venerdì 27 maggio 2011

'Kipple'→ Re: Quello che il manicomio era [Antonio Caronia e Domenico Gallo, "La macchina della paranoia. Enciclopedia dickiana", 2006, pp.159-165]



Dato che il bellissimo libro di Antonio Caronia e D.Gallo è Creative Commons, non ho chiesto il permesso per fare questo prelievo. Posso solo raccomandare di leggere il libro, meditarlo, usarlo. GC


kipple

L’immagine di un mondo deteriorato, dominato dalla polvere, in cui oggetti e manufatti cadono in rovina, si sfaldano, si trasformano in ammassi sempre più informi, è ricorrente nelle opere di Dick. Termini come debris, flakiness, shapeless, rotten, verbi come decay, disintegrate, flake dominano queste descrizioni, che compaiono già nei primi racconti e romanzi.

'La sala era cupa e oscura per le nuvole di ceneri. Le luci in alto lampeggiavano deboli e irregolari. Fece per afferrare la maniglia della porta, magli rimase nella mano. La lasciò cadere a terra e affondò le dita nella porta. Il cristallo gli crollò accanto, rompendosi in tanti minuti frammenti.
Aprì di slancio la porta, facendola a pezzi, entrò nell’ufficio scavalcando le macerie.'
(Squadra riparazioni)

'Per un momento, Hamilton non riuscì a capire che cosa fosse. La forma moribonda si contorse con un sussulto posandosi su un fianco. Sui finestrini rotti si rifletteva la luce delle stelle. La grande massa di metallo della Cadillac ebbe un ultimo sussulto; il cofano si spaccò come un guscio d’uovo, eruttando pezzi arrugginiti che finirono semisommersi nella pozzanghera di olio, benzina, acqua e liquido per freni. Un breve guizzo di solidità percorse il telaio massiccio della vettura. Poi, con un gemito di protesta, i resti del motore caddero dai supporti corrosi e si posarono sull’asfalto.'
(L’occhio nel cielo, cap. 15)

'La strada stessa era in cattivo stato, solcata da crepe, da grosse buche, i margini erosi. Una conduttura crepata riversava acqua fangosa che stava formando un’enorme pozzanghera. I negozi e le automobili sui due lati della strada erano sporchi e in rovina. Tutto aveva un aspetto vecchio e consumato. [...] Un lurido caffè subito dopo aveva soltanto un paio di clienti, uomini dall’aspetto miserabile che indossavano sgualciti pantaloni da lavoro, e cercavano di leggere i loro giomali e di bere un fangoso caffè in tazzine che si spaccavano ed emettevano un rivoltante fluido marrone quando venivano tolte dal banco mangiato dai vermi.'
(Diffidate dalle imitazioni)

Una tale sensibilità per i processi di decadenza e disordine della materia è una componente importante di un più generale “problema della realtà” (→realtà/illusione) che si impone precocemente al giovane Dick.
Tuttavia in questa prima produzione la qualità, per così dire, ontologica dello sfaldamento della realtà è ancora limitata. In tutti e tre i casi citati essa ha una causa specifica che in qualche modo ne limita la portata. In 'Squadra riparazioni' si tratta di un lavoro sotterraneo e mascherato di manutenzione e “riparazione” della realtà (fatto da una misteriosa organizzazione che sembra →Dio) che il protagonista si trova a scoprire per un caso fortuito. In 'L’occhio nel cielo' lo sfacelo dell’automobile dipende dalla generale instabilità dei mondi creati dalla psiche di ognuno dei personaggi colpiti dall’incidente nel bevatrone (→follia); e il decadimento descritto in 'Diffidate dalle imitazioni' è quello degli oggetti imitati creati da un Biltong che sta perdendo la sua forza (→merce). Deterioramento e rovina cominciano a diventare più “strutturali” (se mi passate il bisticcio) e generalizzati in alcuni passaggi di →'L’uomo nell’alto castello' (“attorno a lui [Tagomi] ogni cosa era deteriorata”, cap. 14) per esplodere poi in →'Noi marziani' e →'Ma gli androidi sognano pecore elettriche'? Qui il processo di sfaldamento comincia a installarsi nel cuore stesso della realtà, tanto che Dick è costretto a inventare nuovi termini per indicarlo. Nel primo romanzo Manfred vede, nel futuro, la distruzione dei corpi e della civiltà concentrata nei grandi palazzi Am-Web sulle montagne FDR, che gli si presentano vecchi e cadenti. Ma questa visione, che emerge tardivamente, segna tutta la realtà del ragazzo anche prima di manifestarsi ed è, senza che gli altri personaggi si accorgano della connessione, il vero modo in cui tutti fanno esperienza di Marte, presentato fin dall’inizio come un pianeta arido e polveroso, dove la presenza umana, per affermarsi, deve combattere la tendenza spontanea della materia al disordine e alla confusione. Ecco una riflessione del potente Arnie Kott:
'Tutto Marte, si disse, era una specie di Humpty Dumpty: all’inizio si era creato uno stato di perfezione, e gli uomini e le loro cose erano caduti da quello stato a un altro, fatto di pezzi arrugginiti e di frammenti inutili. A volte gli sembrava di essere a capo di un enorme deposito di rottami.'
(Noi marziani, cap. 6; corsivo nostro)

