sabato 7 maggio 2016
LINK: CRITICA IMPURA - “Stazione Kelvin” di Lorenzo Lasagna (Epika Edizioni 2015): la nota di lettura di Giacomo Conserva
https://criticaimpura.wordpress.com/2016/05/06/stazione-kelvin-di-lorenzo-lasagna-epika-edizioni-2015-la-nota-di-lettura-di-giacomo-conserva/
[Da Acqua Oscura di Koji Suzuki. Prologo:
Ogni volta che il figlio arrivava da Tokyo con la famiglia per trascorrere un po' di tempo con lei, Kayo si faceva accompagnare nelle sue passeggiate mattutine dalla nipotina Yuko. Si dirigevano sempre verso capo Kannon, all'estremità orientale della penisola di Miura. La distanza era quella giusta per una passeggiata, il giro del promontorio misurava in tutto poco più di tre chilometri.
Raggiunta la spaziosa piattaforma panoramica, Yuko, tutta eccitata, puntava il dito verso il mare e indicava qualsiasi cosa suscitasse la sua curiosità, tirando la mano della nonna e tempestandola di domande, alle quali Kayo rispondeva pazientemente. In quel caso, Yuko era arrivata il giorno prima, approfittando delle vacanze estive, e sarebbe rimasta un'altra settimana. Kayo era semplicemente elettrizzata all'idea di trascorrere un po' di tempo con la nipote.
La vista della parte più lontana della baia di Tokyo, oltre l'area industriale di Tokyo-Yokohama, era ancora offuscata dalla nebbia. Era raro poter distinguere chiaramente i dettagli poiché la baia era più grande di quanto si pensasse. Le montagne della penisola di Boso, invece, parevano innalzarsi subito al di là del canale di Uraga, un'alta e nitida catena che si snodava dal monte Nokogiri al monte Kano.
Yuko si staccò dal parapetto e allungò le braccia, come per afferrare qualcosa. Capo Futtsu, che si protendeva con una lunga e sottile striscia di sabbia sul lato opposto della baia, sembrava quasi a portata di mano.
La linea immaginaria che univa capo Futtsu e capo Kannon segnava l'ingresso della baia di Tokyo e due file ininterrotte e ben distinte di cargo percorrevano avanti e indietro il corridoio d'acqua. Yuko salutò con la mano le imbarcazioni incolonnate; dalla piattaforma su cui si trovavano lei e la nonna sembravano tante navi giocattolo.
Nel canale, la corrente era veloce e qua e là sulla superficie si vedevano segnali a strisce. Durante l'alta marea, l'acqua proveniente dal mare aperto affluiva nella baia, per poi ritirarsi con l'arrivo della bassa marea. Forse era per quello che, stando alle voci, tutti i rifiuti che galleggiavano nella baia di Tokyo finivano a riva dalle parti di capo Kannon e capo Futtsu. Se la baia era un enorme cuore, i due promontori che sporgevano ai lati fungevano da valvola, filtrando i rifiuti dall'acqua che circolava per effetto del dolce moto delle maree.
L'analogia, però, non era limitata a questo. I fiumi Edo, Ara, Sumida e Tama, come grandi arterie, rifornivano la baia di Tokyo di sangue fresco. Tra gli svariati oggetti portati a riva si potevano trovare vecchi copertoni, scarpe e giocattoli, ma anche resti di pescherecci naufragati e targhette di legno con tanto d'indirizzo, arrivate fin lì anche da Hachioji. Alla vista di certi oggetti, veniva da chiedersi come fossero finiti in mare: birilli, sedie a rotelle, bacchette per tamburo, biancheria intima...
Yuko era affascinata dagli oggetti che galleggiavano tra le onde.
Essi erano in grado di scatenare la fantasia dei cacciatori di tesori che battevano le spiagge. La vista di un pezzo di carrozzeria, per esempio, era sufficiente a evocare l'immagine di un motociclista che sbandava e precipitava in mare da un pontile, mentre un sacchetto di plastica pieno di siringhe usate richiamava alla mente traffici loschi.
Ciascun oggetto aveva la propria storia da raccontare. Chiunque trovasse qualcosa di particolarmente interessante sulla spiaggia, però, farebbe meglio a non toccare nulla, poiché, una volta raccolto, l'oggetto comincia a raccontare la propria storia. Se questa è bella, nessun problema; ma se è agghiacciante, le cose non saranno mai più come prima.
Devi tenere gli occhi aperti, soprattutto se ami il mare. Raccogli quello che sembra un guanto di gomma e scopri che in realtà si tratta di una mano mozzata. Cose di questo tipo possono anche farti passare per sempre la voglia di mettere piede su una spiaggia. La sensazione di raccogliere una mano non deve essere poi così facile da dimenticare.” ]
2015/2016
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