“And what
is the use of talking, and there is no end to talking,
There is no
end to things in the heart.”
Ezra
Pound, "Exile's Letter", RIHAKU (Li Po)
Heidegger è stato antisemita? Di che tipo di antisemitismo si tratta? La Judenfrage è davvero il cuore degli Schwarze Hefte? Che tipo di responsabilità si possono ascrivere alla filosofia di Heidegger davanti all’orrore dell’Olocausto? Perché questa ossessione solo per il “caso Heidegger” e non nei confronti di altri filosofi, dichiaratisi apertamente antisemiti e nazisti? E perché questo diffuso anti-heideggerismo di ritorno? Come collocare l’interpretazione di Heidegger nella storia della filosofia dopo la pubblicazione dei Quaderni Neri? Ha senso pronunciare ora, allo stato attuale della pubblicazione della Gesamtausgabe, giudizi definitivi o tentare ricostruzioni a posteriori? Queste sono alcune delle domande alla base del libro. Il lavoro sulle Überlegungen II-XV e sul recentissimo volume delle Anmerkungen I-V ha rappresentato un’occasione importante per praticare un’ermeneutica scrupolosa e libera da ideologie di ogni sorta; per riflettere sui molti temi contenuti nei Quaderni Neri e problematizzarne le domande radicali, rinunciando alla dicotomia delle risposte che vedono gli interpreti dividersi fra apologeti e detrattori. Ciò che è emerso da questo lavoro è che il pensiero di Heidegger, anche quello caratterizzato dalle affermazioni più abissali e dal buio della storia che le ha alimentate, è qualcosa di più dell’affaire Heidegger. Forse Gadamer non ha mai avuto torto: «Se uno è convinto di essere “contro” Heidegger – o anche se crede semplicemente di essergli “favorevole” – si rende ridicolo. Non è così semplice passare davanti al pensiero».
[Dal catalogo di Aguaplano, presentazione del libro]
PREMESSA
(pp. 7-12 del libro)
Ci sono libri che si tenta di scrivere come se si
rincorressero, quasi inseguendoli, dal momento
che si stagliano nel proprio cammino di pensiero
come delle mete da raggiungere, o come un
traguardo già raggiunto; e libri che si scrivono
senza andarne alla ricerca. Questo libro rientra
a pieno titolo nella seconda categoria: non è stato
cercato, non era fra gli obiettivi recenti da
conseguire bensì è accaduto, con tutta la
problematicità che questo accadere ha
comportato, sia nei termini di progetti lavorativi
da riorganizzare, sia della relazione che la mia
educazione filosofica ha con il pensiero di Martin
Heidegger.
Quasi tutta la mia formazione ruota intorno a
Heidegger, se si escludono quegli amori filosofici
a cui non ho mai (o quasi) dedicato scritti destinati
alla pubblicazione. Dapprima con studi che
si ponevano a cavallo fra la metafisica e il suo
oltrepassamento; in un secondo momento con
lavori sul pensiero poetante; infine, e per lungo
periodo, con un intenso lavoro
sull’Auseinandersetzung con Hegel e l’idealismo
tedesco, Heidegger è l’autore con cui mi sono
confrontata e anche scontrata, cercando
costantemente di sottrarmi alla fascinazione che
il suo pensiero esercita, eppure riconoscendogli
la possibilità di essere ancora fecondo di
interrogativi validi per il nostro tempo.
Negli ultimi anni, il mio rapporto con il Denkweg
heideggeriano è stato declinato in settori che
coniugano la filosofia con le scienze mediche, con
particolare attenzione all’intersezione tra la
fenomenologia e la psichiatria, settori distanti dai
temi che questo libro tratta. Venendo da studi
interdisciplinari e da esperienze di lavoro con
alcuni psichiatri nel Regno Unito, nei miei
programmi per l’anno appena trascorso non
rientrava lo studio del materiale contenuto nei
volumi 94-97 della Gesamtausgabe con il fine
di trarne un libro: mi ero proposta di leggere quei
testi solo per mia personale curiosità e
formazione. Ma come tutte le storie che stanno
dentro a un libro, anche quella che sto
raccontando ha preso altre strade.