Manfred esprime la sua esperienza del mondo con il termine gubble, un neologismo molto efficace dalla pluralità di significati, che si perdono nella pur indovinata traduzione italiana “putrío”. Il termine italiano sottolinea infatti, tramite l’assonanza con “putrido”, “putrescenza”, l’aspetto del decadimento, che nella parola inglese non è così diretto. In gubble confluiscono infatti, a livello fonetico, almeno tre diversi termini: gabble (= schiamazzo, borbottio), rabble (folla, calca), e gobble (trangugiare o gloglottare [di tacchino]). Per Manfred, che è uno schizoide autistico (→follia 1), il mondo si presenta quindi come il borbottare di gola di un ammasso di persone, una glossolalia collettiva. Decadimento e rovina perciò, in 'Noi marziani', si presentano in prima battuta sub specie linguistica. Paradossalmente, per certi versi, dato che a Manfred è preclusa, per effetto del suo autismo, proprio la dimensione del linguaggio; ma significativamente, visto che il disordine e lo sfacelo non sono evidenze dirette nell’esperienza dei personaggi, ma passano attraverso la mediazione di Manfred stesso. Ma gli androidi segna invece l’ingresso del processo di disorganizzazione del mondo nell’esperienza viva dei personaggi. Anche qui, naturalmente, c’è bisogno di una mediazione, di un personaggio a cui affidare la presentazione del processo, e questi è John R. Isidore, lo “speciale”, il “cervello di gallina”, che meglio di tutti può esemplificare uno stato di decadimento che lui pare percepire più degli altri ma che è esperienza comune. Il kipple (questo è il nuovo neologismo dickiano) si presenta quindi per la prima volta nel romanzo a proposito del palazzo di Isidore:
'Abitava da solo, in questo palazzo cieco e sempre più fatiscente, tra mille appartamenti disabitati. Un edificio che, come tutti quelli simili, cadeva, di giorno in giorno, in uno stato sempre maggiore di rovinosa entropia [into greater entropic ruin]. Con il tempo tutto ciò che c’era nel palazzo si sarebbe fuso – una cosa nell’altra – avrebbe perso individualità, sarebbe diventato identico a ogni altra cosa, un mero pasticcio di palta [mere pudding-like kipple] ammonticchiato dal pavimento al soffitto di ogni appartamento. E dopo di ciò lo stesso palazzo, senza che nessuno ne curasse la manutenzione, avrebbe raggiunto uno stadio di equilibrio informe, sepolto dall’ubiquità della polvere.'
(Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, cap. 2)

Ed è sempre Isidore a dare la definizione di kipple a enunciarne le leggi:
'La palta è fatta di oggetti inutili, inservibili, come la pubblicità che arriva per posta, o le scatole di fiammiferi dopo che hai usato l’ultimo, o gli involucri delle caramelle o l’omeogiornale del giorno prima. Quando non c’è più nessuno a controllarla, la palta si riproduce. Per esempio, quando si va a letto si lascia un po’ di palta in giro per l’appartamento, quando ci si alza il mattino dopo se ne ritrova il doppio. Cresce, continua a crescere, non smette mai.
[...]
C’è la Prima legge della Palta. “La palta scaccia la nonpalta.” [Kipple drives out nonkipple] Come la legge di Gresham sul denaro falso.'
(Ivi, cap. 6)

