domenica 27 ottobre 2013

(Lou was a good friend of mine)



he don't know just where he's goin'/
he is going to try for the Kingdom, if he can-
(the cold black sea won't have him, him, him/
the cold black sea'll wait forever)



and thru William S. Burroughs, 
Brion Gysin-
hallowed be their name









mercoledì 23 ottobre 2013

Marta De Brasi: "Globalizzazione e salute mentale", Firenze 2001/ SEMINARIO ISTITUTO BLEGER A RIMINI IL 26-10 [Marta De Brasi: Il trauma dall'ambiente al gruppo interno]

Globalizzazione e salute mentale

Articolo presentato al Convegno World Psychiatric Association
MASS - MEDIA E SALUTE MENTALE
svoltosi a Firenze il 4 - 5 Ottobre 2001

Il tema di oggi sulla Globalizzazione e Salute Mentale, mi apre un ventaglio di interrogativi, tanto nella mia pratica come Psicoterapeuta così come Cittadina.

La Questione che ci convoca oggi è a mio avviso fondamentale, dato che con frequenza ravvicinata, realtà, fantasia e fantascienza, si avvicinano fino a toccarsi e a confondersi. Si sfumano le frontiere tra il pensabile e l’impensabile, tra i fantasmi (fantasie) e il reale. Sembrerebbe che le fantasie possono realizzarsi fino a far saltare (rompere) i limiti tra il sogno e la veglia; un mix di terrori notturni e diurni, sensazioni di disagio che abitano nei nostri corpi, che colpisce i nostri affetti e i rapporti con gli altri.
Della nostra vita quotidiana qualcuno diceva che assomigliamo di più al nostro tempo che al modello trasmesso dai nostri genitori. Imbricazione, interconnessione, tessuto inevitabile tra produzione di soggettività e contesto socio Ð politico, tra le culture e l’inconscio.
Più di 70 anni fa Freud in “Disagio nella civiltà” e nel “La guerra e la morte”, già ci segnalava le cause della delusione nel carattere ambivalente del dominio del tempo e dello spazio. Con l’aiuto della tecnica diceva che “l’uomo era diventato una sorte di un Dio Profetico”. Oggi quel Dio Profetico e infelice patisce di una sorte di delirio di onnipotenza.
Delirante - solitario che con una voracità cannibale vuole mangiarsi tutto e tutti.
“Il mondo si rivela oggi più globale di ieri nella sua instabilità e vulnerabilità”, scriveva Luigi Pintor il 12 Settembre scorso su “Il Manifesto”.
Oggi? Ieri? Domani? Questa linearità del tempo è precipitata , si è accorciata in un istante.
Come far luogo in noi stessi a questo modo di attualità?
I mostri con cui ci confrontiamo nella nostra clinica quotidiana, non sono solo prodotti delle fantasie, del delirio o di un sogno, sono anche effetti di un eccesso di realtà o di una sovrabbondanza di informazione, che possono provocare nel soggetto uno sgretolamento del sistema di identificazione nel centro della sua identità. Una rottura dei vincoli primordiali ed una perdita dei riferimenti e dei contatti di appartenenza.
Si manifesta o appare chiaramente una crescente vulnerabilità nei lacci sociali, uno dei cui effetti è “il predominio dell’individualismo negativo” come direbbe Robert Castel.
Nei miei ultimi due lavori, “L’Essere umano scartabile nel XXI° Secolo”, e “Mass Ð Media e Salute Mentale”, ho sviluppato più approfonditamente questi argomenti.
In una prospettiva clinica e psicopatologica, possiamo indicare che la contaminazione provocata da quegli eccessi, entrano a formare parte dell’ambito traumatico.
I soggetti toccati da queste perturbazioni transitano ai bordi dei diversi quadri psicopatologici. Difficile indicare di che soffrono o addirittura farli entrare dentro un quadro determinato.
Borderline, stati limite o disfumatura del limite. Vecchia o nuova nosologia si alterna per poter pensare in questa questione.
Oggi più di ieri il soggetto - il paziente - deve essere accolto e preso nel rapporto con il suo contesto, già che a partire di qua che possiamo fare una osservazione e comprendere da dove si nutrono quei mostri. La complessità è aumentata nel nostro lavoro psicoterapeutico.
Gli spazi ed ambiti dove ci tocca intervenire o esercitare il nostro mestiere, consiste a mio avviso nel collocare e dare forma a quello che irrompe, a quello che va oltre il limite.
Quello che ha perturbato, ostacolato e fatto vulnerabile il processo di crescita psichica e relazionale del soggetto o anche ha congelato e banalizzato i suoi vincoli con gli altri e se stessi.
La cornice per poter elaborare (metabolizzare) la sovraccarica e l’assorbimento degli stimoli, richiede da noi una rigorosità ed una attenzione minuziosa, nella costituzione di uno spazio Ð tempo, come condizione per lo svolgimento del processo terapeutico.
