Un
approccio alle emozioni (2004)
Emozioni, passioni,
affetti, sentimenti, carattere e tratti caratteriali: un continuum
che variamente impegna aspetti chiave dell’esistenza. Fare i conti
con tutto questo è qualcosa non solo di teorico (e di indubbio
valore euristico) quanto pure di rilevantissima importanza pratica:
Non è da pensare che si sia dovuto aspettare lo sviluppo della
psicologia scientifica o della psicoterapia in senso stretto perché
questo lavoro iniziasse. Dal punto di vista categoriale, e dal punto
di vista delle ricette di intervento, i sistemi religiosi, la
filosofia teoretica, la morale nella loro storia sono ricchissimi
sotto questo punto di vista, con ovvie radicali differenze fra di
loro. Pensiamo alla lista dei vizi capitali ( sette), e delle virtù
cardinali (liste che riprendono temi e modi di procedere della
filosofia greca media e tarda):
vanagloria, invidia,
accidia, ira, avarizia, gola, lussuria; fortezza, prudenza,
giustizia, temperanza, forza, speranza, carità: qui vi è,
compresso, tutto un sapere sulla vita umana, le dinamiche e le
strutture della personalità (cfr. il libro di Foucault sulla
‘volontà di sapere’).
Si era pure in grado
di vedere, -sia nella pratica pastorale che a livello teorico-, come
le varie emozioni si ingranassero fra di loro; si veda p.e. questo
passo di Tommaso d’Aquino, a proposito della ‘accidia’
(N.B. l’accidia era definita come il distogliersi dell’impegno e
della attenzione dai doveri religiosi):
…poiché nessun uomo
può rimanere a lungo senza godimento e nella tristezza, come dice il
Filosofo [Aristotele] nell’ottavo libro dell’Etica, perciò
dalla tristezza derivano due conseguenze, la prima delle quali è che
l’uomo si allontani da quelle cose che lo rattristano, la seconda è
che passi ad altre, in cui provi piacere. E, in base a ciò, il
Filosofo, nel secondo libro dell’Etica, dice che coloro i
quali non possono gioire dei piaceri dello spirito per lo più si
danno ai piaceri del corpo. E, in base a ciò, dalla tristezza che
nasce dai beni dello spirito consegue lo svago nelle
cose illecite, nelle quali l’anima carnale prova piacere.
Ora, nella fuga dalla
tristezza [dell’accidia] s’osserva un simile processo: in un
primo momento l’uomo fugge dai beni dello spirito, in un secondo
momento persegue [i beni del corpo]. Ora, alla fuga dai beni dello
spirito, che possono dare piacere, appartiene sia l’allontanamento
dal bene divino sperato- e questa è la disperazione-
sia anche l’allontanamento dal bene spirituale da fare. E
precisamente, l’allontanamento che riguarda le cose che sono
comunemente necessarie alla salvezza è la svogliatezza
verso i comandamenti, invece quello riguardante le cose ardue, che
rientrano nei consigli, è la pusillanimità. Inoltre,
accade anche che, se uno, contro la sua volontà, è tenuto legato ai
beni dello spirito, che lo rattristano, in un primo momento nutre
certamente sdegno contro quei prelati o contro qualsiasi persona che
lo tiene legato a quei beni- e questo è il rancore, in
un secondo momento nutre sdegno e odio contro gli stessi beni
spirituali- e questa è la malizia.
(Tommaso d’Aquino, “Il
male”, 231b)
O prendiamo il
celeberrimo passo di San Paolo, dalla Lettera ai Romani, a proposito
della ira di Dio contro l’umanità peccatrice:
In realtà l'ira di
Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di
uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, poiché ciò che di
Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro
manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue
perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto
nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità;
essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli
hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno
vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente
ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e
hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la
figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di
rettili.
Perciò Dio li ha
abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da
disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la
verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura
al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.
Per questo Dio li ha
abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i
rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli
uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi
di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi
uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che
s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la
conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza
depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di
ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia;
pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità;
diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi,
fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati,
sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio
di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo
continuano a farle, ma anche approvano chi le fa.