Alterne vicende mi hanno portata ad assumere
l’impegno di curare questo libro: da un lato,
un’idea nata dall’esperienza di redazione per la
rivista di filosofia «Kasparhauser» è maturata con
l’intenzione di capire il cuore autentico dei
Quaderni heideggeriani; dall’altro, nel corso degli
ultimi mesi ho assistito a un proliferare di studi, di
interventi sulla stampa, di dibattiti e anche di
gossip che mi hanno creato non poco imbarazzo e
perplessità. Per tutta una serie di motivi.
In primo luogo, il fattore linguistico – se si vuole il
primo scoglio contro il quale si urta quando ci si
avvicina a questi volumi. Essendo disponibili fino a
oggi soltanto in tedesco, mi sono chiesta
quanti studiosi, fra coloro che si sono prodotti in
commenti e articoli, abbiano davvero preso in
mano i testi e portato a compimento la fatica, a
tratti snervante, di leggere nella lingua di
Heidegger: il tedesco “piegato” alle esigenze del
suo pensiero e a uno stile complesso, denso,
ricco di variazioni formali e manierismi. Partendo
dalla personale impressione in base alla quale
pochissimi in italia hanno compiuto questa fatica,
mi sono chiesta come sia stato possibile che
alcuni autori abbiano espresso valutazioni
sull’antisemitismo di Heidegger senza aver avuto
accesso al testo; ciò ha fatto sorgere in me la
domanda sulla legittimità di quelle valutazioni,
chiedendomi se esse siano state formulate
tenendo conto del testo scritto da Heidegger –
cioè a partire da un confronto serrato e critico con i
quattro volumi finora editati.
In secondo luogo, ho assistito a un
(in)consapevole uso della petitio principii come
metodologia con cui scrivere sui Quaderni
Neri, ancora una volta senza infilarci il naso, senza
leggerli, senza problematizzarli, senza prendersi la
briga di confrontarli con ciò che Heidegger
scriveva in quegli stessi anni. Ho letto pagine
contenenti fallacie mereologiche e conseguenti
bias di conferma che non portano alcun
sostanziale contributo alla comprensione del
pensiero di Heidegger dopo la pubblicazione di
questi primi quaderni: rimangono sulla loro soglia,
convalidano le anticipazioni e le ipotesi del singolo
studioso, alimentano la polemica ma non
conducono alla comprensione di ciò che
in questi libri è scritto. In assenza di
un’ermeneutica dei Quaderni Neri, che mi sembra
necessaria e urgente, si è scritto di tutto, persino
di ciò che in questi volumi non c’è. L’inclinazione al
sensazionalismo, unita alla diffusione di passaggi
degli Schwarze Hefte estrapolati dal loro contesto,
ha reso la comprensione di questo materiale
ancora più problematica di quanto già non fosse in
nuce. È bastato poco, dunque, a fare in modo che
il pregiudizio assumesse la forma della sentenza,
in un processo mediatico che nulla ha a che
vedere con il silenzio e il rigore tipico della ricerca
scientifica. Si è arrivati così persino a proporre
l’esclusione di Heidegger dalla storia della filosofia
in nome delle proposizioni antisemite
presenti in questi volumi: un po’ come se si
volesse estromettere l’opera poetica di Rimbaud
dalla storia della letteratura a seguito
del commercio di schiavi e armi a cui si dedicò dal
1885 in Africa – gesta, queste, che, per quanto
possano essere considerate riprovevoli, mai
potranno cancellare l’esperienza poetica che si
consumò nell’adolescente di Charleville.
In terzo luogo, il fattore consumistico: a fronte
della pubblicità che i quattro libri hanno ricevuto,
si è assistito a un voler scrivere di Heidegger e su
Heidegger a tutti i costi e senza precedenti,
senza magari avere la necessaria, chiara e
profonda conoscenza dell’autore, requisito
essenziale per muoversi con scaltrezza nelle
maglie che il suo linguaggio crea (quello che
sarcasticamente viene definito “heideggerese”):
senza andare al cuore della sua
riflessione, per sollevarne sia i limiti che i meriti,
fondatamente.