E’ una delle condizioni fondamentali, a mio avviso, per la emergenza di un senso di quello che sta accadendo nel rapporto. Vale a dire che possa essere pensato.
Dall’impensabile caotico al pensabile. Cioè che possa formare parte dell’arricchimento del soggetto, così rimangono le tracce dei suoi diversi divenire. Lo psichismo ha una limitata capacità di assorbimento di quello che apportano gli altri, il mondo circondante e il suo stesso mondo pulsionale. L’accelerazione del tempo, fa si che non ci si possa costituire lo spazio interno come luogo in cui rimangono le tracce dell’esperienza vissuta. Senza tempo, senza spazio, solo la precipitazione e il vissuto catastrofico. Bion ha dedicato molto a questo. Anche Pichon Rivière.
Ci sono molti orientamenti analitici che hanno sviluppato dopo Freud, gli effetti traumatici di questi eccessi, di questa eccessiva stimolazione.
Maria Torok (“La scorza e il nocciolo”), parla di un processo di introiezione difettoso nel soggetto, rimanendo tutta questa stimolazione (frammenti di immagine, sensazioni, etc.), solo al livello di una incorporazione produttiva di patologia. Vale a dire un corpo estraneo al quale si tratta di espellere attraverso atti sintomatici, delitivi o suicidari.
Tra l’altro, o in un altro piano, il processo di soggettivazione è un processo che si acquisisce durante tutta la vita del soggetto. Per la costituzione della sua identità è di fondamentale importanza lo sguardo e l’ascolto degli Altri significativi ad iniziare dai genitori, maestri, etc., vale a dire un Altro che riconosca questo processo.
Ma quando l’Altro si frantuma, si sfuma o semplicemente non c’è, questo processo di soggettivazione risulta difficoltoso. Prima o poi le fessure nella identità si trasformano in cratere.
E’ qui a mio avviso, che il vincolo terapeutico è fondamentale, come costruzione di un Altro la cui presenza, faccia da testimone di queste rovine. E’ qui che può avvenire un processo dove possa darsi una presa di coscienza, effimera, cambiante anche, su chi è Uno in funzione di un Altro. Una sorta di autorappresentazione dei propri desideri, del proprio corpo.
Ma come dicevo prima, quando tutto questo si trasloca, traballano i territori (interni ed esterni), tremano, provocando una forza di attrazione, dove si può precipitare nel vuoto. Deserto senza tracce. Pura angoscia.
Le “Nevrosi attuali” di Freud, erano solo questo. Pura attualità, senza tempo differito. Trauma puro. Emergenza e irruzione dell’irriconoscibile. Il “Perturbante” (famigliare ed estraneo), provocando una sensazione di irrealtà e di personalizzazione. Siamo di fronte al Panico. In questo caso la Coscienza del soggetto fa un tentativo per focalizzare l’origine dei diversi stimoli, provando ad identificarli. Succede qualche cosa di simile, come ad avere un relatore del telegiornale (questa volta interno) che constata passo a passo i disastri che stanno appunto accadendo nel corpo. Si direbbe che l’attacco (di panico) solo è temuto nel soggetto come apparizione.
Un primo passo come terapeuti sarebbe quello di fornire la possibilità per la costruzione di uno spazio, dove possa instaurarsi una distanza, cioè una alterità che faccia limite alla Massificazione (a situazioni di indifferenziazione) ed alla accelerazione del tempo. Dove possa rilanciarsi un percorso singolare.
Per ultimo, revisionare costantemente la nostra posizione come analisti o terapeuti, la nostra funzione, che ci permette di riflettere su alcuni degli effetti della Globalizzazione (quell’unico Dio di cui parlavo all’inizio), l’Unico Dio, l’Uno.
Resistere a questa tentazione autoritaria, ma anche alla massificazione. I limiti dentro i quali l’inconscio possa insistere alla sua maniera (nei sogni ad esempio, etc.).
Costruire un luogo dove la parola possa produrre nel suo dispiegamento temporale, l’invenzione della propria memoria.
[da PSYCHOMEDIA]
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Marta De Brasi: "Il trauma dall'ambiente al gruppo interno"

Solo su invito · (Leonardo Montecchi)
26-10-2013
h 9-13 Rimini, presso RM 25, corso d'augusto 241
Seminario della scuola Bleger


Il seminario e' gratuito si richiede l'interesse
 al tema.


https://www.facebook.com/events/459662987482212/?ref_dashboard_filter=upcoming&source=1



lunedì 21 ottobre 2013

EXISTENTIALISM RELOADED: Patricia Highsmith, Cronenberg, Ballard.




