sabato 18 giugno 2011

Esplorazioni: Binswanger/Dick- 'il mondo della tomba' (Gruft-Welt, tomb-world)







Ludwig Binswanger, 'Il caso Ellen West e altri saggi', Bompiani 1973 (1957), pp. 143-147.
'La temporalità del mondo sepolcrale'
"Già a questo punto sarà chiaro che come il mondo etereo è dominato dal futuro(inautentico), il mondo sepolcrale è dominato dalla supremazia del passato continuamente presente e, in quanto privo di futuro, inautentico. (…)
L’ispessimento, il consolidamento, il restringersi dell’ombra sull’imputridimento vegetativo e l’accerchiamento totale sino ai muri del sepolcro sono espressione della crescente supremazia del passato su questa presenza, della supremazia dell’essere-già nella situazionalità dell’inferno e dell’inevitabile indietro-su-di-essa. Questa angoscia dellinferno è l’angoscia della presenza di venire inghiottita dal suo fondamento, dal quale tanto più profondamente viene inghiottita quanto più in alto tenta di balzargli via, di sfuggirgli. In luogo dell’autoimpadronirsi del fondamento e del divenir-trasparenti a se stessi sulla sua base compare l’angoscioso esserne dominati, come sprofondamento nel nulla.
Dove la presenza non può progettarsi in vista di se stessa, dove è ‘tagliata fuori dal futuro’, il mondo in cui essa esiste scade all’insignificatività, perde il suo carattere di appagatività e si trasforma in inappagatività. In altre parole: la presenza non trova più nulla in base a cui possa comprendersi, il che peraltro vuol dire che si angoscia, che esiste nel mondo dell’angoscia o, come noi diciamo è nudo orrore. ‘E però ora importante sapere che il nulla del mondo, innanzi a cui l’angoscia si angoscia, non vuol dire che nell’angoscia sia sperimentata un’assenza del semplice-presente intramondano, questo, piuttosto, deve venire incontro proprio affinchè non si possa avere con esso nessuna appagatività ed esso si possa mostrare nella sua vuota spietatezza. Ma a questo si aggiunge ancora che l’insignificatività del mondo che si dischiude nell’angoscia rivela la nullità di ciò di cui ci si prende cura o, come noi diciamo, nella prassi. ‘L’angoscia si angoscia per la nuda presenza in quanto gettata nello ’.
A tale proposito, è da osservare in primo luogo che nell’angustia del mondo sepolcrale il mondo non ha tuttavia completamente perduto il suo carattere di appagatività, non è scaduto a completa insignificatività e che la presenza ha qui ancor sempre qualcosa in base a cui poter comprendersi, e questo è appunto il sepolcro, il carcere, il buco nella terra. Che qui la presenza, ciononostante, sia nell’angoscia, indica che già il restringimento e il livellamento della significatività del mondo, di pari passo procedenti con il prevalere dell’essere-stato, già la perdita da parte del mondo del suo carattere di appagatività significa angoscia. Abbiamo seguito a passo a passo questo sfigurarsi del mondo e l’abbiamo riconosciuto nello ‘scadere’ della mondità da un mondo estremamente mobile, estremamente fuggevole in un mondo estremamente rigido, amorfo (privo di forma), dove la presenza non trova più niente di ‘nuovo’ in base a cui possa comprendersi, ma solo può farlo in base al passare e al decomporsi dell’abituale e di ciò che è a sazietà noto. La presenza dunque si angoscia già là dove, nel libero progettarsi in vista di se stessa, nel suo più proprio poter-essere si fa non libera. Il semplice-presente intramondano non ha dunque affatto bisogno di mostrarsi nella sua vuota spietatezza, è sufficiente che si mostri nel suo aspetto di svuotamento, nel nostro caso nell’aspetto di terra, di sepolcro o di buco nella terra. Tutte queste espressioni indicano però una cosa, che lo svuotamento della significatività del mondo, lo sfigurarsi del suo carattere di appagatività e ‘vuoto esistentivo’ hanno un unico e medesimo significato, e ciò in base ad una modificazione dell’unico senso esistenziale della temporalizzazione. Se il mondo diventa insignificante e sempre più perde il suo carattere di appagatività, se sempre meno la presenza trova qualcosa su cui possa progettarsi e in base a cui possa comprendersi, se il mondo si mostra, dunque, nell’aspetto dello svuotamento (della terra, della voragine, della fossa nella terra) e la presenza non è più proiettata in avanti, bensì rigettata sul mero esser-stato, nel quale non può più comprendersi in base a ‘qualcosa di nuovo’ ma soltanto in base alla cerchia dell’abituale e del noto compresi a sazietà, tutto questo significa che, come tanto bene si esprime la lingua parlata, niente più si muove e ‘tutto rimane ancorato al passato’. Questo