A scanso di equivoci, forse è bene ricordare che
anche i più attenti studiosi italiani di Heidegger,
laddove vogliano attingere al testo dell’autore,
debbono comunque fare i conti con la carenza
di traduzioni in italiano: attualmente, gli scritti di
Heidegger pubblicati in italiano sono poco più
della metà (un totale di 54 volumi in lingua italiana
sui 97 editati nella Gesamtausgabe). In alcuni
casi è possibile aggirare questa empasse mediante
traduzioni in lingue diverse dall’italiano e dal
tedesco, tuttavia alcune opere fondamentali
dell’autore sono in commercio soltanto in lingua
originale.
Inoltre, le vicende legate alla Martin-Heidegger-
Gesellschaft hanno creato scenari politici per i
quali manca un vero interesse con cui lavorare
criticamente e seriamente su Heidegger: i rumours
sulle vicende che legano autorevoli studiosi al
nome di Heidegger hanno costituito l’occasione
giusta per alimentare pubblicità e rafforzare una
certa immagine del filosofo piuttosto che un’altra.
Infine, spesso ho còlto in numerosi scritti la
tentazione di rintracciare la verità piuttosto che
l’esigenza di comprendere. Chiunque si perita nel
filosofare sa che tentazioni di questo genere
scambiano la pretesa di aver ragione con il
bisogno di ragione, espressione quest’ultima
che dovrebbe richiamarci alla lezione kantiana. A
volte mi è sembrato fin troppo chiaro anche come
fossero alcune ideologie a muovere gli interpreti
piuttosto che l’amore per il sapere e quella libertà
necessaria ed essenziale che da esso si irradia.
in particolar modo, ho notato come in italia la
ricezione dei volumi in questione sia stata una
faccenda da gossip, come se si volesse spiare dal
buco della serratura il pensiero e la vita di
Heidegger. Questa modalità di avvicinarsi al testo
heideggeriano rischia di guidare su sentieri che
non solo si interrompono nel bosco (per usare
un’espressione nota dell’autore), ma che
inesorabilmente conducono verso precipizi nei
quali si rischia di cadere a causa di un terreno
fin troppo franabile: cuique interpretandi usu suo.
Se in un qualche modo la filosofia ha a che fare
con l’esercizio della parresia, che non solo è
“amore per la parola” ma esercizio alla verità
nei termini di un tendere ad essa, allora occorre
confrontarsi con i volumi 94-97 della
Gesamtausgabe nella loro interezza, sforzandosi
di entrare nella cornice storica in cui furono redatti,
non solo tenendo presente la formazione del
Denkweg heideggeriano in quegli anni, ma anche
la molteplicità e la complessità dei temi che li
caratterizzano, senza ridurli a un unico
denominatore comune: nello specifico, la
questione antisemita, la quale, pur attraendo e
incuriosendo il lettore, occupa
nei quattro volumi uno spazio esiguo. Detto
diversamente, gli Schwarze Hefte non sono un
trattato di antisemitismo, non sono le
confessioni di un filosofo sull’antisemitismo, e non
sono nemmeno il tentativo mal costruito di
giustificare l’adesione al regime nazionalsocialista
da parte di Heidegger. Gli Schwarze Hefte sono
piuttosto una sorta di cantiere a cielo aperto
attraverso cui la filosofia di Heidegger si viene
costruendo: essi mostrano come l’uomo e il
filosofo siano immersi nelle vicende storico-
politiche della propria epoca e come queste
vengano pensate in riferimento al ruolo che la
filosofia deve occupare nelle faccende umane; in
tal senso, gli indiscussi protagonisti degli Hefte
sono la filosofia e il suo inattuale esercizio.
Non solo: i Quaderni Neri raccolgono
considerazioni preziose sui fatti del Rettorato
(1933-34); sull’adesione al nazismo e sulla
successiva rottura con esso; sulla figura di Hitler e
sulle aspettative riposte in quel clima politico. Essi
mostrano come questi argomenti, al pari di molti
altri collegati, costituiscano dei fatti
biografici chiari e, contestualmente, come meno
chiare siano le implicazioni filosofiche che questi
fatti hanno rispetto al pensiero di Heidegger.
