giovedì 19 maggio 2011

'Andrea Alciati' [G.Conserva, 'POLISCRITTURE' n. 3, 2007]



   Il ‘libro degli emblemi’ di Andrea Alciati (1531, poi innumerevoli altre edizioni e traduzioni) fu un libro fondamentale; lo stile, i temi, i motivi furono alla base della fioritura enorme di opere di emblemi e imprese che caratterizzarono la civiltà europea nella seconda metà del ‘500 e nel ‘600. Un titolo- un’immagine- un commento (o narrazione): il tutto al servizio di una visione allegorica del mondo che Benjamin è stato fra i primi ad indagare; un mondo ossessionato dalla caducità e dalla vanità di ogni gloria e gioia terrena. Ma in Alciati (che fu un eminente giurista e docente, e operò fra il ducato di Milano, la Francia, la Germania, e di nuovo l’Italia, a quel punto saldamente dominata dagli Asburgo) il quadro è molto diverso: pace, equilibrio, misura; i mali del mondo esistono, vengono visti e analizzati- ma ragione e speranza permettono di guardarli per quello che sono, nel loro venire avanti e nel loro scomparire. Le immagini (aggiunte a posteriori) sono paesaggi rinascimentali, scene mitologiche, exempla- con un verismo tranquillo (e duro, a volte) che non sarebbe durato molto. La lingua è il latino degli scritti dotti del Rinascimento- piena però di un eloquio basso e tecnicismi, con un fermo aggancio al mondo effettuale.
   Dagli epigrammi greci (che Alciati collaborò a tradurre in una edizione inizio ‘500 della Antologia Palatina) viene desunta la capacità di riassumere in pochi tratti i dettagli di una situazione interpersonale e di una storia, e di collocarla in un mondo ben preciso (Quest’albero, questa curva del sentiero, questa pietra, questa montagna). L’enorme erudizione classica che sta a monte è non un peso ma, come negli Adagia di Erasmo (suo contemporaneo), uno strumento lieve e preciso per scandagliare gli eventi.
   Tutto ciò appunto non era destinato a durare (il traduttore di Erasmo in francese venne condannato al rogo a metà del ‘500).- ben altro tono venne assunto dalle culture in lotta al tempo delle guerre di religione e della guerra dei 30 anni (per non parlare della conquista delle Americhe). “Con i suoi lutti, con i suoi danni/ la guerra è tanto tempo che c’è”.
   Pure, un po’ di quella serenità dura.


Andrea Alciati, ’A book of emblems. –The Emblematum Liber in Latin and English’, a c. di John F.
          Moffitt, Mc Farland, 2004.
Walter Benjamin, ‘Il drama barocco tedesco’, Einaudi. 1980  (1928).
Albrecht Schöne, ‘Emblematik und Drama im Zeitalter des Barock’, Beck, 1993 (1a ed. 1964).
Erasmo da Rotterdam, ‘Adagia’, Salerno, 2002  (scelta parziale, con il testo a fronte).




Emblema CLXXVIII  (177 nell’edizione di Moffitt)
Ex bello pax


Dopo la guerra, la pace

Ecco un elmo, portato un tempo da un intrepido soldato, e spesso cosparso del sangue dei nemici. Adesso che c’è la pace, ha permesso alle api di usarlo come alveare, e i favi producono dolce miele.-  Che le armi rimangano da parte;  che sia lecito iniziare la guerra solo quando non si possono altrimenti godere le arti della pace.

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