competente. Se rifiuta di farlo, si minaccia di abbandonarlo e di
ricorrere ad azioni legali; oppure gli si assicura che si tratta di
un incontro di carattere puramente interlocutorio. Nel frattempo però
la "persona di fiducia" si sarà preoccupata di predisporre
la visita scegliendo il professionista, stabilendo l'appuntamento,
illustrandone già prima il caso: passi questi che tendono, in
effetti, a definire la posizione della "persona di fiducia"
come la responsabile cui si può comunicare i risultati
dell'incontro, e la posizione dell'altro, come quella di un malato.
Spesso il predegente va
a farsi visitare presumendo di essere esattamente allo stesso livello
del suo accompagnatore, cui è legato tanto intimamente da
nonsupporre che una terza persona sia in grado di interferire fra di
loro su questioni fondamentali (il che del resto è uno dei modi in
cui vengono definiti i legami profondi nella nostra società). Pure,
non appena entra nell'ambulatorio, il predegente scopre che a lui e
alla "persona di fiducia" che lo accompagna non sono
riconosciuti gli stessi ruoli; che una evidente, precedente intesa
lega il suo accompagnatore al professionista, e ciò a suo danno.
Spesso il professionista può intrattenersi prima con il paziente da
solo- per formulare una diagnosi - e successivamente con fa "persona
di fiducia" per darle un responso, evitando accuratamente di
discutere la cosa seriamente inpresenza di entrambi (17). Anche nei
casi in cui non si tratta, in realtà, di una consultazione, quanto
piuttosto di un'azione di forza intesa a strappare il malato alla
famiglia che vorrebbe tenerlo con sé, la "persona di fiducia"
è spesso indotta a prender parte all'azione generale, per cui il
predegente si sente oggetto di una sorta di "coalizione
alienante" organizzata contro di lui.
La percezione di essere
l'oggetto di una congiura di tal tipo può amareggiare il predegente,
soprattutto per il fatto che i disturbi di cui soffre lo hanno già
portato - è probabile - ad un certo distacco dalla "persona di
fiducia".
Tuttavia, dopo il suo
ingresso in ospedale, il fatto che la "persona di fiducia"
venga a visitarlo spesso, può dargli la consapevolezza che tutto sia
stato fatto nel suo interesse; mentre le prime visite lo potranno
rinforzare, temporaneamente, nella convinzione di essere stato
abbandonato. Accade allora facilmente che il paziente implori l'amico
di farlo uscire di là, di fargli almeno ottenere qualche privilegio
o di capire la mostruosità della sua situazione - al che l'amico non
può che rispondere incitandolo a sperare, non «dando seguito» alle
sue richieste, oppure rassicurandolo sulle capacità tecniche dei
sanitari che faranno il loro meglio per curarlo. Tuttavia, a questo
punto, il visitatore se ne va, ritornando - semplicemente - nel mondo
che il paziente sa, ricco di libertà e privilegi, mentre a lui resta
il sospetto che l'amico stia solo tentando di stendere un velo di
pietà su un caso palese di abbandono e di tradimento.
Questo amaro sentimento
può essere aggravato, inoltre, dalla presenza di un estraneo che
agisce come testimone della sua posizione; fattore, quest'ultimo,che
ha grande importanza in molte situazioni a tre. E' facile infatti che
una persona offesa si comporti con tolleranza ed accondiscendenza
verso chi l'ha offesa, qualora i due contendenti siano soli,
anteponendo il quieto vivere alla giustizia. La presenza di un
testimone sembra, invece, aggiungere un significato particolare
all'offesa, perché non è più in potere dell'offeso e
dell'offensore, dimenticare, cancellare e rimuovere l'accaduto:
l'offesa è diventata un fatto sociale, un avvenimento pubblico (18).
Se poi - come talvolta succede – il testimone di un tale tradimento
sia la commissione giuridica di igiene mentale, la cosa assume allora
il carattere di una «cerimonia di degradazione» (19). In questo
caso il paziente offeso può sentire la necessità di un ampio atto
riparatorio, per ristabilire il suo onore ed il suo valore sociale.
Sono da ricordare altri
due elementi impliciti nel sentimento di tradimento.
Primo, il fatto che
coloro i quali hanno spinto il malato al ricovero è probabile non
gli abbiano dato una visione realistica di quanto la cosa possa
incidere in lui. Spesso gli viene solo detto che lì potrà avere il
trattamento medico di cui ha bisogno ed un periodo di riposo: potrà
dunque uscire in pochi mesi. In alcuni casi chi lo incita al ricovero
nasconde al malato ciò che sa, ma penso, in generale, dicano quello
che credono sia vero. In realtà, c'è una differenza notevole fra il
punto di vista del degente e quello dei mediatori professionali. I
"mediatori", più di quanto non faccia il pubblico in
genere, non giudicano gli ospedali psichiatrici luoghi di esilio
forzato, ma istituzioni sanitarie per degenze a breve scadenza, nelle
quali si può ottenere la cura e il riposo necessari. Quando però il
predegente entra in ospedale, impara molto rapidamente che le cose
sono ben diverse e scopre allora che le informazioni avute sulla vita
dell'ospedale sono servite soltanto a fargli opporre meno resistenza
al suo ricovero, di quanta ne avrebbe opposta se realmente avesse
saputo come stavano le cose. Così, quali che fossero le intenzioni
di coloro che hanno contribuito al suo passaggio dal ruolo di persona
a quello di paziente, non può vivere la nuova esperienza che come un
inganno, che l'ha condotto alla sua attuale penosa situazione.
Ciò che intendo dire è
che il predegente inizia la sua carriera con almeno una parte di
diritti, libertà, soddisfazioni propri di un civile, e finisce in un
reparto psichiatrico, spogliato quasi completamente di tutto. Il
problema è ora il "modo" in cui questo accade, ed è il
secondo aspetto del tradimento che voglio considerare.
Così come lo può
vedere il predegente, il cerchio di figure determinanti nella sua
carriera assume, ai suoi occhi, il significato di una sorta di
«vortice degli inganni». Il passaggio dal ruolo di persona a quello
di degente può, infatti, avvenire attraverso una serie di fasi
collegate, ciascuna controllata da un agente diverso. Mentre ogni
fase tende a portare una netta diminuzione nello status di persona
libera del predegente, ogni agente può tentare di fingere che non ci
saranno ulteriori diminuzioni e può perfino riuscire ad indirizzare
il predegente all'agente successivo, mantenendo una tale finzione.
Inoltre ogni agente
richiede implicitamente al predegente - con parole, cenni gesti - di
intrattenersi con lui in una conversazione superficiale ed educata
evitando, con tatto, di toccare certi aspetti amministrativi della
situazione; conversazione che va facendosi gradualmente sempre più
irreale, in netto contrasto con la situazione concreta. La moglie
preferisce non dover piangere per convincere il marito a farsi
visitare dallo psichiatra; lo psichiatra preferisce evitare scene
clamorose nel momento in cui il predegente capisce che dovrà essere
visitato separatamente dalla moglie, e in modo diverso; la polizia
raramente porta un predegente all'ospedale in camicia di forza: trova
più comodo offrirgli sigarette, dirgli parole gentili e dargli la
possibilità di rilassarsi sul sedile posteriore dell'automobile; lo
stesso psichiatra addetto all'accettazione dei malati trova più
conveniente fare il suo lavoro nella quiete e nell'eleganza del suo
studio, dove ci siano segni, indicazioni puramente accidentali, che
possano far ritenere l'ospedale come un luogo veramente confortevole.