Senza una cornice ermeneutica di riferimento, e
mentre montano le polemiche sul fallimento della
filosofia continentale rispetto a quella analitica di
fronte all’affaire Heidegger, problematizzare le
implicazioni filosofiche delle convinzioni
personali del filosofo è la scommessa più rischiosa
che attende gli interpreti dei Quaderni Neri.
Dopo aver raccolto i saggi che compongono
questo volume, è stato pubblicato da Klostermann
il volume 97 della Gesamtausgabe, di cui in
questo libro si rende ragione nell’appendice, scritta
fra marzo e aprile di quest’anno. in essa non solo
ho proposto la traduzione di alcuni brani delle
Anmerkungen, ma ho ripreso e ampliato alcune
idee presenti sia nell’introduzione che nel
mio saggio.
Questo testo non ha la pretesa di offrire
l’interpretazione par excellence dei Quaderni –
che, si ricordi, sono ancora in via di
pubblicazione: vorrebbe piuttosto configurarsi
come uno strumento la cui utilità sarà testata
non appena si disporrà delle traduzioni ufficiali in
lingua italiana degli Schwarze Hefte. Seguendo
una bella metafora di Foucault, lo pensiamo come
una “cassetta degli attrezzi” dalla quale andare a
pescare un determinato strumento di lavoro
allorquando si ha un problema da risolvere.
Le riflessioni qui raccolte costituiscono anche un
tentativo di destrutturazione di molti costrutti
pregiudizievoli che orbitano intorno a Heidegger:
dalla presunta purezza del pensiero heideggeriano
al cliché dell’intellettuale impegnato e al servizio
del regime. Alla loro base vi è la chiara volontà di
problematizzare ogni aspetto della filosofia
heideggeriana: se queste riflessioni contribuissero
a smantellare la tentazione di acquietarsi su
interpretazioni ritenute definitive e a dare
nutrimento a quell’inquietudine che rende genuino
il bisogno di comprensione, allora questo libro
potrebbe essere giustamente collocato in quello
“stare” nelle domande di cui Heidegger è
testimone – in tutte le domande, anche in quelle
più scomode, occorre pensare e comprendere
sine ira et studio anche ciò che non si condivide.
F.B. Freiburg im Breisgau, 6 aprile 2015
http://aguaplano.eu/index.php?content=brencio_pieta_catalogo
[contiene anche il link a un estratto di 16 pp del libro]
LINKS
-http://aguaplano.eu/index.php?content=brencio_pieta_catalogo.
-http://de.wikipedia.org/wiki/Schwarze_Hefte.
-http://fr.wikipedia.org/wiki/Cahiers_noirs.
SCHWARZE
HEFTE (Libri Neri), Martin Heidegger:
GA bd.94-96:
Überlegungen
II-VI (Schwarze Hefte 1931-1938)
Überlegungen
VII-XI (Schwarze Hefte 1938/1939)
Überlegungen
XII-XV (Schwarze Hefte 1939-1941)
______________________________________________________________________
("La pietà del pensiero. Heidegger e i Quaderni Neri"
a c. di Francesca Brencio, AGUAPLANO 2015, 394 pagine)
Premessa 7
Ringraziamenti 13
Introduzione 19
Ángel Xolocotzi
Yáñez
Il pubblico e il privato. Il posto dei Quaderni
Neri
negli scritti di Martin Heidegger 47
Sonia Caporossi
Il silenzio di Heidegger e la sua ricezione in Italia:
una
proposta di lettura 67
Francesca
Brencio
“Heidegger, una patata bollente”.
L’antisemitismo
fra critica alla cristianità e
Seinsgeschichtlichkeit 107
Marco Casucci
Ancora su Heidegger e il nazismo?Inutile apologia
dell’inattualità del filosofare,
a partire dagli Schwarze Hefte
(1931-1941) 187
Luis Alejandro
Rossi La comunità come problema politico in Essere e tempo
247
Francisco
Gómez-Arzapalo y V.