Existentialism reloaded: Patricia Highsmith, Cronenberg, Ballard.


existentialism//
eXistenZ!!!


Do you remember when you found out you wouldn’t live forever?… That’s the basis of all existentialist thought, which, of course, is an underpinning of the movie. It’s not called “eXistenZ” for nothing’. (Cronenberg)
‘As a card-carrying existentialist I think all reality is virtual.
It’s all invented. It’s collaborative.- I jokingly said that the movie is existentialist propaganda. I meant it playfully, of course. But I have come to believe that this is the game we are playing’ (Cronenberg)


NAUSEA, EXACTLY (joint venture with E.V.)





























1978: RAMMELZEE



Comprato Radio Ethiopia ed ora stavo trasmettendo. Come: ce la faremo?


Entra Vittorio , biondo, legge una poesia e se ne va via, più tardi posso sentire il vento fra i pioppi lugubri della stanza dove mi trovo, i pioppi del cimitero. Ho sognato di un cimitero enorme, milioni di stanze; e le stanze coperte di ragnatele, i muri che si decompongono lentamente, tutta la Terra. Verrà la primavera, credo. Domani è il primo giorno, ne parlo eccitato, vorrei stringerti la mano, duro dormire soli in uno schifoso letto. Sento un camion che passa, segue il suo karma anche lui.
Questo è un grande concetto: che la strada è fissata. E va avanti senza fine (flow river flow) o si interrompe in porti di Amburgo, ville suburbane fra pistole, un vortice di silenzio.
Come un fuoco che scompare- ho udito la tua voce, ma è stato tempo fa. Eri bella, allora, camminavi lungo la spiaggia, sfioravi leggera gli ombrelloni che non c’erano (in sogno), spalancavi gli occhi alle visioni della mente. Il mare si stende all’infinito, ci entreremo, non c’è fretta, fra un mese o un giorno o anni di luce. E non c’è niente da fare.
Ancora alla radio, parlando, piangendo, recitando un incantesimo, non trovando le parole per Lucia dietro (ti amo, cosa fai stanotte) &  tutte le strane fantasie sadomasochistiche della trasformazione, la routine che si ripete, will the circle be unbroken-

Vittorio non sa molto di questo. O forse sì. Non parla.

Vorrei essere su una nave parlante, e andare su mari colorati, passando da un paese ad un altro (non siamo sulla stessa lunghezza d’onda, baby)- & abbiamo deciso di organizzare un concerto dei Rolling Stones & una festa a Zanzibar per tutte le organizzazioni di morte
ma eravamo molto sballati, non se ne farà nulla (l’amaro che rimane in bocca quando si sa che non se na farà nulla; che tanto è tardi, ora di andare a dormire)-
e camminando lungo i muri mangio due pesche in un bar, lite con un ubriaco, VORTICE di violenza, la nostra carne è attraversata da onde misteriose (elettromagnetiche), messaggi di morte attivano le connessioni del nostro cervello, fanno vibrare le cellule in risonanza, VORTICE di morte, e siamo tutti nati per morire, ad ogni modo. Piangendo: possa la purezza del vuoto accoglierci in sè. Sunyata, luce. Che messaggio portò Bodhidharma in Cina?

L’altro giorno, vicino alla collina, raccolto orecchini della Madonna per portarli a G.: pochi, e avrei voluto metterli in un vaso a fiorire e splendere. Ognuno è sentimentale, a volte. Guidando, si vedevano le Alpi (è stato un’altra volta), non c’è più Talwin in casa- e ad ogni modo non fa molto- (la questione del desiderio radicale: come, tornato da Bologna, a casa di nuovo, diecimila persone più tardi, trentamila persone più tardi, due cioccolatini e una bottiglia di Stock e un non scappate ragazzi in mezzo all’odore di benzina delle molotov rosa che saltavano fuori- sul divano a sognare, ancora solo) e non ne posso più di andare avanti così.
Oggi ho comprato Radio Ethiopia, dunque. E avevo pensato di scrivere una lettera meravigliosa tipo : Comprato Radio Ethiopia, sono qui con le mie visioni chimiche del mio sangue, steso su un letto, ho 30 anni, mi faccio la barba tutti i giorni ora- per sembrare più giovane?- mandami il Songbook di Patti Smith, e altre cose gentili, grazie per esistere- due punti separati nell’universo- (e non l’ho scritta naturalmente, per quanto l’indirizzo ce l’abbia e sul futuro non si può giurare).