(ROMANI I, 24-32
http://www.crs4.it/Letteratura/Bibbia/Libro52.html)
Colpisce in San Paolo
non solo lo slancio accusatorio ma pure la finezza delle
articolazioni, la ricchezza del vocabolario messo in campo- con echi
significativi giù giù nei secoli, fino ad arrivare p.e. a testi
fondanti della modernità.
Le ‘Memorie del
sottosuolo’ di Dostojevskij:
Io sono un uomo
malato… astioso. Sono un uomo malvagio. Credo di essere malato di
fegato. Del resto non ne so un accidente della mia malattia e non so
neppure esattamente cosa mi faccia male. Non mi curo e non mi sono
mai curato sebbene abbia rispetto per la medicina e per i medici.
Inoltre sono anche estremamente superstizioso: insomma quanto basta
per tenere in considerazione la medicina. (Sono abbastanza colto per
non essere superstizioso, ma sono superstizioso). No, io non voglio
curarmi per rabbia. Questo voi, certamente, non lo capirete. Be’,
io invece lo capisco. Naturalmente non sono in grado di spiegarvi a
chi precisamente la farò pagare, in questo caso, la mia rabbia; so
perfettamente che neanche ai medici potrò ”recar danno” se non
mi curo da loro; so meglio di chiunque che in questo modo danneggio
unicamente me stesso e nessun altro; eppure, se io non mi curo, è
solo per rabbia. Ho mal di fegato? Tanto meglio, mi faccia ancora più
male!
‘E un pezzo che vivo
così: saranno vent’anni. Ora ne ho quaranta. Prima ero impiegato,
adesso non lavoro più. Ero un pessimo impiegato. Ero sgarbato e ci
provavo gusto.
…
E ora ho voglia di
raccontarvi, signori, vi piaccia o non vi piaccia, perché io non sia
riuscito a diventare nemmeno un insetto. Vi dichiaro solennemente che
spesso desideravo diventare un insetto. Ma neppure di ciò ero degno.
Vi giuro, signori, che aver troppa consapevolezza è una malattia,
un’autentica, seria malattia…
(IL SOTTOSUOLO, I-II
passim)
L’incipit delle
‘Poesie’ di Lautreamont- che non a caso riprende e sovverte tutta
la tradizione, e i testi, dei moralisti francesi dell’età
classica:
Le perturbazioni, le
ansie, le depravazioni, la morte, le eccezioni nell’ordine fisico o
morale, lo spirito di negazione, gli abbrutimenti, le allucinazioni
servite dalla volontà, i tormenti, la distruzione, i ribaltamenti,
le lacrime, le insaziabilità, gli asservimenti, le immaginazioni
perforanti, i romanzi, ciò che è inatteso, ciò che non si deve
fare, le singolarità chimiche d’avvoltoio misterioso che spia la
carogna di qualche illusione morta, le esperienze precoci ed
abortite, le oscurità dal guscio di cimice, la terribile monomania
dell’orgoglio, l’inoculazione di stupori profondi, le orazioni
funebri, le invidie, i tradimenti, le tirannie, le empietà, le
irritazioni, le acrimonie, le sfuriate aggressive, la demenza, lo
spleen, i ragionati spaventi, le strane inquietudini, che il lettore
preferirebbe non provare, le smorfie, le nevrosi, le trafile
sanguinose attraverso le quali si fa passare la logica alle corde, le
esagerazioni, l’assenza di sincerità, le fregnacce, le piattezze,
il cupo, il lugubre, i parti, peggiori degli omicidi, le passioni, il
clan dei romanzieri da corte d’assise, le tragedie, le odi, i
melodrammi, gli estremi ostentati in perpetuità, la ragione
impunemente fischiata, gli odori di gallina bagnata, le scipitaggini,
le rane, i polipi, i pescecani, il simun dei deserti, ciò che è
sonnambulo, losco, notturno, soporifero, nottambulo, vischioso, foca
parlante, equivoco, tisico, spasmodico, afrodisiaco, anemico,
guercio, ermafrodito, bastardo, albino, pederasta, fenomeno
d’acquario e donna barbuta, le ore ubriache dello scoraggiamento
taciturno, le fantasie, le acredini, i mostri, i sillogismi
demoralizzanti, le schifezze, ciò che non riflette come il bambino,
