domenica 2 ottobre 2011
Quando arriveremo alla città [R.Bradbury, 'Fahrenheit 451', 1953, fine]
«E questa notte che cosa si dovrà fare?» domandò Montag.
«Attendere» disse Granger. «E spostarci un tantino a valle del fiume, non si sa mai...»
Cominciò a gettare polvere e terriccio sul fuoco.
Gli altri lo imitarono, e anche Montag lo imitò, e là, nel deserto della loro tebaide, gli uomini lavorarono d'accordo, con le mani, cosicché spensero il fuoco tutti insieme.
Stavano ora sulla riva del fiume, nella luce delle stelle.
Montag guardò il quadrante luminoso del suo orologio impermeabile. Le cinque. Le cinque del mattino. Un altro anno era passato nel ticchettio di una sola ora e l'alba attendeva, oltre la riva più lontana del fiume.
«Perché vi siete fidati di me?» disse Montag.
Un uomo si mosse nelle ombre dense.
«La tua faccia ci è bastata. Tu non ti sei visto, in uno specchio, in questi ultimi tempi. Del resto, la città non si è mai troppo curata di noi, per prendersi il disturbo di una caccia all'uomo così complicata, per stanarci. Un pugno di vecchi strambi, con la testa piena di versi, non può dar loro noia, lo sanno bene, e noi pure lo sappiamo; tutti lo sanno. Finché la maggioranza della popolazione non se ne andrà errante pel mondo a citare la Magna Charta o la Costituzione, tutto andrà a gonfie vele. La milizia del fuoco è sempre bastata a impedire questo, con qualche controllo ogni tanto. No, le città non ci danno preoccupazioni. E poi la tua faccia parla meravigliosamente chiaro.»
Camminavano lungo la riva del fiume, verso il sud. Montag cercava di vedere i volti degli uomini, le vecchie facce che ricordava di avere intravveduto alla luce del fuoco, stanche e rugose. Cercava una vivacità su quei volti, una risolutezza, un trionfo sul domani, che ben difficilmente potevano trovarvisi. Forse, s'era aspettato di vedere le loro facce risplendere, ardere della cultura che celavano;
fulgide come lanterne, per la fiamma dentro. Ma tutta la luce era venuta dal falò e quegli uomini non erano parsi differenti da altri che avevano fatto una lunga corsa, compiuto lunghe ricerche, veduto cose belle e buone distrutte e ora, molto tardi, si riunivano per aspettare la fine della festa e spegnere con una soffiata le lampade.
Non erano affatto certi che le cose che portavano nel cervello avessero il potere di rendere un'alba a venire fulgida d'una luce più pura, non erano certi di nulla, se non del fatto che i volumi erano allineati nell'archivio dietro i loro occhi tranquilli, i volumi attendevano, intonsi, i compratori che potevano venire più tardi, anni e anni più tardi, chi le mani pulite, chi le dita sudice.
Montag aguzzava gli sguardi su questa o quella faccia, camminando.
«Non si deve giudicare un libro dalla copertina» disse qualcuno.
E tutti risero sommessamente, mentre andavano a valle.
Un urlio lacerante, e i reattori provenienti dalla città erano già passati, alti nel cielo, prima ancora che gli uomini alzassero gli occhi. Montag si volse a guardare verso la città, molto lontana sul fiume, ridotta a una vaga chiazza luminosa ormai.
«Mia moglie si trova là» disse.
«Dolente di saperlo. Le città non avranno una vita troppo facile, nei prossimi giorni» rispose Granger.
«E' strano. Non ne sento la mancanza, di mia moglie, in fondo, non sento molto di quasi più nessuna cosa» disse Montag. «Anche se mia moglie morisse, me ne sono accorto qualche minuto fa, non credo che mi rattristerei molto. E non è giusto. C'è qualcosa di sbagliato entro di me.»
«Senti, ascoltami» disse Granger, e presolo per un braccio, camminando con lui al passo, scostava con la mano i cespugli che lo intralciavano.
«Ero bambino, quando mi morì il nonno, ch'era uno scultore di vaglia.