Enrico a Bologna: “nel peggiore dei casi mi ammazzano”. Io all’inizio di settembre: “mi sento finito” (assurdo assurdo)- hello adios goodbye- disastro al mio sangue che ho creato- no g’lot, c’lom Flyday- e sere a bere birra, in bar o attorno a un giradischi o un microfono, aspettando che qualcuno pronunciasse la Parola, solo per fare un po’ di casino nel frattempo, dimostrare che si è vivi. Enrico: (ti amo) “non è mica facile”- complicate storie familiari con madre con batticuore e macchina negata e guide con patente scaduta (poi sostituito da me) arrivando in ritardo ma in fondo al momento giusto all’incrocio con il nostro karma. Lotteria la prossima settimana (no, è questa), metterò in palio me stesso ; come fa la Barbara: “chi mi vuole?- chi mi vuole?”, con la voce strascicata, da satira (4 anni), chissà cosa capisce di quanto sta avvenendo (ed E. in India). E domani sera una riunione a casa mia- Dio solo sa per cosa- non l’ho convocata io- spero che ci sia del fumo e del vino e dolci discorsi- (be’, è una speranza irreale). Nagarjuna: “Un agente reale non compie azioni reali. Un agente irreale non compie azioni irreali”. ‘E bello citare, a volte, fa sentire meno soli.
Il gioiello è nel cuore del loto. La pura terra di Amida. Gate gate paragate-
sedeva sotto un albero con un mare di gente attorno- tutti i tipi di domande idiote- chi cazzo se ne fregava- (ho preso una grande decisione) e Mànjusri l’eternamente giovane, Maitreya, tutta la merda buddista
(fra poco comincerà un corso di meditazione trascendentale: sia gloria a Dio) tu vivi in un mondo di spettri, parli con loro e sogni di loro, solidità peyote degli spettri, dolcezza degli spettri (come è stato detto: dobbiamo combattere in questa vita- e nell’altra; la radio serve per materializzare oggetti concreti)
hai comprato Emily Dickinson ma non l’hai letta. Possa il tuo sonno essere tranquillo e il tuo volto luminoso. Preghiera della sera (tante volte mentalmente sussurrata al tuo fianco, ora scritta, formale promessa, Dio mio cosa sto dicendo, meglio chiudere) Ti amo (lìberati dai giardini di Minraud)

(A 20 Km di distanza, senza telefono, solo onde telepatiche per raggiungerti nella tua città).

Comprato Radio Ethiopia ed ora stavo trasmettendo. Come: ce la faremo?



domenica 20 ottobre 2013

The Lion for Real- Allen Ginsberg (Il leone davvero) [GC, nota fb, 2010]
























"Soyez muette pour moi, Idole contemplative..." 

I came home and found a lion in my living room 
Rushed out on the fire escape screaming Lion! Lion! 
Two stenographers pulled their brunnette hair and banged the window shut 
I hurried home to Patterson and stayed two days 

Called up old Reichian analyst 
who'd kicked me out of therapy for smoking marijuana 
'It's happened' I panted 'There's a Lion in my living room' 
'I'm afraid any discussion would have no value' he hung up 

I went to my old boyfriend we got drunk with his girlfriend 
I kissed him and announced I had a lion with a mad gleam in my eye 
We wound up fighting on the floor I bit his eyebrow he kicked me out 
I ended up masturbating in his jeep parked in the street moaning 'Lion.' 

Found Joey my novelist friend and roared at him 'Lion!' 
He looked at me interested and read me his spontaneous ignu high poetries 
I listened for lions all I heard was Elephant Tiglon Hippogriff Unicorn 
Ants 
But figured he really understood me when we made it in Ignaz Wisdom's 
bathroom. 

But next day he sent me a leaf from his Smoky Mountain retreat 
'I love you little Bo-Bo with your delicate golden lions 
But there being no Self and No Bars therefore the Zoo of your dear Father 
hath no lion 
You said your mother was mad don't expect me to produce the Monster for your Bridegroom.' 