la desolazione, questa mancinella intellettuale, i cancheri
profumati, le cosce alla camelia, la colpevolezza di uno scrittore
che rotola lungo il declivio del nulla e disprezza sé stesso con
grida di gioia, i rimorsi, le ipocrisie, le prospettive vaghe che vi
stritolano nei loro impercettibili ingranaggi, gli sputi seri sugli
assiomi sacri, il verme e i suoi titillii insinuanti, le prefazioni
insensate, come quelle di cromwell, di mlle de maupin e di dumas
figlio, le caducità, le impotenze, le bestemmie, le asfissie, i
soffocamenti, le rabbie, davanti a questi immondi carnai, che
arrossisco di nominare…
(Poesie, I, passim)
I moralisti sono
appunto una delle fonti di una osservazione attentissima sulla vita
emozionale: da Seneca, con la sua ricostruzione tragica dell’inferno
delle passioni (che tanto effetto doveva poi avere fino a
Shakespeare, e oltre), a Le Bruyere. Le Bruyere, significativamente,
si rifà ai ‘Caratteri’ di Teofrasto, il grande discepolo di
Aristotele. E infatti la filosofia aristotelica, caratterizzata da un
atteggiamento di accettazione di base della vita terrena nei suoi
vari aspetti, è alla base di tutta una analitica dei sentimenti (
dei quali generalmente condanna eccesso e rozzezza, senza volerli
annientare o cancellare come in tante altre tradizioni, come per
esempio lo stoicismo).
Non è comunque da
pensare che solo filosofi e maestri religiosi abbiano elaborato
questi temi. Innanzitutto, nel linguaggio stesso che parliamo è
implicita una serie di valutazioni, una fenomenologia della vita
emozionale (non a caso sfruttata dalla psicologia scientifica
contemporanea, nello sforzo di caratterizzare, distinguere, assegnare
un peso e una frequenza alle varie emozioni). Bruciare di rabbia,
diventare rossi di vergogna, mangiarsi il fegato, essere in un brodo
di giuggiole…: non solo “modi di dire”, ma categorizzazione e
schemi di orientamento per il soggetto- che si muove non nel vuoto,
davanti alle risposte delle sue amigdale e del Sistema Nervoso
Autonomo, ma appunto inserito in ( e parte di) una rete di
significati ed un insieme di esperienze collettivamente scambiate
(entrambe ovviamente spesso molto diverse in diversi contesti
culturali: p.e. in Giappone e in Italia). All’interno dello
sviluppo storico, d’altra parte, esistono spostamenti semantici
rilevanti: così accidia da disinteresse verso i doveri
religiosi (v. sopra) diventa la pigrizia (e viene di fatto
inserita nel campo di riferimento dell’etica del lavoro), o la
pietas – devozione ai valori morali nel comportamento,
rispetto del Divino- si trasforma in pietà. Tutto quanto il
campo della vita emozionale può essere giudicato di scarso
interesse, illusorio se non malvagio, da limitare controllare o
sopprimere; o si può sostenere che i guai del mondo derivano dalla
civiltà repressiva (patriarcale, fallologocentrica etc etc), dalla
repressione sessuale o- con accenti svariatamente diversi- dalla
inibizione della vita emotiva tout court: il che ha p.e. portato a
rivoluzioni di costume e a diversissimi stili di psicoterapia.
Lo spazio interno
dell’esperienza può venire scoperto con profonda emozione e
durevoli conseguenze: si veda il celebre brano delle Confessioni di
Agostino sulla memoria:
8. 12. Trascenderò
dunque anche questa forza della mia natura per salire gradatamente al
mio Creatore. Giungo allora ai campi e ai vasti quartieri della
memoria, dove riposano i tesori delle innumerevoli immagini di ogni
sorta di cose, introdotte dalle percezioni; dove sono pure depositati
tutti i prodotti del nostro pensiero, ottenuti amplificando o
riducendo o comunque alterando le percezioni dei sensi, e tutto ciò
che vi fu messo al riparo e in disparte e che l’oblio non ha ancora
inghiottito e sepolto.