Se il predegente presta ascolto a queste implicite richieste e si
comporta nel complesso discretamente, può percorrere l'intero ciclo
da casa all'ospedale, senza costringere chi gli sta attorno a
rendersi conto di quello che sta realmente succedendo, evitandogli
quindi di affrontare la cruda emozione che la drammatica situazione
potrebbe fargli esprimere. Il suo tenere in considerazione quelli che
lo spingono verso l'ospedale, consente loro di tenerlo, a sua volta,
in considerazione, con il risultato che queste interazioni riescono a
sostenersi sulla base dell'armonia protettiva, tipica dei normali
rapporti amichevoli che intercorrono fra due persone. Ma, se appena
il nuovo degente ripercorre con la mente la sequenza dei passi che
l'hanno portato all'ospedale, può avvertire che ci si è dati da
fare per mantenere in equilibrio il benessere momentaneo di tutti, a
scapito del suo benessere futuro, e una tale scoperta può costituire
un'esperienza morale che lo separa ulteriormente dal mondo «di
fuori» (20).
Ora considererò
l'insieme degli agenti partecipanti alla carriera del malato, dal
loro punto di vista. I "mediatori" che partecipano al suo
passaggio dallo status civile a quello di degente - così come coloro
che ne curano la custodia una volta ricoverato - hanno interesse a
stabilire che la "persona di fiducia" responsabile assuma,
nei confronti del degente, il ruolo di tutore o di"guardiano";
ove non ci fosse un candidato naturale per questo ruolo, se ne può
trovare uno e persuaderlo ad accettare l'incarico. In questo modo,
mentre l'uno si trasforma gradualmente in paziente, l'altro si
trasforma in guardiano. Con un guardiano sulla scena, l'intero
processo di transizione può "mantenersi pulito".
Il "guardiano"
dovrebbe occuparsi delle implicazioni civili e degli interessi del
predegente, collegandone i fili smarriti che, altrimenti, potrebbero
imbrogliare le cose nella vita dell'ospedale. Alcuni dei diritti
civili abrogati al paziente possono venire trasferiti a lui, aiutando
così a mantenere, agli occhi del degente, la finzione legale secondo
cui, pur trovandosi egli nella condizione di non avere più alcun
diritto effettivo, in qualche modo non li ha completamente perduti
tutti.
Normalmente i degenti -
almeno per qualche tempo - vivono il ricovero come una grave,
ingiusta privazione e talvolta riescono a convincere in questo senso
anche persone del mondo esterno. In questo caso può risultare spesso
utile per coloro che sono ritenuti responsabili - anche se in maniera
giustificata – di queste privazioni, riuscire ad accordarsi e a
contare sulla collaborazione di qualcuno il cui legame con il
paziente lo metta al di là di ogni sospetto, essendo chiaramente
colui che ha veramente a cuore i suoi interessi. Se il "guardiano"
è soddisfatto di come vanno le cose al nuovo paziente, pure la
società dovrebbe esserlo (21).
Ora sembrerebbe che
quanto maggiore interesse personale e legittimo abbia unaparte nei
confronti dell'altra, tanto più possa assumerne il ruolo
di"guardiano". Ma socialmente gli atti legali che
sanciscono la fusione ufficiale degli interessi di due persone,
comportano altre conseguenze. Perché la persona cui il paziente
ricorre per essere aiutato e difeso dal pericolo di venire
imprigionato, è la medesima cui mediatori ed amministratori
dell'ospedale si rivolgono per averne l'autorizzazione al ricovero.
E' quindi comprensibile come i pazienti avvertano, almeno per un
periodo, che il fatto di essere parenti o intimamente legati a
qualcuno, non ne garantisce la fedeltà.
Ci sono altri effetti
funzionali derivanti da questa complementarietà dei ruoli.
Se e quando la "persona
di fiducia" chiede aiuto ai "mediatori", per far
fronte alle difficoltà che incontra con il predegente, può - in
effetti - non pensare all'ospedalizzazione. Anzi, può addirittura
non considerare il predegente come un malato mentale o, se lo fa, il
suo può non essere ancora un giudizio definitivo (22). E' l'insieme
dei mediatori - con la loro preparazione psichiatrica e la loro
certezza circa il carattere medico degli ospedali psichiatrici - che
spesso definisce la situazione alla "persona di fiducia",
assicurandole che l'ospedalizzazione può essere una soluzione, che
essa non comporta alcun tradimento nei confronti del malato dato che
si tratta solo di un'azione medica, decisa per il suo bene. E' ora
che il familiare impari che, per fare il suo dovere verso il
predegente, è facile ne perda la fiducia e che, per questo, il
malato può arrivare anche ad odiarlo. Ma già il fatto che la cosa
sia stata suggerita e proposta da professionisti e che sia stata da
loro definita come un dovere morale, scarica in parte il senso di
colpa che la"persona di fiducia" avverte nei confronti del
malato (23). E' un fatto doloroso che un figlio o una figlia adulti
siano qualche volta spinti al ruolo di mediatori, dato che l'ostilità
che altrimenti si sarebbe riversata sul coniuge, viene scaricata su
di loro (24).
Una volta ricoverato il
malato, lo stesso sentimento di colpa nei suoi confronti vissuto
dalla "persona di fiducia", può diventare un elemento
significativo su cui lo staff può agire (25). Le spiegazioni che lo
scagionino dall'aver tradito il paziente - anche se il paziente
continua a pensarlo - possono servirgli, inseguito, come una linea di
difesa da seguire al prossimo incontro con il malato in ospedale e
come la garanzia che il rapporto con lui possa venire ristabilito,
dopo il periodo del ricovero. Naturalmente, qualora la cosa sia
percepita dal paziente, può fornire ai suoi occhi delle attenuanti
per la "persona di fiducia" nel caso gliele chieda (26).
Così, mentre la
"persona di fiducia" può svolgere funzioni importanti per
i mediatori, e gli amministratori dell'ospedale, essi stessi possono,
a loro volta, svolgerne altre importanti per lei. Dal che si può
vedere emergere un complesso di scambi e di reciprocità senza alcuna
intenzionalità, dato che questo tipo di funzioni è spesso non
intenzionale.
Il punto finale che
voglio ora considerare nella carriera del predegente è il suo
particolare carattere "retroattivo". Finché una persona
non entra effettivamente in ospedale, in genere non pare vi sia modo
di prevedere con certezza il suo destino in tal senso, tenendo conto
del ruolo determinante che qui giocano le contingenze di carriera.
Oltre al fatto che, finché non ha varcato la soglia dell'istituto,
il predegente è ancora nella possibilità di non considerarsi e di
non essere considerato dagli altri una persona che sta per diventare
un malato mentale. Tuttavia, poiché egli sarà trattenuto in
ospedale contro la sua volontà, la "persona di fiducia" e
lo staff ospedaliero avranno bisogno di razionalizzare le difficoltà
di rapporto che devono affrontare e, fra il personale, i medici
necessiteranno di prove capaci di testimoniare che si tratta di un
paziente della loro specialità. Questi problemi sono ridotti
indubbiamente senza intenzione - dall'anamnesi del caso: essa si basa
sulla ricostruzione del passato del paziente e ciò con l'effetto di
dimostrare che già da molto tempo si stava ammalando, che infine si
è ammalato seriamente, e che cose ben peggiori gli sarebbero
accadute se non fosse stato ricoverato in ospedale - il che,
naturalmente, può anche essere vero. Per inciso, se il paziente
vuole ricavare un senso dal suo soggiorno in ospedale e se - come già
suggerito -vuole mantenere viva la possibilità di riabilitare al
suoi occhi la"persona di fiducia" come degna di rispetto e
le cui intenzioni non possono essere messe in dubbio, anch'egli si
troverà a dover credere a qualche rielaborazione psichiatrica del
suo passato.
