lunedì 1 aprile 2013

MARCO BALDINO: 'L’egualitarismo radicale detto di Babeuf' [Kasparhauser rivista, 28 marzo 2013], plus due commenti

http://www.kasparhauser.net/Communes/baldino_babeuf.html






Espressione di un egualitarismo radicale, Babeuf parla di una «religione della pura eguaglianza». L’uguaglianza è concepita come “diritto primitivo”. Tuttavia la felicità comune (o sociale) deve poi essere assicurata dalle Istituzioni — concezione giuridica che confligge con quella naturalistica del diritto “primitivo”. Che significa infatti “primitivo”? “promulgato” dalla natura, si tratta cioè di qualcosa di pre-giuridico.

La felicità del popolo si ottiene — secondo Babeuf — limitando per legge il diritto di proprietà. La proprietà è qui il grande nemico. Suoi riferimenti teorici:

1) Licurgo: nessuno può conseguire il superfluo;
2) Rousseau: la perfezione dello stato sociale è che ciascuno abbia abbastanza e nessuno troppo;
3) Robespierre: “Dichiarazione dei Diritti”;
4) Saint-Just: «Gli infelici sono le energie della terra, hanno il diritto di parlare da padroni ai governi che li trascurano».
Per Babeuf tutto ciò che un membro del corpo sociale possiede al di sopra della sufficienza è il risultato di un furto ai danni degli altri coassociati; bisogna che le Istituzioni sociali tolgano ad ogni individuo la speranza stessa di divenire più ricco, più potente, più ragguardevole, «per i suoi lumi», cioè in virtù delle sue doti, della sua intelligenza, della sua stessa applicazione.

Pars construens
L’egualitarismo di Babeuf si presenta come il sogno orrifico di un sistema livellatore attraverso la legge. Dinanzi alla maestà del principio supremo dell’eguaglianza ogni altra cosa deve essere tenuta nel più totale dispregio. Babeuf cerca di immaginare una forma sociale in cui sia sbarrata a tutti ogni possibile via d’ottenere oltre lo stretto necessario (la famosa “quota-parte”). Qui Babeuf rischia però di confondersi con il suo contrario: è il mondo borghese — come osserva Bataille (Il limite dell’utile, Adelphi 2000, p. 61) — ad essere intimamente mosso da questo orrore per il superfluo, per lo spreco, per il sacrificio, per tutto ciò che eccede l’utile e lo è proprio contro l’Ancien régime, contro la società della gloria e della tragedia. In questo senso la dottrina di Babeuf è identica a quella dei puritani americani del XVII secolo: ciò che sta nelle premesse del capitalismo sta anche nelle premesse del socialismo, sia utopistico che scientifico.

Pars destruens
Il discorso di Babeuf si presenta altresì come un’aperta presa di partito per la vittima assoluta: «tutti i mali sono al culmine — scrive Babeuf — ad essi non si può porre rimedio che con un sovvertimento totale!». Egli ammette pertanto, contro coloro che lo accusano di fomentare l’odio, la necessità di una guerra civile, la guerra delle vittime, degli sventurati, di coloro che mancano di tutto, contro i loro assassini; «la discordia — egli sostiene — è meglio d’una orribile concordia in cui si strozza la fame». Babeuf manifesta qui ciò che Nietzsche ha chiamato “esistenza catilinaria” (Crepuscolo degli idoli): un cupo rantolo si leva dal profondo della provincia francese e si incarna in questo auspicio: tutto si confonda, tutto si imbrogli, tutto si mescoli e si scontri, tutto rientri nel caos… solo così potrà sorgere un mondo nuovo, rigenerato. Tutto ciò determina una “grande paura”, ma, a ben vedere, esso esprimeva solo un gemito di dolore: «cambiamo, dopo mille anni, queste leggi incivili» — questa la stupenda perorazione con cui si chiude il Manifesto dei plebei.

La frase di Saint-Just a cui Babeuf si lega va pertanto compresa in questo contesto catilinario, laddove il “Manifesto” prende partito per i reietti. In questo senso l’egualitarismo radicale di Babeuf non è altro che un’estrema fantasia di vendetta, un’estrema ansia di riscatto: ridurre tutti alla pura eguaglianza. 





2 commenti al testo originale:

Marco Baldino: Ho scritto questo appunto nel 2005. Ero indeciso se pubblicarlo ora, perché penso che in questa fase sia necessario uno sforzo riequilibratore. Il pezzo ha però anche il senso dello 'smascheramento', non tanto del comunismo (oggi non è certo necessario prendersela con il comunismo ) ma di certi depositi ideologici disseminati qui e là, negli sfondi di molte posizioni politiche. [Pezzo senza troppe pretese].

Giacomo Conserva: molto leggendo camus ultimamente. dice qualcosa che mi pare molto simile in 'l'homme revoltè' (e forse pure Canetti, in 'masse e potere'). sono argomenti che prendo molto sul serio. (fra parentesi, sono VERAMENTE allucinanti gli attacchi di jeanson e sartre contro camus al tempo della rottura).



2 commenti:

  1. Trovo di sconcertante attualità l'articolo di Marco Baldino ed è davvero allucinante l'attacco di Sartre a Camus, come scrive Gacomo Conserva .Camus viene accusato di combinare il termine rivolta con il "limite" e con la "misura" ma ancor più di non voler lasciare l'esistenza in balia della Storia. "Allora, quando la rivoluzione, in nome della potenza e della storia, si converte in meccanismo omicida o smisurato, divien sacra una nuova rivolta, in nome della misura e della vita" (da "Oltre il nichilismo" in " L'uomo in rivolta"). E ancora "La rivolta poggia sul reale per avviarsi in una perpetua lotta, verso la verità". Camus va oltre quella che Marco Baldino chiama una estrema fantasia di vendetta. Non riconosce Valori assoluti che non siano inconciliabili: "La giustizia assoluta passa attraverso la soppressione di ogni contraddizione: essa distrugge la libertà". Se seguo il senso della storia dimentico l'individuo, le vite silenziose, colui che dalla storia è cancellato. Sartre per il quale esistono invece solo antagonismi in nome della Ragione storica rompe con l'amico Camus accusato di essere fuori dalla storia. Anima in rivolta, anima bella per Jeanson. Da ragazza questi elementi di rifiuto e di rottura hanno mutato la mia simpatia per Sartre. All'epoca degli amori intellettuali ho cambiato oggetto e ho amato Camus.

    RispondiElimina
  2. la mia prima moglie veniva da un paesino della bassa mantovana. in un centro più grande, alle superiori, con 3 amiche crebbe inizio anni '60 nel culto di 'Sartre e la Simone'- il che ebbe poi un notevole influsso sul mio matrimonio (tutta la storia dell'amore necessario, non contingente). E del resto, prima di conoscerla, avevo letto -io studente borghese- i grandi saggi politici di sartre degli anni '50/inizio '60. E il diavolo e il buon dio, poi, e 'La force de l'age'. Lies lies lies: bugie, affascinanti bugie, bugie piene di conseguenze.

    RispondiElimina