Heidegger e il nazismo:
seduzione e
delusione di un percorso erotico 289
Paolo Beretta
Essere in errore. Tra la γιγαντομαχία περί τῆς
οὐσίας
e l’orizzonte dell’infinito 315
Michael Kraft
L’essere e la politica nei Quaderni Neri di Heidegger
*
Francesca
Brencio
Appendice. La “fuga” dell’essere.
Dalle
Überlegungen alle Anmerkungen 369
*
Gli autori
389
__________________________________________________
__________________________________________________
L'uomo. _ La serie ordinata di giorni e notti spinge la "vita" umana verso una "lunghezza", e fa sì che essa, misurata a paragone delle migliaia di anni, appaia insieme "breve". Quanto ineliminabile e insieme esterna è questa rappresentazione dell'Essere dell'Uomo. Poco ancora si è impegnato l'uomo nella domanda attorno allo spazio disponibile per il suo divenire. Giunge sempre solo a scorgere quello strato superficiale nel quale egli si lascia spingere in una direzione o in un'altra, evitando di riconoscere di essere lui stesso che dà la spinta al movimento. (mia trad.) ]
_______________________________________________________________
Francesca Brencio (Spoleto, Italy – 1976), Phd in Philosophy and Human Sciences, is Adjunct at the School of Humanities and Communication Arts at the University of Western Sydney (Australia).
As a scholar of Martin Heidegger, she has published on a wide range of topics related to the philosophy of Hegel and Heidegger in several collaborative book projects and journals; her works has been focused on the relationship between Heidegger’s philosophy and German Idealism, with a special attention to the role played by Hegel. Lately her field of investigation moved into Heidegger’s phenomenology and its relationship with psychology and psychiatry.
Visiting Research from novembre 2012 - till November 2013 Albert-Ludwigs Univeritaet - Freiburg im Breisgau
Supervisor: Prof. Dr. B. Casper Theologische Fakultät Arbeitsbereich Christliche Religionsphilosophie mit der Forschungsstelle für jüngere französische Religionsphilosophie Research Project: Martin Heidegger and the Philosophy of Religion
Post-Doctoral Research Fellow from novembre 2013 - onward at Albert-Ludwigs Univeritaet - Freiburg im Breisgau
Supervisor: Prof. Dr. Dr. A. Wiercinski Theologische Fakultät Arbeitsbereich Christliche Religionsphilosophie mit der Forschungsstelle für jüngere französische Religionsphilosophie Research Project: Zollikon's Legacy. Martin Heidegger between Hermeneutics, Psychology and Psychiatry.
https://uws.academia.edu/FrancescaBrencio
APPENDICI:
1. Tobia:
intorno ad una promessa (F.B.)
Ricordo
quando l’incontrai, quell’uomo che di uomo aveva solo la
sembianza. Un giovane alto, asciutto, dalla pelle ambrata, occhi neri
come la notte, con il capo coperto per impedire alla polvere alzata
dallo Shamal di infilarsi dentro quei ricci che spuntavano
prepotentemente dalla fronte.
Vagava
da solo nella strada del mercato, fermo vicino alla vasaia, scrutava
le brocche ma spesso girava il capo verso me e i vecchi: ascoltava i
loro suggerimenti e mi guardava.
Era
chiaro che avessi bisogno di una guida ma i vecchi mi dicevano che
anche da solo sarei potuto arrivare nella Media, due giorni di
cammino con brevi soste e sarei arrivato. Forse vedeva quella
titubanza sul mio volto, forse sentiva il mio smarrimento, forse
avvertiva che ero preoccupato per mio padre. Eppure sapeva che il suo
posto era nel mio viaggio e che lui avrebbe guarito ciò che di
malato c’era nella nostra vita, in quella di Sarah e nella mia. Il
suo nome lo diceva ma io non lo capivo, allora: Rafa’el è già una
promessa, Dio guarirà.
Sapeva
Raffaele. Ma taceva.