Questo è un momento
cruciale per l'analisi sociologica della carriera. Un elemento
importantissimo di ogni carriera è l'idea che ci si costruisce,
quandoci si volta a guardare il cammino percorso. E purtuttavia, in
un certo senso, l'intera carriera del predegente deriva da questa
ricostruzione. L'aver avuto una carriera di predegente, incominciata
in seguito ad un'accusa reale, diventa un elemento determinante per
quello che sarà il malato mentale; ma il fatto che un tale elemento
entri in gioco soltanto dopo il ricovero, prova che ciò che il
paziente aveva - e non ha più - è una carriera di predegente.
LA FASE DEL DEGENTE.
L'ultimo passo della
carriera del predegente può corrispondere alla sua presa di
coscienza - più o meno giustificata - di essere stato abbandonato
dalla società e tagliato fuori da ogni rapporto. E' interessante
notare come il paziente soprattutto se di prima ammissione - tenti di
impedirsi di rendersene conto, anche se in realtà si trovi già in
un reparto chiuso di un ospedale psichiatrico. Al suo ingresso in
ospedale può provare il bisogno violento di non rivelarsi, agli
occhi degli altri, come persona capace di ridursi in condizioni tanto
degradanti, o di comportarsi così come si è comportato prima del
ricovero.
Eviterà quindi di
parlare; si manterrà per quanto possibile, appartato e perfino"fuori
contatto" o "maniaco", per non rischiare di
convalidare qualsiasi rapporto gli richieda un ruolo di reciproca
cortesia e lo possa esporre a dimostrarsi, agli occhi degli altri,
per ciò che è diventato. Quando la "persona di fiducia"
si sforza di andarlo a trovare, può essere respinta dal suo mutismo
o dal rifiuto di recarsi in «parlatorio». Molto spesso questo tipo
di strategia fa supporre quanto il paziente si aggrappi a ciò che
resta dell'antico rapporto che lo univa a coloro che facevano parte
del suo passato, e di come stia tentando di proteggerne gli ultimi
resti dalla distruzione totale, rifiutando di trattare con le persone
nuove che essi sono diventati (27).
Di solito finisce per
rinunciare a questo sforzo snervante, inteso a mantenere l'anonimato
e a negare la sua presenza lì, ed incomincia a cercare, nella
comunità ospedaliera, rapporti sociali di tipo convenzionale. Da
allora in poi si ritrarrà solo in qualche modo particolare - usando
sempre il suo nomignolo, firmando l'articolo nel settimanale
dell'ospedale solo con le iniziali, servendosi dell'innocuo indirizzo
di «copertura» fornito con tatto da alcuni ospedali; oppure in
qualche circostanza particolare - quando un gruppo della scuola
infermieri fa un breve giro nel reparto, o quando, nei limiti
consentiti dallo spazio ospedaliero, incontra all'improvviso un
civile che conosceva prima.
Talvolta questo
arrendersi viene definito dagli infermieri come un «adattamento».
In realtà, esso denota una nuova posizione, presa e sostenuta
apertamente dal paziente, che ricorda il processo del "rivelarsi"
cui si assiste in altri gruppi (28). Una volta che il predegente
abbia incominciato ad"adattarsi", le linee principali del
suo destino tendono a seguire quelle di un'intera categoria di
segregazioni - prigioni, campi di concentramento, campi di lavoro
eccetera, nella cui area l'internato trascorre tutta la vita, vivendo
passo passo la sua giornata irreggimentata, a stretto contatto con
altri compagni della medesima condizione istituzionale.
Come il neofita in
molte di queste «istituzioni totali», il nuovo degente si trova
completamente spogliato di ogni convinzione, soddisfazione e difesa
abituali, soggetto com'è ad una serie di esperienze mortificanti:
impossibilitato a
muoversi liberamente se non entro limiti consentiti; costretto ad una
vita in comune; sottomesso all'autorità di un'intera squadra di
comandanti. E' qui che si incomincia ad apprendere quanto sia
limitata l'estensione entro la quale può essere mantenuto il
concetto di sé, qualora l'insieme di sostegni abituale venga
improvvisamente a mancare.
Nel sottostare a queste
esperienze degradanti, il degente impara a muoversi secondo il
«sistema del reparto» (29). Negli ospedali psichiatrici pubblici
ciò consiste, generalmente, in una serie di livelli di vita che si
svolgono attorno ai reparti, nelle unità amministrative chiamate
«servizi», negli ambiti entro i quali i pazienti possono essere
lasciati liberi. Il livello «peggiore» non offre spesso che panche
di legno per sedersi, cibo piuttosto cattivo ed un angolo perdormire.
Il livello «migliore» può comprendere una stanza per persona,
ilprivilegio di muoversi nell'area ospedaliera e di andare in città,
rapporti non troppo mortificanti con il personale, cibo discreto ed
ampie possibilità ricreative. Se disobbedisce alle norme generali
dell'istituto, il degente riceverà una severa punizione, tradotta in
termini di perdita di privilegi; se invece ubbidisce, gli sarà
perfino concesso di godere nuovamente di qualche piccolo piacere che
-prima di entrare in ospedale - riteneva ovvio soddisfare.
L'istituzionalizzazione
di questi livelli di vita radicalmente diversi, mette in luce
l'influenza dell'ambiente sociale sulla formazione del "sé".
Ciò significa che il "sé" non trae origine semplicemente
da un processo di interazioni significative fra l'io e gli altri, ma
anche dal tipo di strutture che gli si organizza intorno.
Difficilmente una
persona riconoscerebbe certi ambienti come espressione o estensione
di sé. Quando un turista visita i bassifondi, si diverte non tanto
nella misura in cui si riconosce nella situazione, quanto piuttosto
perché la sente tanto assurdamente lontana. I «salotti» ad esempio
possono essere usati come luoghi dove si può influenzare a proprio
favore l'opinione degli altri.
Altri ambienti, come i
posti di lavoro, esprimono il livello professionale del lavoratore,
livello sul quale però egli non ha alcun controllo decisivo dato che
viene esercitato - seppure con tatto - dal suo datore di lavoro. Gli
ospedali psichiatrici sono un esempio limite di quest'ultima
possibilità, e ciò è dovuto non solo al livello di vita
particolarmente degradante cui sono soggetti i pazienti, ma anche al
modo particolare in cui viene qui reso esplicito il valore di sé, e
ciò in maniera persistente, penetrante e sistematica.
Una volta che il
degente si sia stabilito in un reparto, gli si spiega subito che le
restrizioni e le privazioni cui andrà incontro non sono dovute a
norme tramandate o a criteri economici - il che non avrebbe niente a
che fare con il valore del "sé" - ma fanno parte
intenzionale della cura, corrispondono a ciò di cui in quel momento
egli ha esattamente bisogno: sono quindi espressione del livello di
degradazione cui è arrivato. Avendo tutti i motivi per richiedere un
trattamento migliore, se lo fa, gli si risponde che quando lo
riterranno «capace di affrontare» o «pronto» per un reparto di
livello superiore, allora decideranno il da farsi. Ciò significa che
l'assegnazione ad un dato reparto non viene presentata come un premio
o una punizione, ma come espressione del grado di socialità e delle
condizioni del paziente. Premettendo che i reparti «peggiori»
offrono un livello di vita che i malati mentali organici possono
sopportare con una certa facilità - e quei minorati sono lì a
testimoniarlo – si possono valutare alcuni degli effetti prodotti
dall'ospedale (30).