non-muoversi-più e rimanere-ancorati-al-passato, che dunque concerne tanto il mondo quanto l’esistenza, non è se non un restar-fermo o al massimo uno strisciare. Quando Ellen West si concepisce come verme della terra, con ciò esprime la medesima cosa che quando si accorge che il suo ‘sviluppo è cessato’, che è tagliata fuori dall’avvenire, che più non scorge innanzi a sé ampiezza e luce, e che al contrario non le è concesso se non il voltolarsi lentamente in un cupo, angusto cerchio. Questo però non significa se non quanto noi in psicopatologia e la stessa Ellen West definiamo uno scadere dall’altezza ‘spirituale’ ad un livello più basso, al livello del soltanto-ancora o del quasi-soltanto-ancora-vegetare, del mero appetire. L’appetire è caratterizzato in termini esistenziali con la prossimità, l’angustia e il vuoto del mondo, con il suo aspetto di voragine, in cui la presenza si appaga di ciò che è a portata di manoe, come nel nostro caso dobbiamo dire, ‘a portata di bocca’, dove dunque nulla è oggetto di riflessione e di scelta, ma tutto viene afferrato o addentato con frenesia e ci si getta freneticamente ‘come un animale’ su quanto appunto è semplicemente alla mano. La forma di temporalizzazione di questo essere-nel-mondo non è più l’aspettarsi (del futuro), bensì un mero presentificare, un presentificare il mero ora, che né nasce dall’avvenire, né si lascia alle spalle un passato. La ‘serietà animale’ di questo presente si mostra in ciò, che tutto ancora si ‘aggira’ unicamente intorno al mangiare o divorare, come l’unica appagatività in base alla quale la presenza possa ancor comprendersi. Dopo tutto quello che siamo venuti esponendo, sarà ormai chiaro che, come si è sottolineato in precedenza, una simile bramosia di mangiare, in quanto espressione dello svuotamento e della trasformazione in terra del mondo dell’esistenza, è angoscia. Il fatto che Ellen West si getta sul cibo ‘come un animale’ significa che ella è mossa dall’angoscia, e se da un lato cerca di farla tacere nella bramosia del divorare nel mero ora – infatti nel trangugiare il cibo ancora ‘qualcosa si muove’- è soltanto per ricadervi nel successivo punto-ora. Questo è il ’laccio’ da cui Ellen non si può sciogliere e in cui la sua presenza è irretita. L’angoscia di ingrassare si rivela così come un’altra espressione dell’angoscia dinnanzi alla perpetuazione della bramosia nella forma dell’ingrassamento, della trasformazione in verme, dell’imputridimento, dell’insipidezza, dell’imbruttimento e della despiritualizzazione della presenza. L’esser-grassa è il perpetuo rimprovero che qui la presenza si fa, la sua autentica ‘colpa’. La contraddizione tra il mondo etereo e il mondo sepolcrale, tra l’esistentiva iperilluminazione e l’ombra esistentiva, si era rivelata come contraddizione tra un danneggiarsi-sollevando il peso della temporalità della presenza e un esserne tirata-giù. Nella storia della vita della nostra malata ciò si manifesta con stupefacente nitidezza. Che sussista una contraddizione tra i due mondi. non significa dunque che l’uno sia unicamente una festosa gioia della presenza e l’altro unicamente lutto o malinconia della presenza: entrambi i mondi piuttosto, se così si può dire, sono mondi dell’angoscia, quello etereo, nel senso dell’angoscia sorta dal voler-essere-diversa dinanzi al futuro autentico e quindi anche dell’angoscia dinanzi alla morte, il mondo sepolcrale, nel senso dell’angoscia dinanzi al mero esser-stato. Nell’uno, la presenza si consuma nel mero desiderare della fantasia, nell’altro, nella mera bramosia di vita. La contraddizione tra i due mondi non è contraddizione tra non-angoscia, festosità della presenza o ‘serenità [ ‘Gelassenheit’] (E.Straus) da un lato e angoscia dall’altro, ma contraddizione tra due diverse forme di angoscia, l’angoscia dinanzi alla vecchiaia e alla morte e l’angoscia dinnanzi alla vita. In entrambe le forme può trovare la sua espressione l’unica angoscia dinnanzi alla nullità della presenza ed entrambe possono dunque venir scambiate: Ade può significare Dioniso e Dioniso Ade. La contraddizione tra le due forme di angoscia è contraddizione dialettica nel senso dell’antinomia della presenza, cioè dello stretto intrecciarsi della vita con la morte e della morte con la vita. Il suicidio è tuttavia una consapevole rottura di questa antinomia, mediante una ‘conclusiva-decisa’ azione della prassi nella quale, alla fine, la libertà trionfa necessariamente sulla non libertà. L’essenza della libertà come necessità si fonda tanto profondamente nella presenza da poter dunque ancora disporre della presenza stessa.”