Non
avevo mai conosciuto prima di allora Gabael; in casa ne sentivo
parlare, doveva molto a mio padre e era un uomo giusto. Aveva in
deposito quei dieci talenti d’argento che mio padre voleva
riprendessi prima della sua morte. Dieci talenti d’argento: una
ricchezza, sarebbe stata la fine della nostra miseria e Tobi sarebbe
morto sapendoci bene, nella misericordia del Signore e con del cibo
in casa. Certo, partire così, lasciandolo ora che sentiva la fine
dei suoi giorni vicina, partire con il cuore colmo di angoscia: se
fossi tornato e lui era già morto? Quella paura, sì, quella paura
che ti assale il petto, che ti mangia quando sai che non puoi averne,
che il desiderio di un padre morente deve esser soddisfatto prima che
la mano del Signore arrivi. Quella paura di essere in ritardo sul
tempo e non poter sentire sul mio capo il respiro caldo di mio padre.
Tobi,
santo e misericordioso Tobi! Padre mio, buono e colmo di saggezza!
Ancora oggi che la mia barba è bianca e i capelli non coprono più
il capo ricordo le tua mani: grandi, rinsecchite, mani con cui
conoscevi il tuo mondo. Tobi, deportato con la mamma in questa terra
di Ninive che non smette mai di farci piangere Israele, custode
dell’infedeltà del popolo, che per troppo amore per il popolo
perdesti la vista. I tuoi occhi erano le mie parole e quelle della
mamma, i tuoi sorrisi accompagnavano le mie canzonature quando ti
raccontavo le cose che non erano – e la mamma mi sgridava.
“Lascialo Anna – dicevi – i miei occhi sanno vedere i suoi
scherzi ed è giusto che Il Santo metta la gioia sulla bocca dei
piccoli!”.
Tobi,
mio amato padre!
“Ama
Tobia, ama con cuore puro i tuoi fratelli! Non permettere
all’orgoglio di seminare nel tuo animo, sii misericordioso e
ricordati di chi ha meno di noi. Dai secondo i tuoi averi, non
disprezzare alcun consiglio e in ogni circostanza benedici il Signore
e domanda che ti sia guida”. Quante volte padre mio mi ripetevi
queste parole? Quante volte sorridevo davanti a queste parole perché
già ne conoscevo l’ordine e riconoscevo l’andatura della voce!
Quante
volte, padre mio, ho pensato a te e a Raffaele: un cieco che nulla
vede e un angelo che tutto vede.
“Cerchi
una guida per la Media?” – mi disse.
“Sì,
ne conosci di brave? Non ho denaro per ora, pagherò al ritorno.”
“Vengo
io, conosco la strada. Saremo lì per tempo. Al denaro ci penseremo
poi.”
Non
so quale follia mi spinse ad accettare subito, senza indugio,
l’offerta di quell’uomo. Quegli occhi neri mi infondevano
sicurezza. Quegli occhi. Occhi con cui vedere, occhi con cui sapere,
occhi da guarire.
Andammo
da mio padre, parlammo insieme tutti e tre. Tobi chiese ripetutamente
chi fosse, da quale tribù venisse e Raffaele disse di esser figlio
di Anania e di chiamarsi Azaria. Mio padre ci benedì e partimmo il
giorno stesso, io ed Azaria dagli occhi neri.
Camminammo
a lungo, fino al calar del sole. Raffaele era taciturno, proseguiva
con passo spedito, come se quei piedi conoscessero la strada. Lo
seguivo, non camminavo al suo fianco. La mia paura era davanti a me:
“Signore, fammi tornare con i talenti da Tobi vivo, Signore, non
strapparmi da mio padre in una terra che non conosco!”. Queste
parole ancora oggi le ricordo. La mia paura.
Ci
fermammo sul fiume la sera, per mangiare qualche pesce e lavare i
piedi. Fu lì che Raffaele mi dette il primo insegnamento: il cuore,
il fegato e il fiele di quel pesce che stava per mordermi il piede
possono essere dei buoni medicamenti; il cuore e il fegato scacciano
i demoni, se li bruci; il fiele può esser spalmato sugli occhi
malati.