Quando sono là dentro,
evoco tutte le immagini che voglio. Alcune si presentano all’istante,
altre si fanno desiderare più a lungo, quasi vengano estratte da
ripostigli più segreti. Alcune si precipitano a ondate e, mentre ne
cerco e desidero altre, balzano in mezzo con l’aria di dire: "Non
siamo noi per caso?", e io le scaccio con la mano dello spirito
dal volto del ricordo, finché quella che cerco si snebbia e avanza
dalle segrete al mio sguardo; altre sopravvengono docili, in gruppi
ordinati, via via che le cerco, le prime che si ritirano davanti alle
seconde e ritirandosi vanno a riporsi ove staranno, pronte a uscire
di nuovo quando vorrò. Tutto ciò avviene, quando faccio un
raccontol la memoria.
13. Lì si conservano,
distinte per specie, le cose che, ciascuna per il proprio accesso, vi
furono introdotte: la luce e tutti i colori e le forme dei corpi
attraverso gli occhi; attraverso gli orecchi invece tutte le varietà
dei suoni, e tutti gli odori per l’accesso delle nari, tutti i
sapori per l’accesso della bocca, mentre per la sensibilità
diffusa in tutto il corpo la durezza e mollezza, il caldo o freddo,
il liscio o aspro, il pesante o leggero sia all’esterno sia
all’interno del corpo stesso.
Tutte queste cose la
memoria accoglie nella sua vasta caverna, nelle sue, come dire,
pieghe segrete e ineffabili, per richiamarle e rivederle
all’occorrenza.
Tutte vi entrano,
ciascuna per la sua porta, e vi vengono riposte. Non le cose in sé,
naturalmente, vi entrano; ma lì stanno, pronte al richiamo del
pensiero che le ricordi, le immagini delle cose percepite. Nessuno sa
dire come si siano formate queste immagini, pongono nel nostro
interno. Anche immerso nelle tenebre e nel silenzio io posso, se
voglio, estrarre nella mia memoria i colori, distinguere il bianco
dal nero e da qualsiasi altro colore voglio, la mia considerazione
delle immagini attinte per il tramite degli occhi non è disturbata
dalle incursioni dei suoni, essi pure presenti, ma inavvertiti, come
se fossero depositati in disparte.
Ma quando li desidero e
chiamo essi pure, si presentano immediatamente, e allora canto finché
voglio senza muovere la lingua e con la gola tacita; e ora sono le
immagini dei colori che, sebbene là presenti, non s’intromettono a
interrompere l’azione che compio, di maneggiare l’altro tesoro,
quello confluito dalle orecchie.
Così per tutte le altre
cose immesse e ammassate attraverso gli altri sensi: le ricordo a mio
piacimento, distinguo la fragranza dei gigli dalle viole senza
odorare nulla, preferisco il miele al mosto cotto, il liscio
all’aspro senza nulla gustare o palpare al momento, ma col ricordo.
14. Sono tutte azioni che
compio interiormente nell’enorme palazzo della mia memoria. Là
dispongo di cielo e terra e mare insieme a tutte le sensazioni che
potei avere da essi, tranne quelle dimenticate. Là incontro anche me
stesso e mi ricordo negli atti che ho compiuto, nel tempo e nel luogo
in cui li ho compiuti, nei sentimenti che ebbi compiendoli.
Là stanno tutte le cose
di cui serbo il ricordo, sperimentate di persona o udite da altri.
Dalla stessa, copiosa riserva traggo via via sempre nuovi raffronti
tra le cose sperimentate, o udite e sulla scorta dell’esperienza
credute; non solo collegandole al passato, ma intessendo sopra di
esse anche azioni, eventi e speranze future, e sempre a tutte
pensando come a cose presenti. "Farò questa cosa, farò
quell’altra", dico fra me appunto nell’immane grembo del mio
spirito, popolato di tante immagini di tante cose; e l’una cosa e
l’altra avviene.
"Oh, se accadesse
questa cosa, o quell’altra!", "Dio ci scampi da questa
cosa, o da quell’altra!", dico fra me. e mentre lo dico ho
innanzi le immagini di tutte le cose che dico, uscite dall’unico
scrigno della memoria, e senza di cui non potrei nominarne una sola.