Il sistema del reparto
diventa allora un caso limite di come le strutture fisiche di
un'istituzione possano venire esplicitamente usate per definire il
concetto di sé di una persona. Inoltre lo stesso mandato
psichiatrico dell'ospedale contribuisce ad incidere con aggressioni,
anche più dirette e più violente, sul modo in cui il malato
concepisce se stesso. Quanto più «medico» e moderno è un ospedale
psichiatrico - quanto più cerca di assolvere la sua funzione
terapeutica, rifiutando di limitarsi alla sola custodia - tanto più
il malato si troverà di fronte ad uno staff altamente qualificato
che gli dimostrerà come il suo passato sia stato un fallimento; che
la causa è dentro di lui, che il suo atteggiamento verso la vita è
sbagliato e che se vuole essere un uomo, dovrà mutare il tipo di
rapporti che instaura e l'immagine che ha di se stesso. Spesso il
valore morale di queste aggressioni verbali gli verrà imposto
attraverso la richiesta di esercitarsi ad accettare l'interpretazione
psichiatrica data su di lui, durante le periodiche confessioni
organizzate sia in corso di psicoterapia individuale, che di gruppo.
Si può ora
puntualizzare, nella carriera morale dei ricoverati, un fenomeno
generale che si riscontra in molte carriere morali. Dato il grado
raggiunto in qualsiasi carriera, si nota che ci si costruisce
un'immagine della propria vita -passato, presente, futuro -
selezionando, scegliendo e distorcendo i fatti per fornire un quadro
di noi stessi, tale da poter essere vantaggiosamente presentato nella
vita quotidiana. Generalmente il criterio difensivo che si segue per
ciò che riguarda il "sé" porta ad allinearsi con i valori
fondamentali della società in cui si vive, nel qual caso si parlerà
di un'"apologia". Qualora si sia in grado di fornire un
quadro della situazione quotidiana nel quale possano evidenziarsi
qualità personali espresse nel passato, ed un destino favorevole che
ci attende, questa potrà essere una "storia di successo".
Nel caso invece il passato e il presente siano terribilmente cupi,
sarà meglio chela persona dimostri di non essere responsabile di ciò
che è successo e il termine "una storia triste" sarà
perfettamente adatto al caso. E' piuttosto interessante notare come,
quanto più il passato ha fatto deviare la persona dall'apparente
allineamento con i valori morali fondamentali, tanto più spesso
sembra costretta a raccontare - in qualsiasi compagnia si trovi - la
sua triste storia. Il che forse risponde, in parte, al bisogno che
avverte negli altri di non vedere insultato il significato della
propria vita. Comunque, è soprattutto fra carcerati, alcolisti e
prostitute che si trovano sempre pronte le storie più tristi (31).
Ora vorrei prendere in esame le vicende della "triste storia"
del malato mentale.
Nell'ospedale
psichiatrico le strutture e le regole dell'istituto contribuiscono a
convincere il malato che - in fondo - è un caso mentale, che ha
sofferto di una sorta di collasso sociale avendo completamente
fallito: la sua presenza in quel luogo ha quindi uno scarso peso
sociale, poiché egli sarebbe difficilmente in grado di comportarsi
da persona normale. Un tale tipo di umiliazioni è probabilmente
avvertito più acutamente da malati borghesi, dato che la loro
precedente condizione di vita li immunizza scarsamente contro questo
tipo di offese; pure, tutti i pazienti avvertono una qualche
degradazione. Esattamente come qualunque persona del medesimo livello
subculturale, spesso il paziente reagisce a questa situazione,
raccontando una triste storia, nel tentativo di dimostrare di non
essere «malato», che i «piccoli guai» in cui è incorso sono
stati, in verità, causati da altri, che la sua vita passata era
retta ed onorata e che perciò l'ospedale è ingiusto ad imporgli la
condizione di malato mentale.
Questa tendenza al
mantenimento della propria dignità agli occhi degli altri è
fortemente istituzionalizzata nella comunità dei malati, dove i
contatti sociali si conservano generalmente entro i limiti di una
semplice informazione volontaria sulla sistemazione nel reparto e
sulla durata del soggiorno, senza arrivare mai a dare spiegazioni sul
motivo della loro presenza lì - il che è, del resto, abituale nelle
normali conversazioni superficiali (32). Una volta familiarizzati, in
genere i pazienti forniscono spontaneamente una versione
relativamente accettabile del loro ricovero, accettando a loro volta
– senza domande indiscrete - le versioni fornite dagli altri.
Vengono, ad esempio, raccontate e apertamente accettate storie come
queste:
"Frequentavo la
scuola serale perché volevo laurearmi e, contemporaneamente,
lavoravo. L'impegno è stato troppo per me".
"Gli altri qui
sono malati di mente. Ma io ho solo un esaurimento nervoso ed è per
questo che ho queste fobie".
"Sono qui per
errore, a causa di una diagnosi di diabete e sarò dimesso in un paio
di giorni. [Il paziente era in ospedale da sette settimane]".
"Fallii come
bambino e più tardi, con mia moglie, cercai un rapporto di
dipendenza".
"Il mio guaio è
che non posso lavorare. Questo è il motivo per cui sono qui. Avevo
due lavori, una bella casa e tutto il denaro che volevo" (33).
A volte il degente
sottolinea queste storie fornendo una rappresentazione ottimistica
del tipo di occupazione cui si dedicava: se era riuscito ad ottenere
un'audizione per annunciatori radio, si atteggia a
radio-annunciatore; se aveva lavorato alcuni mesi come fattorino in
un giornale, essendogli stato assegnato un lavoro di reporter da cui
fu licenziato tre settimane dopo, si definisce reporter.
Sulla base di queste
finzioni reciprocamente sostenute, è possibile costruire un intero
ruolo sociale nella comunità dei malati, dato che tali convenevoli
reciproci sono generalmente confermati anche dalle chiacchiere fatte
alle spalle che - rispetto alle versioni originali - si avvicinano
soltanto di un grado ai «fatti obiettivi». Il che ricorda,
tuttavia, una delle classiche funzioni sociali dei rapporti informali
fra persone dello stesso livello, rapporti ches ervono da auditorio
reciproco per storie costruite a sostegno della propria
rappresentazione di sé.
Tuttavia, l'"apologia"
del degente viene menzionata solo in circostanze particolari, poiché
poche altre situazioni possono essere altrettanto lesive nei
confronti della rappresentazione di sé data dal malato, come quella
manicomiale; ammenocché non si tratti, naturalmente, di una versione
costruita secondo criteri psichiatrici. Questa capacità distruttiva
dell'istituto si fonda comunque su qualche cosa di più del documento
che dichiara il paziente insano di mente, pericoloso a sé e agli
altri - anche se tale attestazione sembra già incidere profondamente
sull'orgoglio del degente e sulla sua possibilità di averne.
Le stesse condizioni
degradanti dell'ambiente ospedaliero contribuiscono, naturalmente, a
smascherare molte di queste rappresentazioni ottimistiche di sé
proposte dai pazienti: il che è del resto confermato dal fatto
stesso che i protagonisti sono ricoverati in un ospedale
psichiatrico. Inoltre, non sempre c'è, fra i degenti, un grado di
solidarietà sufficiente ad impedire che l'uno discrediti l'altro;
esattamente come non c'è sempre un numero sufficiente di infermieri
con ruoli professionali, tale da impedire che uno di questi screditi
un paziente. Un paziente chiedeva ripetutamente ad un compagno:
«Se sei così in
gamba, come mai sei capitato qui?»
Tuttavia gli
ordinamenti ospedalieri hanno un potere ancor più lesivo. Il
personale ha tutto da guadagnare screditando la versione raccontata
dal degente, qualunque sia il motivo che lo spinga a farlo. Se la
finalità dell'ospedale è riuscire a controllare la situazione
giornaliera senza lamentele o richieste da parte del degente,
risulterà utile fargli notare che i diritti che reclama e sui quali
razionalizza le sue pretese, sono falsi; che egli non è ciò che
dice di essere, e che in effetti non è altro che un fallito. Se i
medici vogliono convincere il paziente della loro interpretazione
psichiatrica sul suo bisogno di mascherarsi di fronte agli altri,
devono essere in grado di dimostrare dettagliatamente come la
versione da loro data del passato e del carattere del paziente, sia
molto più reale della sua (34). Se gli infermieri addetti alla
custodia e lo staff addetto alla cura vogliono farlo cooperare al
trattamento necessario, risulterà utile che lo distolgano dall'idea
che egli si è fatta circa i loro scopi e gli facciano capire che
sanno quello che fanno e che fanno esattamente il meglio. Le
complicazioni causate da un paziente sono dunque strettamente legate
alla versione che egli dà di ciò che gli è accaduto, e se si vuole
che sia collaborativo è necessario che questa versione venga
screditata.
