sabato 16 giugno 2012

Stills da una discussione: psichiatria, etnologia, what else


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massimo: ...credo che l'impegno di ricerca della psichiatria deve aprirsi nel dentro/fuori la cosiddetta malattia mentale, tra normalità e anormalita delle patologie culturali e ancor più comunicazionali secondo quella impostazione critica che, penso, tutti seguiamo. in questo senso l'etnografia come ricerca sul campo e una riflessione antropologica parzialmente generale potrebbe dare risultati sorprendenti e politicamente pragmatici...

giacomo: parlando di antropologia, le cose che più mi hanno colpito sono il libro di Bastide sul candomblè di Bahia, e forse ancora di più l'ultima parte di 'Afrique fantôme' di Leiris- quella dedicata all'Etiopia- nel senso che lì mi sono sentito a contatto (in parte sommerso) da un qualcosa di assolutamente altro e insieme assolutamente umano, con cui poi p.e. nel caso di Leiris si intrecciano relazioni molteplici ('storie' in senso lato: di morte, desiderio, antagonismo etc). Sono pienamente d'accordo che bisogna allargare la nostra immagine di 'umano', di 'mondo' etc se non vogliamo semplicemente aiutare la riproduzione allargata del capitale (o del dominio). Per me questo si connette anche al discorso sugli stati alterati di coscienza. Se non li ammetto e/o sperimento, come faccio a accompagnare in un suo viaggio chi ne sta venendo magari frantumato? Perchè devo considerarmi al di sopra, o fuori dal gioco? Davvero desidero 'normalizzare' come mission (come si dice)? O pensare che si tratti solo di mediatori chimici cerebrali?

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