Era anche un uomo d'animo gentile che aveva molto amore da dare al mondo e aveva contribuito grandemente ad alleviare la miseria nel quartiere povero della nostra città. Costruiva giocattoli per noi e aveva fatto un milione di cose buone in vita sua. Era un uomo che aveva sempre le mani in moto per fare qualche cosa. Ora, quando morì, io mi accorsi ad un tratto che non piangevo per lui, ma per tutte le cose che aveva fatto. Piangevo perché non le avrebbe fatte mai più, non avrebbe mai più scolpito o intagliato un pezzo di legno, mai più ci avrebbe aiutato ad allevare colombe e piccioni nel giardino di casa, né avrebbe suonato più il violino come lui solo sapeva fare, né ci avrebbe più raccontato le cose buffe che ci raccontava. Era parte di noi, il nonno, e quando morì tutte le azioni s'arrestarono, morte, e non c'era più nessuno che potesse farle come le faceva lui. Era una personalità. Era un uomo importante. Io non sono mai riuscito a superare il fatto della sua morte. Spesso penso a tutte le meravigliose sculture che non hanno visto la luce a causa della sua morte. Quante celie e parole divertenti mancano al mondo e quanti piccioni nidificano nelle case i quali non sono mai stati toccati dalle sue mani! Mio nonno aveva forgiato il mondo. Aveva dato delle cose al mondo. E il mondo è stato truffato di dieci milioni di bellissime azioni la notte in cui mio nonno passò a miglior vita.»
Montag continuò a camminare in silenzio.
«Millie, Millie» susurrò. «Oh, Millie!»
«Che c'è?»
«E' mia moglie, mia moglie! Povera Millie, oh, povera, povera Millie!
Non posso ricordare nulla. Penso alle sue mani, ma non le vedo far nulla di nulla. Le pendono abbandonate lungo i fianchi o le giacciono molli in grembo, o c'è una sigaretta tra le dita e questo è tutto.»
Montag si volse ancora a guardare alle sue spalle.
E tu che cosa hai dato alla città, Montag?
Montagne di ceneri.
E gli altri che cosa si sono dati a vicenda?
Il nulla.
Granger si fermò a guardare indietro con Montag:
«Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato col nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia ove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l'albero o il fiore che abbiamo piantato, noi si sia là. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, finché si cambia qualche cosa da ciò che era prima che la si toccasse in qualcos'altro che è come noi dopo che la nostra mano se ne è staccata. La differenza tra l'uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere sta nel tocco, diceva. Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, su quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà per tutta una vita.»
Granger mosse una mano.
«Il nonno mi mostrò alcuni film ripresi dai razzi V-2 una volta, saranno cinquant'anni almeno. Hai mai veduto il fungo di una bomba atomica da un'altezza di più che trecento chilometri? Non è che una punta di spillo, un niente: con tutto intorno il deserto.
«Il nonno ci mostrò il film ripreso dal razzo V-2 una dozzina di volte e infine si mise a sperare che un giorno o l'altro le nostre città si aprissero maggiormente, permettendo così al verde, alla campagna, alle regioni selvagge di penetrarvi di più, per ricordare alla gente che ci è stato assegnato un breve spazio sulla terra e che sopravviviamo in quelle solitudini selvagge che possono riprendersi quanto hanno dato, con la stessa facilità con la quale alitano il loro fiato su di noi o ci mandano il mare a dirci che non siamo poi tanto grandi. Quando ci dimentichiamo quanto siano vicine la notte, e le selvagge solitudini, diceva sempre il nonno, qualche giorno il deserto verrà a prenderci, perché avremo dimenticato quanto terribile e reale possa essere.
Capisci?»
Granger si volse a guardare Montag.
«Il nonno era già morto durante tutti questi anni, ma se tu mi sollevassi la calotta cranica, perdio, nelle circonvoluzioni della mia massa cerebrale troveresti le scissure profonde della impronta del suo pollice. Il nonno ha lasciato il suo tocco su di me. Come ti ho già detto, era scultore. 'Detesto un senatore romano' mi diceva 'che si chiama Status Quo!' E mi diceva anche: 'Riempiti gli occhi di meraviglie, vivi, come se dovessi cadere morto fra dieci secondi!