Il degente deve
arrivare a convincersi «interiormente» di accettare e di fara
ccettare il giudizio che l'ospedale ha su di lui.
Il personale dispone
poi di mezzi ideologici - oltre all'influenza dell'ambiente- per
rifiutare le ragioni del degente. L'attuale dottrina psichiatrica
definisce il disordine mentale come qualcosa che può avere le sue
radici nei primi anni del paziente; che mostra i segni della sua
presenza nell'intero corso della vita e invade quasi ogni settore
della sua attività. Nessun punto particolare del passato o del
presente viene così a trovarsi fuori della giurisdizione
psichiatrica. Gli ospedali psichiatrici istituzionalizzano
burocraticamente questo mandato così vasto, basando la cura del
malato essenzialmente sulla formulazione della diagnosi e
sull'interpretazione psichiatrica del suo passato, che da una tale
diagnosi proviene.
La cartella clinica lo
evidenzia chiaramente. Si tratta infatti di un dossier dove non si
registrano mai le circostanze in cui il paziente ha dimostrato di
essere in grado di affrontare dignitosamente e con successo difficili
situazioni di vita, né vi si segnala la media di comportamento della
sua condotta passata.
Uno dei suoi scopi è
dimostrare i diversi modi in cui il paziente è «malato» e la
ragione per la quale era giusto rinchiuderlo in ospedale ed è
tuttora giusto tenervelo rinchiuso. Il che viene attuato ricavando
dal corso di tutta la sua vita un elenco di quei fatti che hanno o
potrebbero aver avuto un valore «sintomatico» (35). Vengono citate
le disavventure dei genitori o dei fratelli che potrebbero far
pensare ad una tara familiare. Vengono segnalati fatti precedenti in
cui il paziente dimostrò un «disturbo di giudizio» o qualche
alterazione emotiva; si descrivono situazioni in cui agì in modo
strano, tale da poter essere giudicato da un profano come un
immorale, un pervertito sessuale, debole, infantile, sconsiderato,
impulsivo, pazzo. E' probabile vi si riportino dettagliatamente
scorrettezze fatte dal paziente che qualcuno considerò come l'ultima
goccia, causa di provvedimenti immediati nei suoi confronti. Vi sarà
descritto, inoltre, lo stato al momento del suo ingresso in ospedale
– momento non certo facile e calmo per lui. Potranno esservi
riferite risposte devianti date dal paziente a domande imbarazzanti,
facendolo apparire come persona che presenta e fa affermazioni in
evidente contrasto con i fatti:
"Asserisce di
vivere con la figlia maggiore o con le sorelle soltanto quando è
ammalata e bisognosa di cure; altrimenti con il marito - ma il marito
stesso afferma di non vivere con lei da dodici anni".
"Contrariamente a
quanto riferisce il personale, egli asserisce di non sbattere più
sul pavimento o di gridare al mattino".
"... nasconde il
fatto di essere stata isterectomizzata, pretende di avere ancora le
mestruazioni".
"Dapprima negò di
aver avuto esperienze sessuali prematrimoniali, ma quando le fu
chiesto di Jim, disse di averlo dimenticato perché la cosa era stata
spiacevole" (36).
Qualora l'autore della
documentazione non conosca fatti negativi, la loro eventuale presenza
viene scrupolosamente annotata come possibile:
"La paziente negò
ogni esperienza eterosessuale, non si riuscì neppure a farle
ammettere di essere stata incinta o di aver fatto qualsiasi tipo di
esperienza sessuale, negando pure la masturbazione".
"Anche sottoposta
a considerevoli pressioni, non risultò disposta ad impegnarsi in
proiezioni di meccanismi paranoici".
"Nessun contenuto
psicotico poté essere allora dedotto" (36).
In mancanza di fatti
più precisi, appaiono spesso note di scredito nelle descrizioni del
comportamento generale del paziente in ospedale:
"Quando veniva
interrogato si mostrava mite, apparentemente sicuro di sé e,
parlando, faceva affermazioni di carattere generale, gratuite e
altisonanti".
"Di aspetto
pulito, baffetti alla Hitler ben curati, quest'uomo di quarantacinque
anni, che ha passato gli ultimi cinque o più ricoverato, è riuscito
ad adattarsi alla vita ospedaliera dimostrandosi un uomo allegro ed
elegante che non solo supera intellettualmente i compagni, ma è
anche molto virile con le donne. Il suo discorso è pieno di parole
multisillabe che usa generalmente a proposito, ma se parla un po' a
lungo appare chiaro che, completamente perso nella sua diarrea
verbale, ciò che dice risulta quasi del tutto privo di senso"
(36). I fatti registrati nella cartella clinica sono dunque
esattamente quelli che il profano considererebbe calunniosi,
diffamatori, portatori di discredito. Si deve anche precisare che il
personale ospedaliero, a tutti i livelli, non riesce in genere a
trattare questo materiale con la neutralità morale proclamata
necessaria in dichiarazioni mediche e diagnosi psichiatriche, ma
partecipa invece con il tono e con i gesti (se non con altri mezzi)
alla reazione tipica dei profani verso questi atti. Ciò accade sia
nel rapporto personale-paziente, che in quello fra i diversi membri
dello staff in assenza del paziente.
In alcuni ospedali
psichiatrici l'accesso alle documentazioni cliniche è tecnicamente
limitato ai medici e agli infermieri più qualificati; tuttavia il
personale di grado inferiore può avervi accesso - se pur non
ufficiale – ed ottenere nuove informazioni (37). Inoltre si
riconosce comunemente al personale dei reparti il diritto di essere
informato sugli aspetti della vita passata del
paziente che - sommati alla
situazione in atto - rendono possibile il trattarlo opportunamente, a
suo vantaggio e a minor rischio degli altri. I diversi livelli dello
staff hanno poi accesso alle note giornaliere tenute dagli infermieri
del reparto sul corso della malattia e del comportamento del
paziente; note che forniscono, per il presente, il tipo di
informazioni che le cartelle cliniche danno per il passato.
Ritengo che la maggior
parte delle informazioni raccolte nelle cartelle cliniche sia esatta,
per quanto si potrebbe obiettare che nella vita di ciascuno di noi
può essere riscontrato un numero sufficiente di fatti negativi la
cui documentazione potrebbe giustificare il ricovero. Comunque non
voglio soffermarmi qui sull'opportunità di mantenere la
documentazione dei casi, o sui motivi che lo staff ha di conservarla.
Il punto è che - nella misura in cui questi fatti relativi al
paziente sono veri - egli non potrà certo sottrarsi alla normale
pressione culturale che lo spinge a nasconderli, e si sentirà forse
maggiormente minacciato nel sapere che essi sono a disposizione di
altri e che egli non è in grado di avere alcun controllo su chi ne
viene a conoscenza (38).
Un giovane -
dall'aspetto virile - reagisce al richiamo alle armi scappando dalla
caserma e nascondendosi nell'armadio di una stanza d'albergo, dove la
madre lo trova in lacrime; una donna viaggia dallo Utah a Washington
per avvisare il presidente dell'incombente giudizio universale; un
uomo si spoglia davanti a tre ragazze; un ragazzo chiude la sorella
fuori dalla porta e le rompe due denti quando tenta di rientrare
dalla finestra. Ognuna di queste persone ha fatto qualcosa che vorrà,
ovviamente, nascondere agli altri ed avrà motivi per mentire al
riguardo.