15. Grande è questa
potenza della memoria, troppo grande, Dio mio, un santuario vasto,
infinito. Chi giunse mai al suo fondo? E tuttavia è una facoltà del
mio spirito, connessa alla mia natura. In realtà io non riesco a
comprendere tutto ciò che sono. Dunque lo spirito sarebbe troppo
angusto per comprendere se stesso? E dove sarebbe quanto di se stesso
non comprende? Fuori di se stesso anziché in se stesso? No.
Come mai allora non lo
comprende? Ciò mi riempie di gran meraviglia, lo sbigottimento mi
afferra. Eppure gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le
onde enormi del mare, le correnti amplissime dei fiumi, la
circonferenza dell’Oceano, le orbite degli astri, mentre trascurano
se stessi. Non li meraviglia ch’io parlassi di tutte queste cose
senza vederle con gli occhi; eppure non avrei potuto parlare senza
vedere i monti e le onde e i fiumi e gli astri che vidi e l’Oceano
di cui sentii parlare, dentro di me, nella memoria tanto estesi come
se li vedessi fuori di me.
Eppure non li inghiottii
vedendoli, quando li vidi con gli occhi, né sono in me queste cose
reali, ma le loro immagini, e so da quale senso del corpo ognuna fu
impressa in me.
(CONFESSIONES X, 8;
http://www.mistici.org/cultura/classici/agos_master.htm )
Qui veniva inaugurato
un approccio e un tono destinati a molteplici ripercussioni riprese e
trasformazioni- dalla lettera del Petrarca sulla ascesa al Monte
Ventoso (cfr. Hillman) a “Psicologia e alchimia” di Jung 1alla
“Politica della esperienza” di Ronald Laing e alla metafisica
psichedelica (o, in una versione del tutto laica, alla
“Interpretazione dei sogni” di Freud ).
In effetti, non
esistono solo dei circuiti neurali integrati ( sistema
libico/amigdala, emisferi cerebrali destro e sinistro- con ruoli
differenziati) o emozioni base (secondo le varie analisi il numero
oscilla p.e. da cinque a otto: in un sistema vengono così elencate
rabbia, tristezza, paura, felicità,
imbarazzo, disgusto, sorpresa), ma regole di
esibizione, criteri interpretativi, schemi valutativi, strategie
relazionali interpersonali nel gioco emotivo; esso stesso viene
coscientemente sfruttato negli sforzi retorici di persuasione (a fini
economici, politici o giudiziari); viene messo in scena, evocato,
prodotto nelle opere d’arte (con il loro nesso inestricabile di
aspetti cognitivi ed emotivi, ed il loro ruolo sostanziale nella vita
umana- variamente consolatorio, propulsivo, preformativo). La stessa
empatia- fondamentale nel tenere in piedi il tessuto sociale e nel
costruire una base portante delle regole di comportamento e della
morale- apre pure il varco a intromissioni indebite nella propria
intimità e a identificazioni con proiezioni altrui distruttive. In
una società come la odierna convivono infine tendenze disparate, in
cui il ruolo altamente condizionante dei mezzi di comunicazione di
massa va di pari passo con la frammentazione dei vecchi gruppi
sociali e politici e con una esaltazione delle scelte individuali,
del piacere e del tornaconto individuale.
Da notare è che nelle
forme genericamente riconducibili alla cultura New Age questo piacere
e tornaconto tendono a venire spiritualizzati, senza però spesso
perdere alcuni aspetti brutali di ignorazione dell’Altro. Non a
caso, uno dei punti chiave delle psicoterapie analitiche in senso
lato non è solo il rapporto con le emozioni proprie ( soppresse o
meno) e con la propria storia (da recuperare o reinterpretare) ma
proprio la relazione con l’altro, con le sue trappole e ambiguità
e inconcludenze, e la sua ricchezza possibile (aspetto questo
singolarmente non tematizzato in una opera come quella sulla emozioni
di Borgna, tanto piena di mistica del volto, dell’incontro, della
identificazione, e di pathos esistenziale, e tanto saldamente fondata
sul primato di colui che detiene il potere di comprendere,
soffrire-con, interpretare- che lì è, molto banalmente, il ‘medico’
davanti al suo ‘paziente’).