[per il contesto, v. 'Nel regno dell'ansia', http://gconse.blogspot.com/2011/04/nel-regno-dellansia-g-conserva-2005.html]



Antonio Caronia e Domenico Gallo, 'Philp K. Dick. La macchina della paranoia. Enciclopedia dickiana', Agenzia X 2006, pp 244-248 (CREATIVE COMMONS)




'vita/morte'





And death shall have no dominion (
Dylan Thomas)





'L'altro grande avversario di Philip Dick, oltre al tempo e all’entropia( kipple), fu la morte. Bella forza, direte. La morte è l’avversario per eccellenza di tutti e di ciascuno. È vero, ma ci sono scrittori (e in genere persone) che hanno con la morte un rapporto particolare, più stretto, che va oltre l’ovvio destino di tutti. Uno di questi fu Elias Canetti, checonsiderava la morte lo scandalo per eccellenza. Per Dick la questione era diversa. Tentò di suicidarsi due volte, quindi forse – almeno in certe circostanze – non temeva la propria morte (anche se in entrambi i casi si  garantì sempre una via d’uscita). Ma temeva la morte degli amici e si infuriava  se questi non facevano di tutto per evitarla, o se non volevano lasciarsi aiutare. VALIS si apre e si chiude con la morte: quella di Gloria e quella di Sophia, e nel corso del libro muore anche Sherri – quindi due amiche di Phil e un’incarnazione infantile della divinità. Anche in  La trasmigrazione di Timothy Archer muoiono in tre, e una delle ragioni che fanno di Angel Archer un personaggio così interessante è proprio questo suo rapporto con la morte: la morte delle persone a cui voleva bene, il marito, il suocero, la donna del suocero. La morte, dice Ruth a Jason in Scorrete lacrime, disse il poliziotto, “è la grande solitudine” (cap. 11): una cosa che Phil non poteva sopportare. In VALIS c’è una lunga citazione da Schopenhauer che termina così: “Quindi a ogni momento possiamo gioiosamente gridare: ‘Malgrado il tempo, la morte e la decomposizione, siamo ancora insieme!’” (cap. 8). Phil non deve aver resistito: tutti e tre i suoi nemici citati insieme! “Malgrado ciò che noi vediamo, la vita in qualche maniera non deve trasformarsi in morte” dice Phil (il personaggio).L’origine di una simile “resistenza” alla morte è evidente. Il lutto per  la scomparsa della gemella Jane, rielaborato in varie forme, ha influenzato tutta la sua opera. Questo evento sembra aver generato, in Dick, un’angoscia generalizzata per la morte, una resistenza appunto a dare un significato a questo evento centrale nella vita umana. Tutte le morti,in Dick, sembrano a prima vista insensate. Questa potrebbe essere la ragione  di tutte quelle figure ibride, quelle condizioni intermedie tra vita e morte, quelle zone o quei processi in cui vita e morte convivono, che ritroviamo con una certa frequenza nei suoi romanzi. Prendiamo il caso che appare più chiaro, In senso inverso. Qui c’è un’inversione del flusso temporale, la Fase Hobart, che riporta in vita i morti. La direzione naturale dalla nascita alla morte è rovesciata e la vita  per i redivivi comincia da vecchi e finisce da embrioni. È evidente il riferimento alla tematica cristiana della resurrezione della carne – solo che essa non avviene dopo il Giudizio universale, ma nel tempo della storia.  Si tratta quindi di una vittoria sulla morte, limitata – non è certo l’immortalità – ma non per questo meno significativa. Mackey, riportando alcune osservazioni di Dick sulla struttura della Divina Commedia in cui egli afferma che nel Purgatorio “il tempo scorre all’indietro”, all’indietro”, commenta:“A posteriori potremmo dire che In senso inverso, con la sua metafora dell’inversione del tempo, è purgatoriale. Nonostante che due dei tre protagonisti vengano uccisi, è un libro pieno di speranza. Alla fine Sebastian fa la scelta giusta, e i vincoli impersonali del fato, il karma, rappresentati dalla Chiesa (il culto Udi) e dallo Stato (la Biblioteca) cominciano ad allentarsi” (Mackey 1988, p. 86).Anche il “cold-pac”, l’animazione sospesa dei semivivi in Ubik, è  una misura, se non per vincere la morte, per contrastare la sua vittoria definitiva. Anche i semivivi, prima o poi, sono condannati a spegnersi, ma intanto allargano il campo della “realtà” ad altre zone, ad altri mondi  al di fuori dell’esistenza quotidiana del lettore. Peter Fitting, dopo aver avvicinato i semivivi agli spettri e agli spiriti dei racconti fantastici reinterpretati in