Guarda il mondo: è più fantastico di qualunque sogno studiato e prodotto dalle più grandi fabbriche. Non chiedere garanzie, non chiedere sicurezza economica, un siffatto animale non è mai esistito;
e se ci fosse, sarebbe imparentato col pesante bradipo che se ne sta attaccato alla rovescia al ramo di un albero per tutto il santo giorno, ogni giorno, passando l'intera vita a dormire. Al diavolo' diceva il nonno 'squassa l'albero e fa' che il pesante bradipo precipiti al suolo e batta per prima cosa il culo!'»
«Oh, guarda!» gridò Montag.
E la guerra cominciò ed ebbe fine nello stesso istante.
In seguito, gli uomini che si trovavano in quel momento con Montag non poterono dire sinceramente se avevano visto, o no, qualche cosa.
Videro, forse, un lievissimo giuoco di luce, un impercettibile fremito in cielo. Forse erano le bombe, e i reattori, a sedicimila metri, ottomila metri di quota, tremila metri, milleseicento metri d'altezza, per un rapidissimo istante, come semente sparsa per il cielo da un'immensa mano seminatrice, e le bombe che, in diagonale, con paurosa rapidità, e insieme con un'improvvisa lentezza, piombavano giù sulla città antelucana che avevano appena finito di sorvolare. Il bombardamento era sotto ogni aspetto compiuto, una volta che i reattori avessero avvistato l'obiettivo, dato l'allarme ai bombardieri di far rotta su di esso a ottomila chilometri all'ora; con la stessa rapidità di una falce che cala frusciando, la guerra era finita.
Sganciate le bombe, era conchiusa. Ora, dopo tre secondi al massimo, di tutti i brevi tratti di tempo della storia, prima che le bombe colpissero, le stesse aeronavi nemiche avevano già fatto metà del giro del mondo visibile, come proiettili che un selvaggio isolano poteva non credere veri, perché invisibili; ma il cuore viene frantumato ad un tratto, il corpo precipita a strattoni interrotti e il sangue è come sbalordito di ritrovarsi in libertà all'aria aperta; il cervello sparpaglia i suoi scarsi ricordi preziosi e, istupidito, muore.
Era una cosa difficile a credersi. Non era che un atto. Montag vide il mulinello di un gran pugno ferrato sulla città lontana, indovinò l'ululo acuto dei reattori che stavano per sopraggiungere; dei reattori urlanti, dopo: "Distruggi, non lasciar pietra su pietra, perisci. Muori!" Montag trattenne le bombe, lassù, per un solo istante, col pensiero e le mani disperatamente brancolanti verso il cielo, a sorreggerle.
«Fuggi!» gridò a Faber. E a Clarisse: «Fuggi!».
A Mildred disse: «Scappa, scappa dalla città!».
Ma Clarisse, si ricordò, era morta, e Faber era partito: laggiù, nelle valli profonde della nazione, chi sa dove, il pullman delle cinque del mattino era in viaggio da una desolazione all'altra. Sebbene la desolazione non fosse ancora giunta, era già nell'aria, Montag n'era certo come nessuno mai. Prima che l'autobus avesse percorso altri cinquanta metri sull'autostrada, la sua destinazione sarebbe divenuta senza senso, il suo punto di partenza si sarebbe mutato da una metropoli in un cantiere di rovine.
E Mildred...
"Scappa, fuggi dalla città!" La vide nella sua camera d'albergo, chi sa dove, ora, mezzo secondo che restava, con le bombe a un metro, a un palmo, a un centimetro dall'edificio dell'albergo. La vide sporgersi verso le grandi pareti scintillanti di colore e di movimenti su cui la famiglia le parlava, le parlava, le parlava, e diceva il suo nome e le sorrideva, ma non le diceva nulla della bomba che era a un centimetro, a mezzo centimetro, a un millimetro dal tetto dell'albergo. Sporgersi verso la parete come se tutta la sua sete divorante di guardare potesse trovarvi il segreto della sua irrequietezza insonne. Mildred, che si chinava in avanti ansiosamente, nervosamente, come per tuffarsi, precipitare in quella brulicante immensità policroma, per annegare nella sua fulgida gioia.
L'urto della prima bomba.
«Mildred!»
Forse, chi mai potrà saperlo? forse le grandi radiostazioni, coi loro fasci di onde policrome, di luce, di parole e di chiacchiere furono le prime a sprofondare nell'oblio della morte.