Confused dazed and exalted bethought me of real lion starved in his stink in Harlem 
Opened the door the room was filled with the bomb blast of his anger 
He roaring hungrily at the plaster walls but nobody could hear outside 
thru the window 
My eye caught the edge of the red neighbor apartment building standing in deafening stillness 
We gazed at each other his implacable yellow eye in the red halo of fur 
Waxed rhuemy on my own but he stopped roaring and bared a fang 
greeting. 
I turned my back and cooked broccoli for supper on an iron gas stove 
boilt water and took a hot bath in the old tup under the sink board. 

He didn't eat me, tho I regretted him starving in my presence. 
Next week he wasted away a sick rug full of bones wheaten hair falling out 
enraged and reddening eye as he lay aching huge hairy head on his paws 
by the egg-crate bookcase filled up with thin volumes of Plato, & Buddha. 

Sat by his side every night averting my eyes from his hungry motheaten 
face 
stopped eating myself he got weaker and roared at night while I had 
nightmares 
Eaten by lion in bookstore on Cosmic Campus, a lion myself starved by 
Professor Kandisky, dying in a lion's flophouse circus, 
I woke up mornings the lion still added dying on the floor--'Terrible 
Presence!'I cried'Eat me or die!' 

It got up that afternoon--walked to the door with its paw on the south wall to steady its trembling body 
Let out a soul-rending creak from the bottomless roof of his mouth 
thundering from my floor to heaven heavier than a volcano at night in 
Mexico 
Pushed the door open and said in a gravelly voice "Not this time Baby-- 
but I will be back again." 

Lion that eats my mind now for a decade knowing only your hunger 
Not the bliss of your satisfaction O roar of the universe how am I chosen 
In this life I have heard your promise I am ready to die I have served 
Your starved and ancient Presence O Lord I wait in my room at your Mercy.

Allen Ginsberg

IL LEONE DAVVERO

Sono venuto a casa e ho trovato un leone nel mio soggiorno 
Sono scappato sulla scala antincendio gridando Leone! Leone! 
Due stenografe si sono aggiustate i capelli bruni e hanno sbattuto la finestra 
Sono corso a casa a Paterson, ci sono rimasto due giorni 

Ho telefonato al mio vecchio analista reichiano 
Che mi aveva cacciato dalla cura perché fumavo marijuana 
“ è successo” ansimai “ c’è un leone nella mia stanza” 
“ credo che ogni ulteriore discussione non serva” ha riattaccato 

andai dal mio vecchio ragazzo, ci siamo ubriacati con la sua ragazza 
Lo baciai e annunciai con brillio pazzo che avevo un leone 
Siam finiti a lottare per terra, 
gli diedi un morso a un sopracciglio lui mi buttò fuori a calci 
e poi a masturbarmi nella sua jeep parcheggiata gemendo “Leone!” 

Trovato Joey il mio amico romanziere e gli ho ruggito “leone!” 
Mi guardò interessato e mi lesse le sue alte poesie spontanee ignu 
Mi aspettavo sentire parlare di leoni 
ma c’erano soltanto elefanti tigloni ippogrifi unicorni, formiche 

Ma mi parve che mi avesse capito quando l’abbiamo fatto nel bagno di Ignaz Wisdom 

Ma il giorno dopo mi mandò un foglietto dal suo ritiro sulla Smokey Mountain 
“ti amo mio piccolo Bo-bo coi tuoi delicati leoncini biondi 
Ma dato che il Sé non c’è e non ci sono sbarre, lo zoo del tuo caro padre mai ebbe alcun leone 
Tu hai detto che tua madre era pazza, non aspettarti che sia io a tirar fuori il mostro che ti sarà sposo” 

Confuso stordito ed esaltato pensai a un vero leone affamato nel suo fetore ad Harlem 
Apri la porta, la stanza era piena dell’esplosione da bomba della sua rabbia 

Lui ruggiva affamato alle pareti d’intonaco ma nessuno poteva udirlo fuori dalla finestra 
Ci fissammo, il suo implacabile occhio giallo nell’alone rosso del pelo 
dilatato cisposo fisso nel mio, ma smise di ruggire e mostrò una zanna in saluto 

Io voltai la schiena e cucinai broccoli su ferrea cucina a gas 
Lasciai bollire l’acqua e feci un bagno caldo nella vecchia tinozza sotto il piano del lavandino 
Non mi mangiò, e a me dispiaceva vederlo morire di fame in mia presenza 

La settimana dopo era deperito, una pelle malata piena di ossa coi peli giallastri e cadenti 
Infuriato e con l’occhio rosso mentre giaceva indolenzito enorme con la testa pelosa sulle zampe 
Accanto a scaffali di cassette da uova pieni di libri smilzi di Platone e Buddha 

Sedetti al suo fianco ogni notte distogliendo gli occhi dalla sua faccia affamata divorata dalle tarme 
Smisi di mangiare io stesso, lui diventò sempre più debole e ruggiva la notte mentre io avevo gli incubi 


Mangiato da un leone nella libreria del Campus cosmico, 
leone io stesso ridotto alla fame dal professor Kandinsky, morente in un circo per leoni senza tetto 
Mi svegliavo al mattino il leone continuava a morire sul pavimento 
“terribile presenza”! gridai “ mangiami o muori!” 