Il tipo di
comunicazioni che mantiene collegati i membri dello staff tende poi
ad ampliare le notizie già divulgate dalle cartelle cliniche. Un
atto che screditi il degente, accaduto in un momento della giornata e
in un settore della comunità ospedaliera, sarà probabilmente
riferito a chi controlla altri settori della sua vita ed il paziente
si troverà costretto a negare di aver potuto agirein quel modo.
Significativa - come
del resto in altre istituzioni sociali - è l'abitudine sempre più
frequente di organizzare riunioni a tutti i livelli dello staff,
riunioni nelle quali si espongono i diversi punti di vista sui
pazienti e si concorda collegialmente la linea di condotta da far
loro seguire e quella dello staff nei loro confronti. Un paziente che
instauri un rapporto «personale» con un infermiere o che lo renda
ansioso accusandolo insistentemente di imperizia, può essere rimesso
al suo posto per mezzo della riunione del personale, dove si fa
presente e si conferma all'infermiere il fatto che il degente è
«malato». In questo senso l'immagine differenziale di sé che
ciascuno vede riflessa in coloro che - a vari livelli - gli stanno
attorno, viene qui ad essere unificata dietro le quinte, in un unico
tipo di approccio: è facile quindi che il paziente sitrovi, in
questa situazione, come di fronte ad una sorta di coalizione contro
di lui, anche se si ritiene sinceramente di fare tutto per il suo
bene.
Si aggiunge poi il
fatto che il trasferimento formale di un paziente da un reparto o
servizio ad un altro, avviene abitualmente trasmettendone - in modo
informale - le note caratteristiche, e ciò per semplificare il
lavoro di colui al quale il paziente viene affidato. Infine, le
conversazioni del personale durante il pranzo o la sosta per il
caffè, spesso vertono - al più informale dei livelli - sulle ultime
prodezze del paziente, dato che qui il pettegolezzo, tipico di ogni
istituzione sociale, è intensificato dal fatto che tutto quanto
concerne il paziente riguarda, in qualche modo, il personale
dell'ospedale. In teoria non dovrebbe esservi ragione alcuna perché
tale pettegolezzo non abbia a presentare una visione migliore,
piuttosto che peggiore, della persona di cui si parla, a meno che non
si affermi che tutto ciò che si dice alle spalle degli assenti,
tende sempre ad essere una critica, al fine di mantenere l'integrità
e il prestigio della cerchia di persone con cui si sta parlando.
Anche se chi parla sembra animato dalle migliori intenzioni, il
discorso implica, inevitabilmente, il fatto che il malato non è un
uomo "completo". Per esempio, un coscienzioso terapista di
gruppo, veramente partecipe ai problemi dei pazienti, così
raccontava ad un gruppo di colleghi al bar:
"Ho avuto
all'incirca tre elementi negativi per l'integrazione del gruppo. Uno
in particolare, un avvocato [sotto voce] James Wilson - veramente
intelligente, che mi rendeva le cose molto penose e che dovevo sempre
incalzare a partecipare in qualche modo, a fare qualcosa. Ebbene,
stavo proprio disperando quando incontrai il suo terapista che mi
spiegò come, dietro a quella sua aria da bluff, avesse un gran
bisogno del gruppo: per lui probabilmente il gruppo aveva un
significato maggiore di qualsiasi altro beneficio avesse potuto
ricavare dall'ospedale. Aveva appunto bisogno di sostegno. Bene,
questo mi fece cambiare opinione nei suoi confronti. E adesso è
fuori".
In generale, dunque,
gli ospedali psichiatrici provvedono sistematicamente a far circolare
su ciascun paziente il genere di informazioni che egli cercherebbe di
nascondere e che ogni giorno - in modo più o meno dettagliato -
vengono usate per frustrarne le pretese. Al momento dell'ammissione o
durante i colloqui diagnostici, gli verranno rivolte domande alle
quali - se vorrà mantenere il rispetto di sé - non potrà che dare
risposte false e allora gli potrebbe venir rinfacciata quella vera.
Un infermiere cui il paziente dia una versione personale del suo
passato e della causa del ricovero, può sorridere in modo incredulo
e dire «Non è così che l'ho sentita», secondo i criteri
psichiatrici che tendono a riportare il malato ad un livello di
realtà. Nel caso un paziente si avvicini ad un medico o ad un
infermiere nel reparto per domandare un favore o chiedere di essere
dimesso, gli si risponde con domande cui non può ribattere dicendo
la verità, se non richiamando alla memoria un momento del passato in
cui ebbe a comportarsi in modo vergognoso. Quando poi interviene alle
discussioni durante la psicoterapia di gruppo, il terapista - nella
sua qualità di esaminatore - può tentare di disingannarlo circa
l'interpretazione che egli dà al fine di salvare il proprio rispetto
di sé, incoraggiandolo invece a giudicarsi come persona da biasimare
e che deve cambiare. Nel caso sostenga con il personale o con i
compagni di sentirsi bene e di non essere mai stato veramente
ammalato, vi può essere qualcuno pronto ad illustrargli
dettagliatamente il modo in cui - solo un mese prima - se ne andava
pavoneggiandosi come una ragazza; o pretendeva di essere Dio o
rifiutava di parlare o di mangiare, o metteva gomma nei capelli.
Ogni qual volta lo
staff demolisce le rivendicazioni del degente, il giudizio su ciò
che dovrebbe essere una persona e ciò che dovrebbero essere le
regole su cui si basano i rapporti sociali fra individui dello stesso
livello, induce il paziente a ricostruire nuovamente la sua
rappresentazione di sé; ma ogni qualvolta lo fa, i criteri
custodialistici o psichiatrici su cui lo staff si uniforma possono
portare a screditargliela nuovamente.
Sotto queste
oscillazioni del "sé" del paziente prodotte dal giudizio
degli altri, anche la base istituzionale continua a muoversi in modo
altrettanto precario. Contrariamente a quanto si pensa, il «sistema
del reparto» consente, soprattutto durante il primo anno di
ricovero, un notevole grado di mobilità sociale all'interno degli
ospedali psichiatrici. In questo primo periodo, il degente può
essere stato trasferito una volta da un dipartimento all'altro, tre o
quattro volte da un reparto ad un altro e può essergli stato mutato
parecchie altre volte il grado di libertà consentitogli; cambiamenti
questi che possono venir da lui vissuti come buoni o cattivi. Ognuno
di questi movimenti comporta un drastico mutamento del livello di
vita e del materiale a disposizione per costruirsi un certo giro di
attività, capace di servire da sostegno al "sé" del
paziente; il significato di un tale mutamento equivale - per così
dire – al passaggio da una classe all'altra in un sistema di classi
più ampio. Inoltre i compagni con i quali il degente è parzialmente
identificato, si sposteranno in maniera analoga ma in differenti
direzioni e a ritmo diverso, il che non può non provocare in lui
sentimenti di mutamento sociale, anche quando non ne sia il diretto
protagonista. Come si è già detto, gli stessi criteri psichiatrici
possono contribuire ad aumentare le fluttuazioni sociali del sistema
del reparto. Una corrente psichiatrica attuale considera, infatti,
questi sistemi di reparto come una sorta di «serra» sociale, nella
quale i pazienti incominciano la loro carriera come infanti sociali,
e la finiscono - entro un anno – come adulti risocializzati in un
reparto per convalescenti. Questo modo di interpretare la cosa
aumenta sensibilmente il grado di merito e di orgoglio con cui il
personale può vivere il proprio ruolo e occorre una notevole dose di
cecità - specie ai più alti livelli dello staff - per non dare al
sistema del reparto significati diversi, riconoscendolo, ad esempio,
come un mezzo per disciplinare, attraverso punizioni e ricompense,
persone difficili da governare.