Montag, nel gettarsi a terra bocconi, abbattendosi al suolo vide o sentì, o credette di vedere, o sentire, le pareti oscurarsi sul volto di Millie, la udì urlare, perché nella millionesima frazione di tempo rimasto ella vi aveva scorto la propria faccia riflessa, in uno specchio anzi che una sfera di cristallo, ed era una faccia così incredibilmente vuota, tutta sola nella stanza, senza toccar nulla, affamata e divorante se stessa, che alla fine la riconobbe come la propria e levò rapida gli occhi al soffitto, mentre tutto questo insieme con tutta la struttura dell'albergo le crollava addosso, trascinandola con migliaia di tonnellate di mattoni, ferro, cemento e legno a conoscere altre persone nelle cellette d'apiario sottostanti, tutte in rapida discesa verso le cantine, dove l'esplosione si liberò di loro nel suo solito modo irragionevole.
Mi rammento. Montag era rimasto appiccicato alla terra. Mi rammento.
Chicago. Chicago tanto tempo fa. Millie e io. Ecco dove ci siamo visti per la prima volta! Mi ricordo ora! Fu a Chicago. Tanto tempo fa.
Lo spostamento d'aria si abbatté sopra il fiume, spazzandone le rive, rovesciò gli uomini come pezzi di domino in fila, e sollevò l'acqua in spruzzi salienti, e alitò polvere e indusse gli alberi, sopra, a un murmure cupo, con un gran vento fuggiasco verso il sud. Montag si spiaccicava contro il suolo, facendosi il più piccino possibile, gli occhi chiusi. Batté le palpebre una sola volta. E in quell'istante vide la città, invece delle bombe, nel cielo. Queste e quella avevano cambiato posto. Per un altro di quegli istanti impossibili, la città rimase, ricostruita e irriconoscibile, molto più in alto di quanto avesse mai sperato o tentato di essere, più alta di come l'uomo l'aveva eretta, torreggiante alla fine, in nodi gottosi di cemento sfracellato, e faville di metallo infranto, in un'altissima muraglia sospesa come una valanga capovolta, un milione di colori, un milione di cose assurde, una porta dove avrebbe dovuto essere una finestra, una cima in luogo di un fondo, un retro invece di un davanti, e a un tratto la città si girò dall'altra parte e precipitò morta.
Il rantolo della sua morte arrivò poi.
Montag, disteso bocconi, gli occhi insabbiati dalla polvere, con un sottile e umido cemento di polvere nella bocca ora chiusa, ansimando e piangendo, si disse nuovamente: 'Mi ricordo, mi ricordo, mi ricordo qualche altra cosa, ma quale? Parte dell'Ecclesiaste e dell'Apocalisse. Parte di quel libro, una parte almeno, presto, prima che scompaia di nuovo, prima che la scossa si dilegui, prima che il vento muoia. Libro dell'Ecclesiaste. Ecco qua'. Se lo ripeté in silenzio, disteso bocconi sulla terra tremante, ne recitò le parole più volte ed esse erano perfette, ora, senza Dentifricio Denham, era semplicemente il Predicatore stesso che se ne stava tutto solo, ritto nella sua mente, e lo guardava...
«Ecco» disse una voce.
Gli uomini erano distesi, boccheggiavano come pesci allineati sull'erba. Stavano attaccati alla terra come i bambini restano attaccati a cose familiari, per fredde o morte che siano, non ostante ciò che è accaduto o accadrà. Le loro dita artigliavano il terriccio, e gridavano tutti per impedire alla loro sanità di mente di lacerarsi, le
bocche spalancate, e Montag gridava insieme con loro, urlava una protesta contro il vento che straziava loro il volto, che spellava le loro labbra e faceva loro sanguinare il naso.
Montag spiò l'immensa cortina di polvere calare e il silenzio immenso scendere sul loro mondo. E a stare disteso là gli sembrava di vedere ogni singolo granello di polvere ed ogni filo d'erba e di udire ogni grido, ogni pianto, ogni fruscio che alitassero ora nel mondo. Il silenzio scese nella polvere sparsa e su ogni cosa che a loro potesse occorrere di guardarsi intorno, di raccogliere la realtà di tanta giornata nei loro sensi.