chiave fantascientifica, sostiene che essi creano perciò nel lettore aspettative che vanno nel senso tanto della teleologia quanto della rivelazione divina; conclude però che “queste aspettative del lettore  alla fine vengono frustrate, e la metafisica viene rifiutata” (Fitting 1975, p. 205): Ubik rappresenta infatti per lui “una critica delle modalità di percezione a priori che informano il pensiero scientifico e che  spesso la scienza sostiene essere principi empirici obiettivi” (ivi, p. 207). Se Dick poteva essere d’accordo con quest’ultima asserzione, non poteva certo esserlo con la prima, almeno dopo il 1974. E infatti in Uomo,androide e macchina assegna a Ubik la funzione di una metafora molto più generale: 'Io credo che noi siamo come i personaggi del mio romanzo Ubik: siamo in una condizione di semivita. Non siamo morti, ma neppure vivi, bensì tenuti in una cella frigorifera, in attesa di essere scongelati. Servendosidella forse abusata metafora del susseguirsi delle stagioni, quello di cui parlo è l’inverno, l’inverno della nostra specie, l’inverno di Ubik. Ghiaccio e neve li ricoprono, così come ricoprono il nostro mondo con strati di concrezioni che noi chiamiamo dokos, o Maya'. Dick 1976, p. 257).Eccoci quindi riportati al tema della  realtà/illusione e alla nostra condizione di esseri ibernati (e ingannati) finché qualcuno (nel romanzo Runciter, nella nostra esperienza il Salvatore;  Dio; religione) non ci risveglia (il tema compare anche in Svegliatevi, dormienti). In una condizione analoga a quella dei semivivi di Ubik, ma con qualche piccolo grado di libertà in più, si trova Bill, l’homunculus di  Cronache del dopobomba dotato di poteri psi che vive come una presenza  segreta nel corpo della sorellina Edie. Nella sua analisi del romanzo, Jameson assegna a Bill una funzione importante ma forse inattesa. “Sono tentato di descrivere l’homunculus Bill nei termini del ben noto asse [o canale, ndr] che nella teoria dell’informazione collega l’emittente  al ricevente. Certo, anche Bill manda messaggi, ma in relazione al regno  dei morti la sua funzione principale è quella di riceverli, è quella dell’ascoltatore  assente in conversazioni immaginarie, quella fessura aperta che è la funzione dell’interlocutore in ogni discorso, anche quelli fatti in assoluta solitudine.” (Jameson 1975, p. 194) Non svolgono una funzione di questo tipo un po’ tutte le figure liminali, intermedie, ibride tra la vita e la morte che abbiamo considerato sinora? Perché assegnare a figure come queste, di frontiera, una funzione comunicativa così centrale? Per capirlo dobbiamo forse esaminare ancora un luogo di transizione tra vita e morte che Dick trovò negli scritti dello psichiatra svizzero Ludwig Binswanger e utilizzò in diversi romanzi degli anni Sessanta: il mondo della tomba. Binswanger è una delle fonti di Dick sulla questionedella schizofrenia ( follia 1) e il “mondo della tomba” è appunto  una delle sue descrizioni del mondo chiuso dello schizofrenico. In questo senso viene usato, per esempio, in Noi marziani. In Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, invece, esso viene collegato al mercerismo( religione): è un mondo pieno di cadaveri consunti in cui Mercer è stato precipitato in gioventù dagli uccisori dopo avergli vietato di praticare la resurrezione sugli animali (cap. 2), e dove continua a precipitare  dopo aver raggiunto la cima dell’erta che continua a percorrere. Nel mondo della tomba il tempo scorre così lento che è impercettibile, ma scorre al contrario; dopo un periodo lunghissimo i cadaveri tornano in vita, e Mercer può uscirne. Katherine Hayles suggerisce che il mondo della tomba sia una rappresentazione dello stato della schizofrenia paranoica  e sia quindi collegato all’ androide schizoide. “La desolazione, la disperazione, la sensazione che il tempo si sia fermato e che non ci sia nient’altro da fare che aspettare, la morte interna proiettata su un paesaggio esterno – questi sono gli indicatori del disagio mentale estremo come li descrive Dick. [...] Mentre le azioni dell’androide sono sempre prevedibili, per lo schizofrenico paranoico sono le azioni del mondo a essere prevedibili. [...] Ma nel mondo della tomba questa distinzione si fa sfumata, perché nel suo ambiguo paesaggio interno ed esterno si fondono.” (Hayles 1999, pp. 176-177)