Si alzò quel pomeriggio si avviò verso la porta con la zampa sulla parete per reggere quel corpo tremante 
Lanciò un cigolio da spezzare l’anima dal tetto senza fondo della sua bocca 
Tuonando dal pavimento al cielo più forte di un vulcano in Messico di notte 
Spalancò la porta e disse con voce rasposa “non stavolta Baby, ma tornerò !” 

Leone che mi mangi la mente ormai da dieci anni conscio soltanto della tua fame 
Non l’estasi della tua soddisfazione 
Oh ruggito dell’universo come sono stato scelto 
In questa vita ho udito la tua promessa sono pronto a morire ho servito 
La tua affamata e antica presenza o signore aspetto nella mia stanza in tua mercè .

sabato 19 ottobre 2013

DOUBLE LINK (Double Indemnity): Sven Reichardt 'Klaus Theweleits „Männerphantasien“ – ein Erfolgsbuch der 1970er-Jahre' [ zeithistorische-forschungen.de, 2006]/ Klaus Theweleit, "Männerphantasien" 2 Bde [ Verlag Roter Stern/Stroemfeld 1977, 1978, Lizenzausgabe als TB bei Rowohlt 1983−94, DTV, Piper 2000]




  • Frauen, Fluten, Körper, Geschichte, 1977.
  • Männerkörper. Zur Psychoanalyse des Weißen Terrors, 1978.





A change of scene. After the war. A man and woman in a lecture hall: I'm sitting next to her at the lecture. She is bashful. Assiduously, she applies herself to noting the fact that the home of the original Germanic tribes was probably on the lower Danube, or somewhere or other. How should I know? I hear her breathing quicken, feel the warmth of her body, and smell the fresh scent of her hair. Her hand rests carelessly almost at my side. Long, narrow, and white as freshly fallen snow.' Under the man's gaze, the woman is transformed into something cold and dead. The man is Michael, in Goebbels' post-World War I novel of the same name, who gazes at the hand of his beloved Herta Hoik. Like so many women in these novels, she has the ability to evaporate as the story progresses.* Relationships with women are dissolved and transformed into new male attitudes, into political stances, revelations of the true path, etc. As the woman fades out of sight, the contours of the male sharpen; that is the way in which the fascist mode of writing often proceeds. It could almost be said that the raw material for the man's "transformation" is the sexually untouched, dissolving body of the woman he is with. To soldiers returning from battle, women seem to have lost their reality. Lettow-Vorbeck (Africanus) stops over in Italy on his journey home. He visits a museum-

MALE FANTASIES Volume 1: Women, Floods, Bodies, History 1987




            Male Fantasies. Volume 2: Male Bodies, 
            Psychoanalyzing the White Terror. 1989


 Sven Reichardt, Klaus Theweleits „Männerphantasien“ – ein Erfolgsbuch der    1970er-Jahre, in: Zeithistorische Forschungen/Studies in Contemporary History, Online-Ausgabe, 3 (2006) H. 3,


















































lunedì 7 ottobre 2013

"Por una psicopatología clínica, que no estadística" [Barcelona, a 14 de Abril de 2011]


dalla pagina (da visitare!) http://stopdsm.blogspot.it





MANIFIESTO POR UNA PSICOPATOLOGÍA CLÍNICA, QUE NO ESTADÍSTICA

Mediante el presente escrito, los profesionales e instituciones abajo firmantes, nos manifestamos a favor  de criterios clínicos de diagnosis, y por lo tanto en contra de la imposición del Manual Diagnóstico y Estadístico de los Desórdenes Mentales de la American Psychiatric Association como criterio único en la clínica de las sintomatologías psíquicas.
            