“Demoni
– pensai - ci mancano solo i demoni! Il Signore ce ne liberi.
Dobbiamo sbrigarci, riposare il giusto, e andare da Gabael in fretta.
Demoni: chi può avere dei demoni? Ah, questo Azaria deve aver perso
la testa a forza di frequentare i Medii. Dormi Tobia, il viaggio è
lungo”.
All’alba
partimmo. Le nostre teste erano coperte per il sole e una puzza di
pesce veniva fuori dalla mia sacca. Camminammo tutto il giorno finché
arrivammo ad Ecbàtana; abitava lì Raguele, parente mio padre,
potevamo riposare da lui ma esitavo. Raguele aveva una figlia, Sarah,
che era malata e contagiava tutti con la sua malattia al punto da far
morire i suoi precedenti mariti. Ci mancava solo di prenderci un
morbo e morire anche noi, prima di tornare da Tobi.
Raffaele
conosceva questi pensieri che si agitavano nel mio petto. Mentre
procedevamo, si fermò, scoprì il capo e mi guardò con i suoi occhi
neri come la notte: “Tobia, dobbiamo andare da Raguele e tu devi
guarire Sarah. Ci fermeremo lì per la notte e tu la prenderai in
sposa, brucerai il cuore ed il fegato del pesce nella vostra stanza
così i demoni verranno scacciati e lei sarà libera di amarti e
renderti padre. Pregherete poi affinché la benedizione del Signore
scenda su di voi…”
Lo
interruppi: che stolto che fui!
“Azaria!
Non sono venuto in Media per prender moglie! Non vado in casa di
malati per contagiarmi. E poi mi parli di demoni, di una guarigione,
di diventare padre. Non è questo il motivo per cui siamo qui. Lo
ricordi? Gabael, riprendere i talenti e tornare da Tobi. Ecco il
motivo!”
“Tobia,
Sarah ti è stata destinata dall’eternità. Tu la guarirai, tu
l’amerai.”
Destinata
dall’eternità. Il mio cuore si fermò.
Che
ne sapeva Azaria di cosa è l’Eterno? Come poteva pensare la testa
di un piccolo uomo l’eternità?
Quella
frase risuonava – nella testa, nelle vene, nel volto: dall’eternità
Sarah era stata pensata per me. Pensata, creata ed amata per me. Il
Santo aveva pensato a me, a questo piccolo uomo, per lei. Sarah –
mia sposa, amore mio. Sarah, compagna e moglie, amica e sorella.
La
mano del Signore fu potente sul mio capo: mutai i miei pensieri ed
accettai di seguire le parole di Azaria. Andammo da Raguele per la
notte ed io incontrai Sarah.
Il
mio cuore non seppe più distogliersi da lei. Sarah, creatura
splendida, perfezione del Santo. Sarah, che presa da Asmodeo e dal
dolore della sua umanità calpestata voleva impiccarsi. Sarah, che
non poteva amare.
Ebbi
fiducia in Azaria: bruciai il cuore e il fegato del pesce nella
stanza di Sarah.
Ella
guarì. Per sempre.
Chi
l’avrebbe mai detto che dal pesce può annunciarsi la salvezza? E
lì, in quella terra che non è era casa mia, sposai Sarah.
Fu
Azaria a proseguire per la Media, a riprendere i talenti e portare
con sé ad Ecbàtana Gabael per festeggiare le nozze.
Tutto
ero compiuto.
Dopo
quei quattordici giorni di nozze, ora potevamo tornare da Tobi, con i
talenti ed una moglie.
Tornai
da Tobi. Non appena mamma ci vide da lontano, corse a riferire a Tobi
che eravamo tornati. Venne fuori dalla casa mio padre, sostenendosi a
stento, inciampando; il volto tradiva la pena della mia lunga
assenza, le mani mi cercavano nel vuoto prima di afferrarmi.
“Padre,
eccomi, sono tornato”.