Ecco che la centralità delle figure di transizione tra vita e morte si  collega alla centralità dell’androide e dello schizoide. Dove la realtà della  stessa vita, come dice Baudrillard, “deriva solo dalla disgiunzione della vita e della morte”, ogni tentativo di modificare, “riformare”, ridefinirela realtà (e Dick era certamente impegnato in un progetto del genere) non può che passare per uno scambio simbolico “che metta fine a  questo codice della disgiunzione e ai suoi termini separati”. Il simbolico “è l’utopia che mette fine alle topiche dell’anima e del corpo, dell’uomo e della natura, del reale e del non-reale, della nascita e della morte”(Baudrillard 1976, p. 146). Dietro le terminologie gnostiche e le intenzioni  coscienti di Dick, al di là e oltre il suo eclettismo e il suo platonismo fané, la sua insistenza sugli ibridi e le figure di confine lo connette alla grande ristrutturazione di fine secolo del simbolico, alla ricerca delle condizioni di una nuova soggettività, spesso in contrasto con la formulazione letterale delle sue convinzioni.'


http://www.agenziax.it/imgProdotti/4D.pdf (completo)




1 commento:

  1. Tenzin Nanette Miles: On some level, when present abuse stops, it keeps it from happening in the future, and had never happened in the past. This seems to be related to the concept and experiences of "reinforcement" in Western psychology.

    RispondiElimina