Le formulazioni di
Goleman sulla intelligenza emozionale peccano forse di
semplificazione- ma è indubbio che bugie, blocchi e deformazioni
rispetto a quello che si sente e si è aprono la strada a molteplici
conseguenze negative: rigidità interpersonale, aumentata spinta alla
aggressività e così via (fino pure in determinati casi a sintomi
patologici in senso stretto, giù giù fino ai crolli psicotici veri
e propri). ‘E esattamente qui, nell’insieme delle lotte per una
umanizzazione della vita associata, che si inseriscono gli sforzi dei
terapeuti- i quali sfruttano le energie costruttive e gli aspetti
progressivi generalmente sempre presenti, anche se inibiti; -senza
pretendere di creare il paradiso in terra, ma sicuramente cercando di
rendere maggiormente possibile ad alcune persone una vita più
reale, più creativa, più produttiva e più felice.
Nel 1980 Carl Rogers
scriveva così, parlando del futuro e di chi avrebbe potuto
costruirlo:
Chi sarà capace di
vivere in questo mondo terribilmente strano? Credo che lo saranno
coloro che sono giovani nella mente e nello spirito- e questo spesso
significa coloro che sono giovani anche nel corpo. A mano a mano che
la nostra gioventù cresce, in un mondo in cui le tendenze e le
concezioni come quelle che ho descritto si avviluppano, molti
diventeranno persone nuove- adatte a vivere nel mondo di domani- e
saranno raggiunti dalle persone più anziane che sono state capaci di
assorbire i concetti trasformati.
Non tutti i giovani,
naturalmente. Sento dire che i giovani di oggi sono interessati
soltanto al lavoro e alla sicurezza, che non sono persone che
vogliono assumere rischi o introdurre innovazioni, e che cercano da
semplici conservatori di essere ‘il numero uno’. Probabilmente è
così, ma sicuramente non vale per i giovani con cui vengo a
contatto. Sono sicuro che alcuni continueranno a vivere nel mondo di
oggi; molti, però, andranno ad abitare questo mondo nuovo di domani.
Di dove verranno? ‘E
mia opinione che esse esistono già. Dove li ho trovati? Li trovo tra
i dirigenti di grandi società che hanno abbandonato la razza dei
topi in flanella grigia, l’esca dei ricchi stipendi e delle opzioni
di mercato, allo scopo di vivere una vita nuova e più semplice. Li
trovo tra i ragazzi e le ragazze in blue jeans che diffidano della
maggior parte dei valori della nostra cultura e vivono in modo nuovo.
Li trovo tra preti, suore e pastori che si sono lasciati alle spalle
i dogmi delle loro istituzioni per vivere secondo modalità che hanno
più significato. Li trovo tra le donne che stanno vigorosamente
sollevandosi contro le limitazioni che la società ha posto alla loro
personalità. Li trovo tra i neri e i meticci, e altri membri di
minoranze, che si scrollano di dosso generazioni di passività e
premono verso una vita assertiva e positiva. Li trovo tra coloro che
hanno sperimentato i gruppi d’incontro, che nelle loro esistenze
stanno trovando un posto ai sentimenti come ai pensieri. Li trovo tra
le persone creative che hanno abbandonato la scuola, che si affidano
a obiettivi più alti che non gli sterili diplomi scolastici. Mi
rendo anche conto che ho intravisto questa persona negli anni spesi
come psicoterapista, allorché i clienti sceglievano un tipo di vita
più libero, più ricco e più autodiretto…
(C. Rogers, “Un modo di
essere”, cap. 15)
In modo non dissimile,
anche se con meno entusiasmo forse, si era espresso decenni prima
(in un contesto sociale e politico molto più cupo) il grande
terapeuta esistenziale Rollo May. Ecco la chiusa del suo libro del
1953 sulla ricerca di sé nell’uomo moderno:
Il compito e la
facoltà dell’essere umano sono di progredire dalla originaria
condizione in cui esso è solo una parte, priva di libertà e
pensiero, della massa, sia questa massa la sua antica esistenza di
feto o una società conformista di automi, progredire dal grembo,
cioè, attraverso il circolo incestuoso, che è poco al di là del
grembo, tramite l’esperienza della nascita dell’autocoscienza, la
crisi della crescita, le lotte, le scelte e il cammino dal noto verso
l’ignoto, fino a giungere a una consapevolezza di sé e quindi a
una libertà e una responsabilità sempre crescenti, a livelli di
differenziazione sempre più alti, in cui egli si integri
progressivamente con gli altri nell’amore e nel lavoro creativo
liberamente scelti. Ogni passo di questo viaggio significa che egli
vive meno come schiavo del tempo automatico e più come individuo che
trascende il tempo, cioè un individuo che sa quello che sceglie. Per
cui, la persona che sa morire coraggiosamente a trent’anni, che ha
conseguito un tale grado di libertà e differenziazione da poter
affrontare con coraggio la necessità di rinunciare alla vita, è più
matura di un ottantenne che sul letto di morte si umilia implorando
di essere ancora protetto dalla realtà.