Queremos compartir, debatir y consensuar el conocimiento clínico -logía- sobre el pathos psíquico -padecimiento sintomático, que no enfermedad-  a fin de cuestionar la existencia de una salud psíquica, estadística o normativa, así como la impostura clínica e intelectual del desorden, trastorno, enfermedad mental. También queremos denunciar la imposición del  tratamiento único -terapias tipificadas para trastornos formateados- por el menosprecio que supone a las diferentes teorías y estrategias terapéuticas, y a la libertad de elección de los pacientes. En el momento actual, asistimos al devenir de una clínica cada vez menos dialogante, más indiferente a las manifestaciones del padecimiento psíquico, aferrada a los protocolos y a tratamientos exclusivamente paliativos para  las consecuencias, y no para  sus causas. Tal y como dice G. Berrios (2010) «Nos enfrentamos a una situación paradójica en la que se les pide a los clínicos que acepten un cambio radical en la forma de desarrollar su labor, (ej. abandonar los consejos de su propia experiencia y seguir los dictados de datos estadísticos impersonales) cuando en realidad, las bases actuales de la evidencia no son otras que lo que dicen los estadísticos, los teóricos, los gestores, las empresas (como el Instituto Cochrane) y los inversores capitalistas que son precisamente aquellos que dicen donde se pone el dinero». En consecuencia, manifestamos nuestra defensa de un modelo sanitario,donde la palabra sea un valor a promover y donde cada paciente sea considerado en su particularidad. La defensa de la dimensión subjetiva implica una confianza en lo que cada uno pone en juego para tratar aquello que en él mismo se revela como insoportable, extraño a sí mismo, pero sin embargo familiar. Manifestamos nuestra repulsa a las políticas asistenciales que persiguen la seguridad en detrimento de las libertades y los derechos. A las políticas que, con el pretexto de las buenas intenciones y de la búsqueda del bien del paciente, lo reducen a un cálculo de su rendimiento, a un factor de riesgo o a un índice de vulnerabilidad que debe ser eliminado, poco menos que a la fuerza.

Para cualquier disciplina, la aproximación a la realidad de su campo se hace a través de una teoría. Este saber limitado no tendría que confundirse con La Verdad,  pues, supondría actuar como una ideología o religión,  donde cualquier pensamiento, acontecimiento o incluso el lenguaje utilizado, está al servicio de forzar el re-ligare entre saber y verdad. Todo clínico con un cierto espíritu científico sabe que su teoría es lo que Aristóteles llamaría  un Organon, es decir, una  herramienta de acercamiento a una realidad siempre más plural  y cambiante, y donde las categorías encontradas han de dejar espacio a la manifestación de esa diversidad, permitiendo así una ampliación tanto teórica como práctica. Esta concepción se opone  a la idea de un canon, en el sentido de lo que necesariamente, obligatoriamente y prescriptivamente las cosas son y han de funcionar de determinada manera. Todos sabemos las consecuencias de esta posición que va de lo orientativo a lo normativo, prescriptivo para, finalmente, convertirse en coercitivo. Es ahí donde el saber se convierte en el ejercicio de un poder en tanto sancionador, en un sentido amplio, de lo que obedece o desobedece a ese canon. Ordenación de la subjetividad al Orden Social que reclaman los mercados. Todo para el paciente sin el paciente. Un saber sin sujeto ya es un poder sobre el sujeto. Autoritarismo científico, lo llama J. Peteiro.  Por todo esto queremos manifestar nuestra oposición a la existencia de un Código de Diagnostico Único Obligatorio y Universal.

Por otra parte, el modelo a-teórico del que hace gala el DSM, y que se ha querido confundir con objetividad, nos habla de su falla epistemológica.  Baste recordar su indefinición sobre qué podemos entender como trastorno mental, así como por salud psíquica. Los contenidos de esta taxonomía psiquiátrica responden mucho más a pactos políticos que a observaciones clínicas, lo que da lugar a un problema epistemológico muy grave.