Ad ogni modo, questa
tendenza alla risocializzazione, può trovarsi a dare un'importanza
eccessiva al grado in cui i pazienti dei reparti peggiori sono
incapaci di un comportamento socializzato, e al livello in cui i
pazienti dei reparti migliori sono invece disposti a partecipare al
gioco sociale. Dato che il sistema del reparto è qualche cosa di più
di una «camera di risocializzazione», i ricoverati hanno modo di
trovarvi molte occasioni per «far disordine» o per mettersi nei
pasticci, il che significa molte occasioni per essere retrocessi alla
condizione dei reparti meno privilegiati. Questi spostamenti possono
essere ufficialmente considerati come ricadute di carattere
psichiatrico o slittamenti morali, confermando in ciò l'indirizzo
dell'ospedale tendente alla risocializzazione. Secondo
un'interpretazione di tal tipo, una semplice infrazione alle regole,
con conseguente degradazione sociale, viene dunque vista come
l'espressione diretta delle condizioni psichiche del paziente.
Analogamente le
promozioni - imputabili a sovraffollamento del reparto, al bisogno in
un altro reparto di un «paziente-lavoratore», o ad altri motivi
irrilevanti dal punto di vista psichiatrico - possono trasformarsi in
qualche cosa che risulti come l'espressione profonda delle condizioni
psichiche del paziente. Inoltre, lo staff può in qualche modo
pretendere che il paziente stesso si sforzi, in modo personale, di
guarire in meno di un anno, così che sarà da lui costantemente
stimolato a pensare in termini di successo o di fallimento (39).
In questo contesto i
ricoverati possono scoprire che, nella loro condizione, le
degradazioni morali non sono poi così terribili come avevano
immaginato.
Dopotutto, infrazioni
in grado di provocare un tal tipo di retrocessione, non possono
accompagnarsi a sanzioni legali o alla riduzione allo stato di malato
mentale, dato che questa è già appunto la loro condizione presente.
Inoltre nessun delitto, passato o presente, sembra tanto orrido da
far estromettere un malato dalla comunità dei malati. E' per questo
che i fallimenti rispetto ad una condotta normale vengono qui a
perdere parte del loro significato stigmatizzante(40). Infine,
accettando la versione data dall'ospedale sulla sua caduta in
disgrazia, il degente può decidere di «ravvedersi» ed ottenere
così simpatia, privilegi ed indulgenza da parte dello staff che
vuole incoraggiarlo in questa sua decisione.
Imparare a vivere
costantemente soggetto a smascheramenti e ad oscillazioni su ciò che
è il proprio valore (con scarsa possibilità di controllo quando un
tale valore gli venga riconosciuto e quando negato) è un passo molto
importante nel processo di socializzazione del degente, tale da poter
dire qualcosa di veramente significativo su ciò che è un ricoverato
in un ospedale psichiatrico.
Il fatto di avere i
propri errori passati e la situazione presente sotto costante critica
morale, sembra richiedere un adattamento particolare che consiste in
un atteggiamento - meno morale - verso gli «ideali dell'io». I
propri errori e i propri successi diventano un problema troppo
centrale e continuamente contraddetto per permettere che ci si possa
preoccupare - in modo normale - del punto di vista degli altri al
proposito. Non è molto consigliabile tentare di reclamare qualche
fondato diritto personale. Il degente tende ad imparare che non
bisogna dare troppo peso alla propria degradazione e alla
ricostruzione del proprio valore apprendendo - insieme - che il
personale ed i ricoverati sono disposti a guardare con una certa
indifferenza all'espandersi eal restringersi del "sé" di
un individuo. Apprende che un'immagine giustificabile di sé può
essere considerata come qualcosa di estraneo alla persona stessa,
qualcosa che può essere costruita, perduta, ricostruita, e tutto ciò
con grande rapidità ed una certa indifferenza. Impara così il modo
per arrivare ad assumere un punto di vista - e quindi un sé - al di
fuori di quello che l'ospedale può dargli e togliergli.
L'ambiente sembra
allora generare una sorta di sofisticazione cosmopolita, di apatia
civica. In questo contesto morale, non «serio» anche se
assurdamente esagerato, il fatto di costruirsi un'immagine di sé o
di vedersela distruggere, diventa parte di un gioco privo di pudori e
l'imparare a considerare questo processo - che pure è così vitale
un gioco, sembra favorire un certo scadimento morale. In ospedale il
degente può, dunque, apprendere che il "sé" non è una
fortezza, quanto piuttosto una cittadella aperta e può disgustarsi
di dover continuare a mostrarsi felice quando è nelle mani delle sue
truppe, e addolorarsi quando è nelle mani del nemico. Una volta
imparato cosa significhi essere definito dalla società come persona
che manca di un "sé" vitale, questa minacciosa definizione
- minacciosa nella misura in cui è in grado di spingere le persone
ad aderire al "sé" che la società concede loro - diventa
più debole.
Il paziente sembra aver
raggiunto un nuovo livello di equilibrio quando ha imparato che può
sopravvivere se agisce in un modo che la società giudica lesivo per
lui stesso.
Si potrebbero dare qui
alcuni esempi di scadimento e di rilassamento morale.
Negli ospedali
psichiatrici di stato sembra comunemente accettata, da parte dei
degenti, e più o meno tollerata dal personale, una sorta di
«moratoria matrimoniale». Se un paziente «corteggia»
contemporaneamente più di un partner, si può assistere ad una certa
pressione informale nei suoi confronti da parte dei compagni; ma lo
stringere una relazione, temporaneamente costante, con un membro
dell'altro sesso, sembra provocare solo scarsa disapprovazione, anche
se si sa che entrambi sono sposati, hanno figli e perfino ricevono
regolarmente le visite dei coniugi. Negli ospedali psichiatrici,
insomma, c'è la libertà di ricominciare a corteggiarsi, beninteso
però che non ne risulti nulla di serio e permanente. Come gli amori
che nascono a bordo delle navi o in vacanza, questi legami
testimoniano in che modo l'ospedale è tagliato fuori dalla realtà
esterna, diventato ormai un mondo a sé, che funziona a beneficio dei
suoi stessi cittadini. Indubbiamente un tal tipo di «moratoria» è
espressione del distacco e dell'ostilità che i degenti avvertono
verso coloro ai quali erano strettamente legati prima del ricovero.
Ma, oltre a questo, è anche l'evidenza del rilassamento morale che
deriva dal vivere in un mondo all'interno del mondo, in condizioni
che rendono difficile riconoscere la piena serietà dei valori, sia
dell'uno che dell'altro.