La vera implicazione è
che la nostra meta è di vivere ogni istante con libertà, onestà e
responsabilità. Allora, in ogni momento, ciascun uomo realizza,
entro i propri limiti, la sua natura e il suo compito evolutivo. In
tal modo egli proverà la gioia e la soddisfazione che accompagnano
questa realizzazione. Che il giovane lettore universitario riesca a
finire il suo libro oppure no, è una questione secondaria: quella
fondamentale è se egli, o chiunque altro, penserà o scriverà in
una data frase o paragrafo quel che secondo lui gli “procurerà la
lode di un altro”, oppure ciò ch’egli stesso ritiene vero e
onesto secondo le sue possibilità del momento. Indubbiamente, il
giovane marito non può sapere con certezza quel che sarà del
rapporto con la moglie da qui a cinque anni: ma nel migliore dei
periodi storici forse che si sarebbe mai potuto esser certi di vivere
ancora per una settimana o un mese? L’incertezza del nostro
tempo non ci insegna forse la lezione più importante di tutte, che i
criteri fondamentali sono l’onestà, l’integrità, il coraggio e
l’amore insiti in un dato momento del rapporto con la realtà? Se
non comprenderemo ciò, non costruiremo mai nulla per il futuro; se
lo comprenderemo, possiamo lasciare che il futuro pensi a sé stesso.
Libertà,
responsabilità, coraggio, amore e integrità sono qualità ideali,
mai perfettamente realizzate da alcuno, ma sono le mete psicologiche
che danno significato al nostro progresso verso l’integrazione.
Allorché Socrate descrisse il modo di vivere e la società ideali,
Glauco controbattè: “Socrate, non credo che questa città di Dio
esista sulla terra”. Allora Socrate rispose: “Che questa città
esista in cielo o esisterà mai sulla terra, il saggio si uniformerà
ai principi di essa, non avendo nulla da spartire con qualsiasi
altra; e così, guardando ad essa, metterà ordine nella propria
casa”.
BIBLIOGRAFIA
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“17. (sogno) ‘Dopo un lungo vagabondare, il sognatore trova
sulla strada un fiore azzurro’. Il vagabondare è un vagare per
strade senza meta, e per questa ragione è anche una ricerca e una
trasformazione: ed ecco che lungo la strada, involontariamente,il
sognatore s’imbatte in un fiore azzurro, accidentale figlio della
natura, ricordo amabile di un’epoca lirica e romantica, nato in
una stagione in cui la visione scientifica del mondo non si era
ancora dolorosamente scissa dal mondo dell’esperienza reale, o
meglio quando questa scissione era appena agli inizi e lo sguardo
era rivolto all’indietro, a quello che già si presentava come
passato. Il fiore è di fatto come un accenno amichevole, un numen
dell’inconscio , che mostra a chi è stato privato della via
sicura e dell’appartenenza a ciò che per gli uomini significa
salvezza il luogo e il momento in cui egli può incontrare fratelli
e amici in spirito, , trovare quel germe che vorrebbe veder
sviluppato anche in sè stesso. Ma per il momento il sognatore non
ha nemmeno la più lontana intuizione dell’oro solare che connette
il fiore innocente ai riprovevoli misteri dell’alchimia e alla
blasfema idea pagana della solificatio. Il
‘fiore d’oro dell’alchimia’ è infatti a volte anche un
fiore ‘azzurro’, il ‘fiore di zaffiro dell’ermafrodito’.”
“Psicologia e Alchimia”, pag. 83