En cuanto al método clasificatorio del DSM, constatamos que se puede clasificar, amontonar o agrupar muchas cosas, pero eso no es establecer una entidad nosográfica en un campo determinado. Por último, y en la misma línea que lo anterior, la estadística empleada en el DSM tiene un punto de partida débil: la ambigüedad del objeto sobre el que se opera, es decir, el concepto de trastorno mental. La estadística se presenta como una técnica, un utensilio que puede ser puesto al servicio de múltiples causas y de todo tipo. Son las personas quienes manejan los ítems y valores de base de la curva estadística, pero también quienes deciden el deslizamiento, más o menos hacia los márgenes de lo que se va  a cuantificar e interpretar posteriormente.
En este contexto de pobreza y confusión conceptual, la próxima publicación del DSM-V supone una clara amenaza: nadie quedará fuera de aquello que se detiene, de lo que enferma. No quedará espacio para la salud, en términos de cambio, de movilidad, de complejidad o de multiplicidad de las formas. Todos enfermos, todos trastornados. Cualquier manifestación de malestar será rápidamente transformada en síntoma de un trastorno que necesita ser medicalizado de por vida. Éste es el gran salto que se realiza sin red epistemológica alguna: de la prevención a la predicción.
Umbrales diagnósticos más bajos para muchos desórdenes existentes o nuevos diagnósticos que podrían ser extremadamente comunes en la población general, de esto nos advierte Allen Frances, jefe de grupo de tareas del DSM IV,  en su escrito Abriendo la caja de Pandora. Refiriéndose a los nuevos trastornos que incluirá el DSM-V, este autor cita algunos de los nuevos diagnósticos problemáticos: el síndrome de riesgo de psicosis, («es ciertamente la más preocupante de las sugerencias. La tasa de falsos positivos sería alarmante del 70 al 75%»). El trastorno mixto de ansiedad depresiva.  El trastorno cognitivo menor, («está definido por síntomas inespecíficos... el umbral ha sido dispuesto para    incluir un enorme 13.5% de la población».)  Trastorno de atracones. El trastorno disfuncional del carácter con disforia. El trastorno coercitivo parafílico. El trastorno de hipersexualidad, etc. Aumenta, por tanto, el número de trastornos y aumenta también el campo semántico de muchos de ellos, como el famoso TDAH, ya que se permite el diagnóstico basado sólo en la presencia de síntomas, no requiriendo discapacidad y, además, se reduce a la mitad el número de síntomas requeridos para adultos. El diagnóstico de TDAH también se contempla en presencia de autismo, lo cual implicaría la creación de dos falsas epidemias e impulsaría el uso aumentado de estimulantes en una población especialmente vulnerable.
Si juntamos este manejo estadístico con la heterogeneidad temática de los grupos de trabajo, que se multiplican y que van desde la identidad de género, pasando por la adaptación de los impulsos, hipersexualidad, cambios de humor etc., no podemos obviar que las clasificaciones internacionales pretenden una autonomía total respecto de cualquier marco teórico, y por ende, libre de cualquier tipo de control de rigor epistémico. Sin embargo, no creemos que las clasificaciones y tratamientos puedan ser neutrales respecto a las teorías etiológicas, como se pretende, y al mismo tiempo ser neutrales respecto de la ideología del Control Social, e intereses extra clínicos.

Paul Feyerabend, en El mito de la ciencia y su papel en la sociedad, nos dice: «Básicamente, apenas si hay diferencia alguna entre el proceso que conduce a la enunciación de una nueva ley científica y el proceso que precede a una nueva ley en la sociedad». Parece ser, sigue diciendo este autor en Adiós a la razón, que: «El mundo en que vivimos es demasiado  complejo para ser comprendido por teorías que obedecen a principios (generales) epistemológicos. Y los científicos, los políticos -cualquiera que intente comprender y/o influir en el mundo-, teniendo en cuenta esta situación, violan reglas universales, abusan de los conceptos elaborados, distorsionan el conocimiento ya obtenido y desbaratan constantemente el intento de imponer una ciencia en el sentido de nuestros epistemólogos».

Finalmente, queremos llamar  la atención  del peligro que supone para la clínica de las sintomatologías psíquicas, que los nuevos clínicos estén formateados, deliberadamente, en la ignorancia de la psicopatología clásica, pues,  ésta responde a la dialéctica entre teoría y clínica, entre saber y realidad. Psicopatología clínica que ya no se enseña en nuestras facultades ni en los programas de formación de los MIR y PIR. Y sin embargo, se les alecciona en el paradigma de la indicación... farmacológica:  universalización prescriptiva para todos y para todo, y que en nada se diferencia  de una máquina expendedora de etiquetas  y reponedora de medicación.  El resultado que denunciamos es un desconocimiento de los fundamentos de la  psicopatología, un escotoma importante a la hora de explorar a los pacientes y, en consecuencia, una limitación más que considerable a la hora de diagnosticar.

En tanto que el conocimiento es la forma más ética que tenemos de acercarnos a nuestra plural realidad, no ha de ser un problema la coexistencia de diferentes saberes sobre la complejidad del ser humano.

Por todo ello proponemos llevar a cabo acciones con el objetivo de poner límite a todo este proceso incrementalista de las clasificaciones internacionales, y trabajar con criterios de clasificación que tengan una sólida base psicopatológica y, por tanto, que provengan  exclusivamente de la clínica.


Barcelona, a 14 de Abril de 2011