Il secondo esempio
riguarda il sistema del reparto, Al livello del reparto peggiore,
pare siano frequenti fatti disdicevoli, causati in parte dalla
mancanza di opportunità di vita, in parte dagli scherni e dal
sarcasmo che sembrano essere la regola su cui si fonda il controllo
sociale del personale addetto ai reparti. Nel contempo, la scarsità
di attrezzature e di diritti cui rifarsi corrisponde alla limitata
possibilità, data al degente, di ricostruirsi un sé. Egli si trova
così costantemente sul punto di perdere l'equilibrio,
avendo a disposizione
uno spazio ristrettissimo dove poter cadere. In alcuni di questi
reparti pare si sviluppi una specie di umorismo macabro, con notevole
libertà da parte dei degenti di far fronte al personale, rendendo
offesa per offesa. Se questi pazienti possono essere puniti, non è
infatti altrettanto facile che possano venire ad esempio,
disprezzati, dato che godono di ben pochi privilegi per poter essere
feriti da qualche offesa sottile. Come per le prostitute in ciò che
riguarda il sesso, i ricoverati in questi reparti hanno ben poco da
perdere in reputazione e diritti, per cui possono permettersi anche
certe libertà. Ma, man mano che si sale a livelli superiori nel
sistema dei reparti, il degente può riuscire, a poco a poco, ad
evitare gli incidenti che possano frustrare la sua pretesa ad essere
uomo, e ad acquistare un numero sempre maggiore di elementi diversi
che possano portare alla ricostruzione del rispetto di sé. Ma se
infine si troverà a cadere - e questo succede - la caduta lo farà
precipitare molto più in basso. Il degente privilegiato, per
esempio, vive in una dimensione più ampia di quella definita dai
limiti del reparto. E' il mondo costruito dai terapisti addetti alle
attività ricreative, i quali possono - su richiesta - concedere
dolci, carte da gioco, palline da ping-pong,
biglietti per il
cinema, carta da lettere. Dato però che questi privilegi non si
pagano - e il pagamento è, nel mondo esterno, il mezzo di controllo
sociale esercitato da chi ne riceve qualcosa in cambio - il degente
corre il rischio che anche un esponente dello staff di buon cuore
possa, ad una sua richiesta,
umiliarlo dicendogli di
aspettare che finisca di parlare, o molestarlo continuando a
chiedergli ragione di ciò che ha domandato, o rispondergli con un
lungo silenzio e con uno sguardo freddo di valutazione.
Lo spostarsi in un
senso o nell'altro all'interno del sistema del reparto, non ha dunque
soltanto il significato di una rotazione delle risorse disponibili
per costruirsi il "sé", un significato per la condizione
che ne deriva, ma anche quello di un cambiamento nel calcolo dei
rischi. La valutazione dei rischi su ciò che riguarda il concetto di
sé, fa parte dell'esperienza morale di ognuno;
ma arrivare a
comprendere che un dato livello di rischio non è che un dispositivo
sociale, rappresenta un tipo di esperienza più raro, tale da
contribuire a disincantare la persona che lo prova.
Un terzo esempio di
rilassamento morale lo si nota a proposito delle condizioni in cui
spesso il malato si trova al momento della dimissione. Egli viene
dimesso sovente sotto il controllo e la responsabilità giuridica
della "persona di fiducia" o di un datore di lavoro, scelto
appositamente e particolarmente vigile. Se il paziente fa qualcosa
che non va mentre si trova sotto la loro protezione, essi potranno
ottenerne l'immediata riammissione in ospedale. Ciò significa che il
paziente viene a trovarsi sotto il potere speciale di persone che,
normalmente, non avrebbero su di lui questo tipo di potere e verso i
quali potrebbe, inoltre, aver avuto precedenti motivi di acredine.
Tuttavia, per poter uscire dall'ospedale, può nascondere il suo
malcontento al riguardo e farsi vedere disposto - almeno finché non
sia stato cancellato con certezza dalla lista dei degenti - ad
accettare un tal tipo di custodia. Queste procedure perla dimissione
forniscono quindi un esempio esplicativo di come si possa assumere in
modo esplicito un ruolo, evitando quelle che sono le implicazioni
personali dell'accordo; il che sembra aumentare maggiormente la
distanza che separa la persona dal mondo che gli altri prendono tanto
sul serio.
La carriera morale di
un individuo di una data categoria sociale implica un susseguirsi
standardizzato di mutamenti nel modo di giudicarsi includendo – in
maniera significativa - il modo di concepire il proprio "sé".
Questo processo quasi sotterraneo può essere seguito studiando le
sue esperienze morali - cioè i fatti che segnano una svolta nel modo
in cui egli considera il mondo – sebbene sia difficile stabilire le
particolarità di questo modo di concepirlo. Si prende nota di
tattiche e strategie evidenti, vale a dire delle posizioni prese dal
soggetto in esame, di fronte a determinate altre persone, qualunque
sia la natura nascosta e variabile della sua adesione interna a
queste posizioni da lui assunte. Prendendo nota di esperienze morali
o di prese di posizioni personali apertamente sostenute, si può
ottenere un tracciato relativamente obiettivo di questioni
relativamente soggettive.
Ogni carriera morale,
e, dietro ad essa, ogni sé si svolge entro i confini di un sistema
istituzionale, sia esso una istituzione sociale come un ospedale
psichiatrico o un complesso di rapporti personali e professionali. Il
"sé" può essere quindi visto come qualcosa che risiede
nel sistema di accordi che prevale in una società. In questo senso
esso non risulta di proprietà della persona cui viene attribuito, ma
risiede piuttosto nella dinamica del controllo sociale esercitato su
di lei, dalla persona stessa e da coloro che la circondano. Questo
tipo particolare di ordinamenti istituzionali, più che servire di
sostegno al "sé" lo costituisce.
In questo articolo sono
stati presi in considerazione due tipi di ordinamenti istituzionali,
per puntualizzare ciò che accade quando queste regole vengono a
mancare. Il primo riguarda la fedeltà della "persona di
fiducia". Il "sé" del predegente è descritto come
una funzione del modo in cui sono messi in relazione tre ruoli,
aumentando e diminuendo il tipo di legame che esiste fra la "persona
di fiducia" e i mediatori. Il secondo riguarda la protezione
necessaria per la costruzione di un'immagine di sé da presentare
agli altri e il modo in cui il progressivo venir meno di questa
protezione può costituire un aspetto sistematico, se non
intenzionale, del funzionamento di un istituto. Desidero sottolineare
che questi sono solo due tipi di ordinamenti le cui regole incidono
nella formazione del "sé"; altri che non sono stati
considerati in questo articolo, sono tuttavia altrettanto importanti.
Nel ciclo normale di
socializzazione seguito dall'adulto, ci si aspetta che dopo
l'alienazione e la mortificazione, segua un nuovo insieme di credenze
riguardo al mondo ed un nuovo modo di concepire se stessi. Nel caso
del degente dell'ospedale psichiatrico, questa rinascita avviene
qualche volta prendendo la forma di una incrollabile fiducia nelle
prospettive psichiatriche o, almeno per qualche tempo, nell'impegno
sociale a trovare un trattamento migliore per il malato mentale. La
sua carriera ha, tuttavia, un interesse unico poiché può
evidenziare la possibilità che il malato - nello spogliarsi
dell'abito del vecchio sé, o nel vederselo strappare - non ne abbia
a cercare uno nuovo e non debba adoperarsi per trovare un nuovo
pubblico di fronte al quale nascondersi. Può, al contrario,
imparare, almeno per un certo tempo, a praticare di fronte a tutti i
gruppi l'arte amorale della spudoratezza.
http://en.wikipedia.org/wiki/Goffman
ERVING GOFFMAN ARCHIVES
[http://cdclv.unlv.edu//ega/]
ASYLUMS (trad. italiana integrale di Franca Basaglia Ongaro) [http://www.ristretti.it/areestudio/cultura/libri/asylums.pdf]
"Commento a ERVING GOFFMAN, 'La carriera morale del malato mentale", Franca Ongaro Basaglia, in 'Che cos'è la psichiatria', AA.VV., Dalai 1997 (1967) pp 235-298 [google books]
http://en.wikipedia.org/wiki/Goffman
ERVING GOFFMAN ARCHIVES
[http://cdclv.unlv.edu//ega/]
ASYLUMS (trad. italiana integrale di Franca Basaglia Ongaro) [http://www.ristretti.it/areestudio/cultura/libri/asylums.pdf]
"Commento a ERVING GOFFMAN, 'La carriera morale del malato mentale", Franca Ongaro Basaglia, in 'Che cos'è la psichiatria', AA.VV., Dalai 1997 (1967) pp 235-298 [google books]