Montag guardò il fiume. Noi andremo sul fiume. Guardò le antiche rotaie della ferrovia. Oppure andremo in quella direzione. O percorreremo le grandi autostrade, ora, e avremo tempo di mettere tante cose dentro di noi. E un giorno, dopo che la sapienza sarà stata a lungo in noi, comparirà sulle nostre mani e sulle nostre bocche. E gran parte di essa sarà errata, ma una parte sufficiente sarà giusta.
Cominceremo a camminare oggi e a vedere il mondo e come il mondo cammina e parla, come realmente appare. Voglio vedere ogni cosa, ormai. E anche se niente di esso sarà me quando entrerà in me, dopo qualche tempo si raccoglierà tutto insieme dentro di me e sarà me stesso. Guarda il mondo qua intorno, Signore, Signore, guardalo, qua intorno a me, al di là della mia faccia, e il solo modo di toccarlo veramente è di metterlo dove sia finalmente me stesso, dove è nel sangue, dove è spinto a correre in circolo mille volte per diecimila ogni giorno. Ho già un dito sul mondo, adesso; questo è un principio.
Il vento cadde.
Gli altri uomini rimasero per un poco distesi, ai margini crepuscolari del sonno, non ancora disposti a levarsi e cominciare ad attendere ai doveri della giornata, ai fuochi e al mangiare, alle mille particolarità di un piede messo dietro l'altro, di una mano dopo l'altra. Restavano distesi, battendo le palpebre impolverate. Potevi udire la loro respirazione affrettata farsi a poco a poco più pacata, sempre più lenta...
Montag si levò a sedere.
Ma non si spinse oltre. Gli altri fecero altrettanto. Il sole stava sfiorando l'orizzonte nero con un orlo lievemente rossastro. L'aria era fredda e sapeva di pioggia vicina.
In silenzio, Granger si levò, si palpò le braccia e le gambe, imprecando, imprecando di continuo tra i denti, mentre le lagrime gli rigavano il volto. Si spinse con passo strascicato verso il fiume, per guardare a monte.
«Tutto spianato, raso al suolo», disse, dopo un lunghissimo tempo. «La città sembra un sacco di farina rovesciata. Non esiste più.» E dopo un altro lunghissimo silenzio: «Sarei curioso di sapere quanti erano coloro che se l'aspettavano? quanti sono stati colti di sorpresa?».
E per tutto il mondo, pensò Montag, quante altre città assassinate? E nel nostro paese, quante altre città? Cento, mille?
Qualcuno accese un fiammifero e lo avvicinò a un pezzo di carta bene asciutta che s'era tolta di tasca, spinse la carta sotto un mucchietto di foglie e d'erba secca, a cui dopo un po' aggiunse dei piccoli sterpi, ch'erano umidi e si misero a gemere e scoppiettare, ma infine presero, e il falò divenne sempre più grande nel primo
mattino, a misura che il sole saliva e gli uomini lentamente distoglievano lo sguardo dal punto lontano, a monte del fiume, e venivano, attratti dal gran fuoco, a passo incerto, senza aver nulla da dire, e il sole li arrossava sulla nuca, quando si chinavano sulla fiamma.
Granger si mise a svolgere un pacchetto di carta oleata, che conteneva della pancetta di maiale.
«Ora si mangia un boccone. Poi torneremo indietro, andremo a monte del fiume. Possono aver molto bisogno di noi, da quelle parti.»
Qualcuno fece saltar fuori una padella, la pancetta vi andò a finir dentro, e la padella fu posta sul fuoco. Dopo qualche istante, il lardo cominciò a fremere e a saltellare nella padella e i suoi spruzzi irritati colmavano del suo aroma l'aria mattutina. Gli uomini osservavano il rito in silenzio.
Granger guardò nel fuoco.
«La Fenice» disse.
«Che cosa?»
«C'era un buffissimo uccello, chiamato Fenice, nel più remoto passato, prima di Cristo, e questo uccello ogni quattro o cinquecento anni si costruiva una pira e ci s'immolava sopra. Ma ogni volta che vi si bruciava, rinasceva subito poi dalle sue stesse ceneri, per ricominciare. E a quanto sembra, noi esseri umani non sappiamo fare altro che la stessa cosa, infinite volte, ma abbiamo una cosa che la Fenice non ebbe mai. Sappiamo la colossale sciocchezza che abbiamo appena fatta. Conosciamo bene tutte le innumerevoli assurdità commesse in migliaia di anni e finché sapremo di averle commesse e ci sforzeremo di saperlo, un giorno o l'altro la smetteremo di accendere i nostri fetenti roghi funebri e di saltarci sopra. Ad ogni generazione, raccogliamo un numero sempre maggiore di gente che si ricorda.»