Questa volta la resa italiana introdotta nella più recente traduzione (la precedente manteneva il termine inglese) pare meno felice, intanto perché usa una parola esistente (“palta”) e non un neologismo, poi perché suggerisce una consistenza melmosa e semiliquida che è estranea alle descrizioni del kipple, che pare fatto di oggetti solidi, per quanto minuti o sminuzzati. Si vede, dalla prima citazione da 'Ma gli androidi', quale sia l’origine del kipple dickiano: è l’entropia, concetto scientifico (→scienza) che aveva precocemente colpito il nostro autore. Esso viene evocato esplicitamente, ma un po’ confusamente, da Jason Taverner all’inizio del capitolo 9 di →'Scorrete lacrime, disse il poliziotto': “Non c’è una legge della termodinamica che dice che il calore non si può distruggere ma solo trasmettere? Però c’è anche l’entropia”. In questo senso Dick può essere visto come il precursore di un uso metaforico del concetto di entropia che si diffuse negli anni Sessanta e Settanta, dentro e fuori la →fantascienza: dentro la fantascienza, soprattutto con autori new wave come Michael Moorcock e Norman Spinrad, ma soprattutto James Ballard ('Le voci del tempo', 1960); fuori, per esempio con Thomas Pynchon ('Entropia', 1960 e 'L’arcobaleno della gravità', 1973). Utilizzando l’idea dell’impossibilità di recuperare sotto forma di lavoro tutto il calore coinvolto in un qualsiasi scambio termico, con la
conseguente presenza di un’eccedenza negativa di energia (che è appunto l’entropia), Dick si riallacciava a una tradizione di narrativa catastrofica che aveva il suo simbolo nel grandioso finale di 'La macchina del tempo' di Herbert George Wells (1895), con l’immagine del sole che si spegneva. L’entropia che condanna l’universo a un’ineluttabile morte termica appare come una forza livellatrice di cui il kipple è solo l’araldo (“È un principio universale valido in tutto l’universo; l’intero universo è diretto verso uno stato finale di paltizzazione [kippleization] totale e assoluta.”, ivi, cap. 6). Per questo il kipple appare associato allo spopolamento del pianeta, al grande vuoto e al grande silenzio che l’emigrazione in massa sta lasciando sulla Terra. Solo nell’ultimo Dick il kipple sembra poter rovesciare paradossalmente la sua condizione di livellatore e di indicatore del disordine, quando la sua identificazione con la condizione tendenziale dell’universo è così totale e metafisica che al suo interno può manifestarsi l’unico essere per cui ordine e disordine, attività e inattività, vita e morte sono una cosa sola:
'In una sorprendente reazione alla crisi, il vero Dio si mimetizza con l’universo, con la regione stessa che ha invaso: assume le parvenze di bastoni e alberi eI lattine di birra ai margini della strada; finge di essere spazzatura gettata via, rottami di cui nessuno si cura. Appostato, il vero Dio tende letteralmente degli agguati alla realtà e a noi stessi. Dio, in verità, ci attacca e ci ferisce, nel suo ruolo di antidoto.'
(→VALIS, cap. 5)




Antonio Caronia e Domenico Gallo "La macchina della paranoia. Enciclopedia dickiana", AGENZIA X, 2006  CREATIVE COMMONS
(Philip K. Dick LA MACCHINA DELLA PARANOIA- Agenzia X)

1 commento:

  1. Giacomo: ho messo online questo brano del vostro libro (spero di non avere capito male cos'è il Creative Commons!) che si connette al mio post precedente dove parlavo dei vecchi manicomi, e di kipple (http://gconse.blogspot.com/2011/05/quello-che-il-manicomio-era-quando.html). spero di non avere fatto una stupidata. se vuoi (volete) lo cancello. il libro è comunque davvero bello, e non mi sono trattenuto. giacomo c.
    Antonio Caronia Perché dovresti cancellarlo? Creative Commons vuol dire proprio questo. Avresti dovuto chiedere il permesso solo se tu avessi voluto farne un uso commerciale, e avresti violato le regole se non avessi citato gli autori :) Quindi, tutto a posto - e anzi grazie per la citazione molto lunga...

    Giacomo Conserva OK- grazie ciao

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