Tobi
pianse, della gioia dell’abbraccio, del compimento della promessa,
del tempo che aveva vinto sulla sua morte. Lo strinsi al mio petto,
baciai quelle mani. E poi ricordai le parole di Azaria, pronunciate
prima di arrivare a Ninive : “Spalma sugli occhi di tuo padre il
fiele del pesce. Abbi fiducia Tobia! Gli occhi si apriranno”.
Così
feci: chiesi a mio padre di avere fiducia e spalmai il fiele del
pesce sui suoi occhi.
Guarirono.
Tobi
vide e piangendo disse che mi vedeva, che per la prima volta vedeva
suo figlio, e rivedeva Anna, e tutto ciò che intorno non era più
ombra. Tobi vide Sarah, vide Azaria, vide e fu visto dalla gente del
villaggio camminare con il vigore di una volta e piangere di gioia.
Tobi
vide.
Eppure,
in questi miei ricordi, non c’è solo la gioia del padre cieco che
venne guarito o quella delle nostre nozze a Ninive; tra di essi si
staglia il volto di Raffaele quando mio padre ed io gli dicemmo di
prendere la metà dei nostri bene come ricompensa. Sorrise: fu la
prima volta da quando lo incontrai. Ci disse: “E’ bene tenere
nascosto il segreto del re, ma è cosa gloriosa rivelare e
manifestare le opere di Dio.” Ci invitò a pregare, non volle
denaro. Rimanemmo senza parole. Quale giusto fra i giusti avrebbe
rifiutato una ricompensa? Quale pio fra gli uomini avrebbe solo
sorriso e chiesto di pregare?
Si
allontanò Raffaele, subito dopo le nozze. Dovetti lasciare Sarah,
mio padre e mia madre, gli amici e la gente del villaggio per
seguirlo, correndo.
“Azaria,
Azaria!”
“Che
fai qui, Tobia? Oggi è giorno di gioia. Tua moglie e tuo padre ti
stanno aspettando”.
“Dove
vai Azaria? Rimani con noi, vieni a festeggiare!”
“Devo
andare Tobia, devo tornare a casa”.
“E
dove abiti?”
“Lontano”
disse sorridendo “Molto lontano”.
Lo
Shamal si stava alzando e lui si coprì il capo. Mi sorrise. Mi disse
solo: “Raffaele, mi chiamo Raffaele, Tobia. Dio ha guarito”.
E
se ne andò.
Non
c’è giorno della mia vita, da allora, che non pensi a Raffaele.
Nonostante gli anni, nonostante le gioie e i dolori che Il Santo ci
ha donato, nonostante i capelli grigi di Sarah che non ne sviliscono
la bellezza, ogni giorno io penso a Raffaele. E come ogni giorno,
anche oggi, sorrido pensando a lui e mi ripeto “Dio ha guarito”.
[Questo
racconto è liberamente tratto dall'omonimo libro della Bibbia e non
nutre alcuna pretesa di dignità teologica. E' un esercizio di parole
intorno alla storia di un uomo e ad una promessa]
2. Euripide, Ippolito, vv.1104-1110
(coro)
ἦ μέγα μοι τὰ θεῶν μελεδήμαθ᾽, ὅταν φρένας
[ἔλθῃ,
λύπας παραιρεῖ ξύνεσίς τε: τίν'ἐλπὶδι κεύθων
λείπομαι ἔν τε τύχαις θνατῶν καὶ ἐν ἔργμασι
λεύσσων;
ἄλλα γὰρ ἄλλοθεν ἀμείβεται, μετὰ δ᾽ ἵσταται
ἀνδράσιν αἰὼν
πολυπλάνητος αἰεί.
(S.T.Coleridge): In very deed the thoughts I have about the gods, whenso they come into my mind, do much to soothe its grief, but though I cherish secret hopes of some great guiding will, yet am I at fault when I survey the fate and doings of the sons of men; change succeeds to change, and man's life veers and shifts in endless restlessness.
Dawn comes to the Badwater Basin
3:a fit discovery complementing the post:
Badwater Basin (DEATH VALLEY)
"It is death and survival we are talking about, in our death Valley!"
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