Tolse la padella dal fuoco, ed essi, dopo aver lasciato la pancetta raffreddarsi un poco, mangiarono, lentamente, riflettendo.
«Ora, risaliamo il fiume» disse Granger. «E ficcati bene in capo una cosa: tu non sei importante. Tu non sei nulla. Un giorno, il fardello che ognuno di noi deve portare può riuscire utile a qualcuno. Ma anche quando avevamo libri a nostra disposizione, molto tempo fa, non abbiamo saputo trarre profitto da ciò ch'essi ci davano. Abbiamo continuato come se niente fosse ad insultare i morti. Abbiamo continuato a sputare sulle tombe di tutti i poveri morti prima di noi.
Conosceremo una grande quantità di persone sole e dolenti, nei prossimi giorni, nei mesi e negli anni a venire. E quando ci domanderanno che cosa stiamo facendo, tu potrai rispondere loro: "Noi ricordiamo". Ecco dove alla lunga avremo vinto noi. E verrà il giorno in cui saremo in grado di ricordare una tal quantità di cose che potremo costruire la più grande scavatrice meccanica della storia e scavare, in tal modo, la più grande fossa di tutti i tempi, nella quale sotterrare la guerra. Vieni, ora. Per prima cosa provvederemo alla costruzione di una fabbrica di specchi, perché dovremo produrre soltanto specchi per almeno un anno, tutti specchi, dove ci converrà guardare, lungamente.»
Finirono di mangiare e spensero il fuoco. La giornata si faceva sempre più luminosa intorno, come se a una lampada rosata fosse stato allungato lo stoppino. Sugli alberi, gli uccelli ch'erano volati via in gran fretta, ora tornavano a rifare il nido.
Montag si pose in cammino; dopo qualche istante si accorse che gli altri erano rimasti indietro, nella loro marcia verso il settentrione.
Si stupì, e si fece da parte, per lasciar passare Granger, ma Granger, fissandolo, gli fé cenno col mento di proseguire. Montag riprese a camminare. Guardava, camminando, il fiume, il cielo, le rotaie arrugginite che andavano a perdersi, a valle, tra le fattorie, là dove i fienili rigurgitavano di fieno, là dove tanti uomini erano passati nottetempo, in viaggio, via dalla città. Fra qualche tempo, un mese o sei mesi, certo non più di un anno, lui sarebbe ritornato a camminare in quel punto, solo, e avrebbe continuato la marcia fino a quando non avesse raggiunto altra gente.
Ma ora lo attendeva una lunga passeggiata mattutina fino al mezzodì, e se gli uomini tacevano, tacevano perché c'era da pensare a ogni cosa e molto da ricordare. Forse, un po' più avanti nella mattina, quando il sole fosse stato alto nel cielo e li avesse riscaldati, avrebbero cominciato a chiacchierare, o semplicemente a dire le cose che ricordavano, perché, non c'era dubbio, essi erano ben là, ad accertarsi che molte cose fossero al sicuro entro di loro. Montag sentiva il lento rimuoversi delle parole, il loro pigro ribollire.
E quando fosse venuta la sua volta, che cosa avrebbe potuto dire, che cosa avrebbe potuto offrire in un giorno come quello, per rendere il viaggio un poco più agevole? Per ogni cosa c'è una stagione. Sì. Il tempo della demolizione, il tempo della costruzione. Sì. Il tempo del silenzio e il tempo della parola. Sì, tutto questo. Ma che altro? Che altro ancora? Qualcosa, qualcosa...
"E sull'una e sull'altra riva del fiume v'era l'albero della vita che dava dodici specie di frutti, rendendo il suo frutto per ciascun mese;
e le fronde dell'albero erano per la guarigione delle genti."
Sì, pensò Montag, 'ecco ciò che voglio metter da parte per mezzodì.
Per mezzogiorno...
Quando saremo giunti alla Città.
http://it.wikipedia.org/wiki/Fahrenheit_451
Nessun commento:
Posta un commento